Il blog di Diego Perugini

Si parla di Musica! (e non solo)

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Gazzelle, tutto esaurito al Forum

Foto di Francesco Prandoni

Sono tornato a vedere Gazzelle, uno dei pochi nuovi artisti pop che mi piacciono. Se volete sapere perché, trovate tutto qui.

E al Forum di Assago, una delle prime date del “Dentro x sempre” tour, ho trovato un tutto esaurito vero, col traffico incasinato, code lentissime e un sacco di gente fra parterre e gradinate.

Evidentemente questo antidivo, perennemente nascosto dagli occhiali scuri, ha colto nel segno con le sue canzoni agrodolci, cantate a squarciagola da un pubblico giovane e a forte prevalenza femminile.

Ragazze e ragazzine così scatenate da starsene in piedi per tutto il tempo e sovrastare la voce già non tonitruante del piccolo Flavio.

Uno spettacolo nello spettacolo, come si usa dire. O, scomodando parole grosse, una sorta di rito collettivo a forti tinte emozionali.

Gazzelle se la gode chiuso nel suo giubbotto firmato, senza fare tanta scena. Ogni tanto chiede applausi e il pubblico non si lascia pregare.

Dialoga di cose semplici e, a un certo punto, chiede agli spettatori se sono felici. Momento di quasi imbarazzo: cosa rispondere di questi tempi strani e brutti?

Una tipa nel pit gli dice che domani si laurea. Forse lei è felice per questo.
Lui è perplesso e, dopo un po’, la chiude con una battuta, “potrei star qui tutta la sera a dire stronzate”. E riprende la musica.

Ma sì, che poi alla fine lì dentro, almeno per un paio di orette, son tutti felici a cantare e ballare, e a fermare l’attimo fuggente coi telefonini.

Gazzelle porta a casa il trionfo annunciato col supporto di una band efficace e di qualche timido effetto speciale, come il solito grande schermo dove scorrono immagini in diretta e altre preparate ad hoc, molto carine quelle stile cartoon e pure i giochini grafici.

Sfila così il classico repertorio del Nostro, diviso fra ballate romantiche, briciole malinconiche e botte di ritmo.

Si racconta di amori allo sbando, palpiti del cuore e inquietudini esistenziali, con stile semplice e linguaggio del quotidiano. Che tutti possono capire. E in cui tutti possono identificarsi. E, infatti, strofe e ritornelli vengono puntualmente scanditi all’unisono dai fan.

Ecco l’introspezione personale di “Qualcosa che non va”, la dolcezza di “Coprimi le spalle”, il delicato medley solitario in acustico e, subito dopo, l’incalzante e liberatoria “Meglio così”.

Tutti in coro per l’auto-esortazione di “Flavio”, vincente inno da stadio (o palasport), per arrivare ai pezzi da novanta del passato: “Una canzone che non so”, “Punk”, “Tutta la vita”. Quindi la sanremese “Tutto qui” e la rabbiosa “Destri”.

Per chiudere con “Non sei tu”, tanti coriandoli dal cielo e l’inevitabile “Grazie regà!”. Mentre fuori le macchine sono già in doppia fila, il traffico torna una bolgia e si corre forte per non restare imbottigliati.

Si replica stasera al Forum. Poi tanti altri concerti sparsi per l’Italia. Tutti esauriti, naturalmente. E il live speciale del 16 maggio all’Arena di Verona.
Daje, Fla.

Foto di Francesco Prandoni

Davide Van De Sfroos agli Arcimboldi

Davide Van De Sfroos agli Arcimboldi. Il cantautore laghéee è passato da Milano col tour di "Manoglia". A novembre tornerà al Forum di Assago

C’è un bel tutto esaurito agli Arcimboldi per Davide Van De Sfroos.

Segno che non è solo tempo di cassa dritta, autotune, urban, trap et similia. Quello che arriva dal palco del teatro meneghino, spoglio ed essenziale, è un suono caldo e popolare, il che non significa chiassoso o cafone. Tutt’altro.

Leggi tutto: Davide Van De Sfroos agli Arcimboldi

C’è anzi una raffinatezza poetica ed evocativa nel discorso del cantautore laghée, in equilibrio fra folk e blues, country e rock, con fisarmonica e violino in evidenza. E, persino, qualche gradita sfumatura etnica.

Un recital d’altri tempi. Senza video ed effetti speciali, con solo un ricco corredo di luci a sottolineare momenti ed emozioni.

Van De Sfroos siede davanti a un leggio, chitarra acustica fra le braccia, intorno a lui i fidi musicisti, con citazione di merito per il funambolico Anga Galiano Persico.

Racconta le sue storie di provincia e certi personaggi unici, i ricordi sparsi qua e là, le memorie nostalgiche che fanno da contraltare a un mondo brutto in cui si fa fatica a ritrovarsi.

C’è il nuovo disco “Manoglia”, giocato su atmosfere acustiche, a prendersi il giusto spazio in scaletta.

La speranza nascosta dietro le pieghe di una metafora in “El mekanik”; il sarcasmo verso social e dintorni nella jazzata “Forsi”; l’aspirazione verso una rinascita di “Crisalide”, canzone per certi versi terapeutica.

Non mancano i vecchi classici, in cui il pubblico si lascia andare a catartici battimani e coretti.

“Yanez”, rimembranza di un Sanremo lontano, viene riletta in chiave irlandese, mentre “Gira gira” incontra il reggae di Bob Marley. “Nona Lucia” è il solito irresistibile country, veloce e divertente, al contrario di “New Orleans”, dolente e toccante ballata sui danni dell’uragano Katrina.

Fino a “El mustru”, uno di quei pezzi forti che lo mettono quasi a disagio e lo spingono alla commozione.

Due ore abbondanti di live, che si chiudono in bellezza coi bis.

L’incedere avvolgente, da cantilena, di “Akuaduulza” e poi “töcc in sö la curiera” verso nuove avventure e altri concerti.

Come quello, già annunciato, del 23 novembre al Forum di Assago, biglietti in vendita da oggi. Intanto il tour teatrale va avanti sino ad aprile, qui tutte le info.

Weekend con l’Angolo del Cinefilo

Nuovo appuntamento weekend con l'Angolo del Cinefilo. Si parla di "Volare", debutto alla regia della Buy e di tanti altri film.  Su mannaggiallamusica.it

Appuntamento di fine mese col mio solito Angolo del Cinefilo.

Anche stavolta per voi una messe di titoli nuovi e meno nuovi, a partire dal debutto alla regia di Margherita Buy, “Volare” (non eccelso a dirla tutta), appena arrivato nelle sale.

Meglio il classico “The Holdovers – Lezioni di vita“, con un ottimo Paul Giamatti, e il sempreverde Woody Allen di “Un colpo di fortuna“.

Ma fra le varie schede ci sono anche thriller, commedie e altro ancora.

Come sempre, buona lettura e buona visione!

Califano e Bob Marley, quando il biopic non convince

"Bob Marley - One Love", il biopic sulla leggenda del reggae, dal 22 nei cinema. Un commento di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Per combinazione ho visto negli stessi giorni “Califano” e “Bob Marley – One Love”. Due prodotti diversi, il primo per la tv (lo trovate su RaiPlay) e il secondo per il cinema (sarà nelle sale dal 22).

Due film biografici ovviamente differenti, vista la peculiarità dei protagonisti, accomunati però dalla stessa sensazione finale. La delusione.
O, per dirla con l’ultima vincitrice di Sanremo, la noia.

Il biopic (brutta parola, ma tant’è) sul “Califfo” mostra i tratti inequivocabili della fiction, nel bene e nel male. Ha quel ritmo lì, inutile cercare guizzi di genialità.

E, come capita spesso, resta in superficie, non approfondisce, restituisce un ritratto parziale di quell’uomo controverso e contraddittorio che era l’artista romano.

I più esperti vi hanno poi trovato errori grossolani, che gli autori hanno giustificato nelle note sui titoli di coda come la classica licenza poetica. Vabbè.

Ciò non toglie che la visione, tutto sommato, risulti comunque gradevole, se non si è troppo esigenti. E Leo Gassman nei panni del “Califfo” se la cava. Forse troppo bellino e poco stropicciato per essere veramente credibile, però bravo e volenteroso.

Leo Gasman interpreta il "Califfo" nella fiction tv Rai "Califano". Il commento di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Il film su Bob Marley (una produzione di famiglia col figlio Ziggy in prima fila), forse per lo sforzo di essersi alzati dal divano di casa per andare al cinema, delude persino di più.

Si parte dal tentativo di omicidio nel dicembre 1976 a Kingston, per poi soffermarsi sul soggiorno in Inghilterra e chiudere il cerchio col ritorno in Giamaica per il One Love Peace Concert nell’aprile 1978.

In un’ora e tre quarti si prova a raccontarne la vicenda mescolando un po’ di tutto. Dalla religione (il rastafarianesimo) al messaggio di amore e unità, dalla creazione musicale alla politica giamaicana, dai rapporti coi discografici a quelli, più intimi, con la moglie Rita, dai ricordi visionari di un drammatico passato all’uso quotidiano del “fumo”. E molto altro ancora.

Come si usa dire, troppa carne al fuoco. Così si finisce con fare confusione o, peggio, scivolare nell’agiografia e nello stereotipo.

La regia è scolastica e lo stesso protagonista, il pur bravo Kingsley Ben-Adir, risulta un Marley ingentilito e mai veramente partecipato. Il meglio, come capita in questi casi, sono le canzoni. Quelle sì, immortali.

Più in generale, non è la prima volta che i biopic lasciano con l’amaro in bocca. Perché, oggettivamente, non è facile mettere in scena la vita, spesso complessa, di personaggi straordinari. E perché, il più delle volte, si sceglie una via parziale e sommaria, operando scelte discutibili.

La mia idea è che bisogna prenderli per quel che sono.

Cioè, salvo rare eccezioni, dei prodotti commerciali creati per un pubblico più vasto possibile, interessato più al lato umano che a quello artistico.

Una platea che del protagonista ha spesso solo un’infarinatura e non sta a menarsela troppo con dettagli, approfondimenti e verità storica, come facciamo noi addetti ai lavori.

Chi cerca qualcosa in più, insomma, dovrebbe semmai rivolgersi ai documentari. Sempre che siano fatti bene. E anche qui, soprattutto in casa nostra, non mancano le delusioni. Ma questo è un altro discorso ancora. Che, prima o poi, affronteremo.

Angelina e il Sanremo che vorrei

Ha vinto Angelina Mango. E si chiude il ciclo di festival targati Amadeus. Qualche umile idea per un Sanremo migliore. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Alla fine ha vinto Angelina Mango, come da pronostico iniziale.

Un trionfo segnato da una polemica al foto finish (e mi pareva strano non arrivasse…) per i soliti complessi e un po’ oscuri meccanismi delle votazioni.

Per dirla in due parole: al televoto aveva vinto nettamente Geolier, poi stampa e radio hanno ribaltato il verdetto. Qui trovate una spiegazione più esaustiva.

Giusto? Sbagliato? Si apra l’ozioso dibattito.

Ma non è la prima volta che capita. Anzi. Qualcosa del genere accadde, tanti anni fa, con gli Avion Travel ai danni di Grandi e Morandi. E, molto più di recente, con Mahmood ai danni di Ultimo. Che, per la cronaca, si incazzò parecchio.

Verdetto giusto, comunque?

Boh. Non sono tipo da stilare classifiche e vergare pagelle, mica siamo più a scuola. E, poi, quelle le fanno già tutti, regalando spesso e volentieri voti altissimi. E, per quanto mi riguarda, assai discutibili.

Comunque, non appartengo al fan club della Mango, non ancora per lo meno. E, dirò un’eresia, ma la cumbia di “La noia” non mi entusiasma.

Neanche il tempo di andare in un negozio a Milano a provarmi un paio di jeans, che eccola arrivare in sottofondo a tormentarmi.

E temo siamo solo all’inizio. Ma la giovane Angelina ha grinta, entusiasmo, bella voce e acerbo talento. Potrà crescere. E, si spera, cantare anche cose migliori.

In quanto a tormentone non scherza nemmeno la terza arrivata Annalisa con la sua “Sinceramente”, parecchio orecchiabile e parecchio derivativa.

Il rischio di cadere già nel cliché è dietro l’angolo. Ma ha successo ed è il suo momento: come darle torto?

Geolier, secondo arrivato e grande sconfitto (si fa per dire), potrà consolarsi allargando ancora di più il suo già ampio bacino di pubblico.

Il suo pezzo non mi ha detto granché, forse perché sono un “boomer”. Ma è moderno, attuale, contemporaneo. Piace e piacerà.

Il resto, come sempre, lo diranno le questioni di streaming e passaggi radio. E i club, i palazzetti e gli stadi più o meno pieni. Lì si capirà il vero vincitore.

Ultime considerazioni.

Pare sia stato l’ultimo Sanremo targato Amadeus, giusto così. Come Pioli al Milan, pure Ama ha finito il suo ciclo all’Ariston.

Gli va riconosciuto il merito di aver riportato il festival ai fasti di un tempo. E di averlo svecchiato, negli artisti e nell’audience.

Ora non ci vanno più solo glorie d’antan o chi deve rilanciarsi, ma anche chi ha successo o, come si dice oggi, è di tendenza.

Perché Sanremo porta bene e regala popolarità in grande stile a chi lo sa sfruttare come si deve. E’ il palco più importante d’Italia, diretta espressione di quanto va forte fra streaming, radio e dintorni, e si fa di tutto per salirci e giocarsi le proprie carte.

E, cosa niente affatto trascurabile, gli ascolti e le classifiche premiano questa scelta. Ma non è tutto oro quel che luccica. Almeno per me.

Da qualche anno fatico a guardarlo e non riesco ad affezionarmi a un brano in particolare. Problema mio?

Forse. Ma mi sembra che la qualità media sia in fase calante. Meno “ciofeche”, ma anche meno pezzi memorabili. Tutto un po’ omologato nel nome di una bulimia di proposte quasi mai entusiasmanti.

Anche stavolta non ho trovato la mia canzone del cuore. Non mi sono dispiaciuti Ghali, Mahmood, Diodato.

La Bertè più che altro per la sua storia, un po’ Gazzelle e Rose Villain. Ma nessuna voglia di andare a riascoltarli. Sono troppo esigente? Mah.

Insomma, sarebbe ora di cambiare passo. Vedremo se davvero Ama mollerà il colpo e chi sarà il suo successore e quali scelte farà. Quanto a me, da umile spettatore e addetto ai lavori di lunga data, butto lì qualche idea.

Qual è il Sanremo che vorrei?

Beh, innanzitutto vorrei un festival più breve, tipo che si chiude ogni sera intorno a mezzanotte. E senza troppe divagazioni, siparietti, pubblicità più o meno occulte e ospitate che allungano il brodo e spezzano il ritmo della serata. O ti portano nei territori del kitsch più imbarazzante come nell’affaire Travolta.

E, poi, che senso ha fare cantare uno alle due di notte?

Il che significherebbe ridurre drasticamente il numero delle canzoni in gara. Quest’anno erano 30, molte delle quali prescindibili.

Troppe. Ne sceglierei una quindicina, ma con cura e attenzione alla qualità. Pescherei fra vari generi, senza badare solo a radio e streaming, limitando quei suoni urban, rap, trap e dintorni (uso dell’autotune incluso) che fanno sembrare tutto così uguale, tutto così omologato.

Amplierei la platea degli autori, perché se fai scrivere tutto o quasi ai soliti noti, ovvio che poi fatichi a distinguere le canzoni una dall’altra.

Sui meccanismi delle votazioni, invece, mollo il colpo. La partita rimane aperta e forse non si chiuderà mai. Anche perché la formula perfetta non esiste e ci sarà sempre qualcuno che prenderà male i verdetti.

E i cantanti in gara? Chi porterei all’Ariston?

Eh, no. Un po’ di pazienza. Prima fatemi diventare il nuovo direttore artistico.

E, poi, ne riparliamo.

“Queen Unseen”, la mostra

Queen Unseen Peter Hince

Fa uno strano effetto, in questi giorni di marasma sanremese, scrivere di tutt’altro. Un effetto, diciamolo subito, assai piacevole. Mi spiego meglio.

L’altra mattina sono andato alla presentazione della mostra “Queen Unseen”, in cartellone fino al 21 aprile alla Fondazione Luciana Matalon di Foro Buonaparte 67, a Milano, un ampio spazio tutto virato sul bianco a due passi da Duomo e Castello Sforzesco (qui tutte le info).

Il Queen del titolo si riferisce ovviamente alla storica band di Freddie Mercury, che rivive in un centinaio di foto di Peter Hince, alcune esposte in anteprima assoluta.

Hince è un signore inglese che avuto in sorte l’onere onore di seguire il gruppo dagli inizi sino alla fine.

Prima come semplice roadie, poi come assistente personale di Freddie e del bassista John Deacon, quindi come capo della road crew.

Il nostro, appassionato di fotografia, negli anni ha ritratto il gruppo in miriadi di occasioni. Le più interessanti, ça va sans dire, sono quelle più intime e personali, il classico “dietro le quinte”.

Perché i Queen si fidavano di lui e lo lasciavano fare. Da qui anche l’ambizioso sottotitolo “I Queen che non avete mai visto”.

Ecco gli scatti sul set del video di “I Want to Break Free” (quello in cui sono vestiti da donna).

Freddie immortalato mentre si fa la barba o indossa il famoso mantello reale.

Le immagini di live pieni di gente e di energia, i ritratti posati e quelli rubati.

Il tutto in grandi pannelli o più piccole bacheche.

Hince, che peraltro parla un buon italiano, racconta il suo primo incontro con la band, nel 1973, quando i nostri facevano da supporter ai Moot The Hoople (quelli di “All the Young Dudes”, gran pezzo!) e provavano in un gelido ex cinema.

“Faceva un freddo cane ma loro si presentarono vestiti in raso e seta. Fecero uno show. Non erano famosi, ma capii subito che sarebbero diventati i numero uno”.

Poi si diffonde a lungo sul carattere del frontman, scatenato sul palco e molto più tranquillo nel privato. “Era molto generoso, ci colmava di regali. Amava i gatti ed era un asso a ping-pong”, ricorda.

A corredo delle foto ci sono anche oltre cento fra cimeli, memorabilia, oggetti e documenti vari, tutti originali.

Dall’asta del microfono di Freddie nel suo ultimo concerto alla chitarra autografata di Brian May, i costumi usati per il video di “Radio Gaga” e le bacchette della batteria di Roger Taylor, materiale proveniente in parte dalla raccolta personale del collezionista Niccolò Chimenti.

Non mancano le locandine dei concerti, fra cui quella degli unici concerti italiani, 14 e 15 settembre 1984, al Palasport di Milano (e io c’ero!).

Inoltre, in una saletta al piano superiore, vengono proiettati video rari e spezzoni dei più famosi concerti della band.

Tirando le somme, una bella mostra. Anche per chi, come me, non è un fan accanito del gruppo inglese.

Ma girare per le sale, soffermarsi sulle immagini, ascoltare certe canzoni e rimirare oggetti di culto, ti fa respirare l’aria di un tempo che non c’è più.

E sorge allora inesorabile il solito pizzico di nostalgia canaglia.

L’Angolo del Cinefilo vs. Sanremo

L'Angolo del Cinefilo vs. Sanremo. Ovvero qualche alternativa all'overdose da festival. Tanti film per tutti i gusti segnalati per voi. Nella foto, una scena da "Foglie al vento" di Aki Kaurismaki.

Da stasera parte l’ennesima edizione di Sanremo. In molti la vedranno.

Ma se siete fra quelli che cercano alternative, ecco per voi un po’ di film segnalati dall’Angolo del Cinefilo del mio blog.

C’è un po’ di tutto. Da vedere in streaming o al cinema.

Dalla novità di “Te l’avevo detto” di Ginevra Elkann al sempre bravo Kaurismaki di “Foglie al vento“.

Dal quasi thriller “Fair Play“, sul tema dell’amore sul posto di lavoro, alla delicata commedia francese “Normale“.

Senza dimenticare l’ormai classico della Cortellesi. E molto altro ancora.

Scorrete, leggete, scegliete, guardate. E buona visione!

Noi non ci Sa(n)remo

Sanremo 2024, si comincia. Domani parte l'ennesima edizione del festival. Le riflessioni di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Come ben si sa, domani inizia l’ennesima maratona di Sanremo. L’edizione numero 74. E anche quest’anno, come ormai da parecchio tempo, non ci andrò.

Perché non ho un editore che mi paghi le spese di trasferta e accollarmi tutto sul groppone, non mi pare una saggia idea. Anche visto i prezzi non proprio economici che girano in riviera.

So che in tanti, tantissimi, addetti ai lavori saranno lì comunque. Li vedo posare sorridenti sui social lungo il tragitto che li porta in città o, direttamente, davanti all’Ariston mostrando con orgoglio l’agognato pass, felici di stare laggiù.

Anzi sospetto pure che in parecchi si sobbarchino vitto, alloggio e trasporto pur di fare parte del grande circo. Mah. Contenti loro.

E non pensate che stia “rosicando”, parlando per invidia. Perché a me andare a Sanremo non è mai piaciuto. Se v’interessa sapere perché basta leggere un mio editorialino di qualche anno fa. Proprio qui.

In ogni caso, non sono fatti miei, quindi a ognuno il suo.

E non sarò nemmeno così snob da dire che non lo guarderò. In un modo o nell’altro ho visto il festival sin da bambino, quindi lo farò anche quest’anno.

Magari a spizzichi e bocconi, perché trenta canzoni in gara sono troppe e non ho voglia di fare le ore piccole ogni sera. C’è altro, converrete, da fare nella vita.

Anche solo alzarsi presto la mattina per lavoro o incombenze varie.

Ma veniamo alle canzoni: beh, non le ho ancora sentite.

Ho, però, letto i commenti della stampa e visto i voti alti, se non altissimi, generosamente dispensati. Sono curioso di vedere se collimano col mio (modesto) parere.

In tanti hanno parlato di “cassa dritta”, che per chi non è del mestiere significa molto ritmo, molta ballabilità. E meno, molte meno, canzoni “sanremesi”, cioè quelle ballate d’amore romantico che un tempo andavano forte al festival.

I bene informati dicono pure che, per questo, i brani si somiglino un po’ tutti. E, del resto, c’è poco da stupirsi visto che il giro degli autori è ristretto e alcuni di loro li troviamo firmare diversi dei pezzi in gara.

Insomma, pare che Amadeus abbia cambiato le regole del gioco e punti a un festival che sia diretta espressione di quanto oggi va forte fra streaming, radio e dintorni.

Ascolteremo e vedremo. Ma non ho aspettative altissime.

Confesso che in gara non c’è nessuno che mi scaldi veramente il cuore. L’unico è forse Gazzelle, che da sempre mi piace per la sua vena malinconico/romantica e che, da introverso quale è, immagino avrà delle difficoltà nel marasma di questi giorni.

Noto pure la mancanza delle classiche polemiche che da sempre animano il festival. Magari mi sono perso qualcosa, ma non ne trovo traccia.

I soliti idioti hanno provato a costruirne una su Angelina Mango e la sua scelta di cantare un pezzo del padre nella serata delle cover. Ma era talmente risibile da sciogliersi come neve al sole.

A proposito della giovane Angelina, in molti la danno come favorita assieme ad Alessandra Amoroso e Annalisa. E, chissà, dopo tanto tempo il festival potrebbe di nuovo tingersi di rosa.

In ogni caso, in bocca al lupo a tutti!

Bentornato, Billy

Billy Joel Cases Close Myrna Suárez Photo Final

Non scriveva (né pubblicava) musica da una vita. Poi, in un freddo giorno d’inverno, è arrivata questa “Turn the Lights Back On” a scompigliare le carte e scatenare i ricordi.

Una classica ballata alla Billy Joel, pianistica e romantica, con un testo semplice: lui che non si rassegna a un amore finito, chiede perdono a lei, ma forse è troppo tardi.
Come finirà? Chissà.

Il “piano man” americano ha detto che all’inizio non voleva cantarla, anzi avrebbe preferito passarla ad Adele.

E probabilmente sarebbe stata l’ennesima hit strappacuore della pregevole ugola britannica.

Invece, spinto dal produttore, s’è deciso a interpretarla lui. E ben ha fatto.

Leggo al proposito un po’ di commenti sotto il lyric video.

Tutti più o meno entusiasti, sul filo della nostalgia e della memoria, come se quelle note e quella voce familiari ci avesse portato indietro di qualche decennio.

Roba da adulti, insomma. E, per una volta, niente “cassa dritta” come oggi va di moda, anche a Sanremo.

Anch’io, lo confesso, ho ripensato al passato. Ai tempi di “Just the Way You Are” e “Honesty”, a dischi brillanti come “The Stranger” e “52nd Street”, che hanno accompagnato la parte più romantica e sognatrice della mia adolescenza.

Sì, Billy Joel era uno dei miei artisti pop preferiti. Tanto da copiargli il “look” (si fa per dire) con jeans, scarpe da tennis, giacca, camicia e cravatta (con colletto rigorosamente slacciato).

Era la mia divisa per la grandi occasioni o quando dovevo vedere qualche ragazza che mi piaceva.

Billy Joel è stato anche l’ignaro protagonista della mia prima trasferta giornalistica all’estero, negli anni 90 a Francoforte per un tour che sarebbe da lì a breve passato in Italia. Fu assai bello ed emozionante.

A fine concerto ci fu una cena col Nostro che passava fra i tavoli a salutare e intrattenere i cronisti. Parlai con lui pochi minuti, di musica e di boxe, una delle sue prime passioni.

Nel 1993 ricordo un gradevole ultimo disco, “River of Dreams”, poi più o meno il silenzio, a parte un album di composizioni classiche (mah…) e dei live.

Il vecchio Joel, però, non l’ho mai dimenticato. E proprio negli ultimi tempi ho rispolverato gioiellini d’epoca come “Vienna”, “She’s Got a Way” e “Say Goodbye to Hollywood”, che cerco maldestramente di riproporre al piano in versione casalinga. Quasi a evocare il gradito ritorno di oggi.

E, allora, ben ritrovato, Billy. E se ti scappa ancora qualche nuova canzone, beh, noi siamo qui.

Che bello risentire Ivan Graziani

Non solo Sanremo. E per fortuna. Il gennaio musicale offre anche altre occasioni di svago al di là dei mille e uno incontri promozionali pre-festival.

Qualche sera fa, per esempio, in un localino meneghino (il Gattò di via Castel Morrone) c’è stata la presentazione di “Per gli amici”, disco postumo del grande Ivan Graziani, uscito per la storica etichetta Numero Uno.

Un artista sempre un po’ sottovalutato, che giustamente la famiglia, nello specifico la moglie Anna e i figli Tommaso e Filippo, tiene a ricordare.

In questa dimensione raccolta, fra calici di Cerasuolo, pallotte al sugo e arrosticini (in onore delle radici abruzzesi del Nostro), si è parlato di Ivan e del suo carattere bizzoso ma autentico, di un talento importante (non solo nella musica, ma anche nel disegno) e, soprattutto, delle nuove canzoni venute alla luce.

Otto e non di più, disperse in maniera disordinata in provini su cassette, che la moderna tecnologia ha permesso di recuperare. Ma niente intelligenza artificiale e simili diavolerie, giura Filippo, produttore.

Per capirci: i brani erano già arrangiati e strutturati, quindi sono stati riversati dai vecchi nastri e digitalizzati. Infine, Filippo ci ha messo un po’ del suo in studio, per sistemare al meglio il tutto.

Sono canzoni scritte in libertà e senza vincoli, che per un motivo o per l’altro non sono finite in qualche album. Databili tra la metà degli anni 80 e i primi 90, anche se Ivan non ha lasciato indicazioni precise al proposito.

Filippo, dopo qualche chiacchiera, ne ha fatte ascoltare un paio alla chitarra acustica con la sua voce che ricorda in modo impressionante quella di papà.
Ed è stata una bella emozione.

Del resto l’avevo già sentito anni fa in un teatrino di periferia rifare i classici di Ivan con commovente partecipazione e aderenza.

Il “nuovo” disco è, come si usa dire, breve ma intenso. Neanche mezz’ora di musica, con brani intorno ai tre minuti di durata, a volte anche meno.

Si parte con “Una donna”, ironica ballata rock sulle sbandate d’amore, quindi “La rabbia” intimista e delicata, con riferimento esplicito al carattere del figlio Filippo.

“L’italianina” è una cantilena folk dalla dolcissima melodia e un testo a più livelli di lettura. “La canzone dei marinai”, dedicata agli amici pescatori di Marotta e anticipata in una versione diversa da Colapesce Dimartino, parla di lontananza e nostalgia. Ed è un altro “lento” struggente alla Graziani, dal bel crescendo emotivo.

In “Tv” prevale la vena sarcastica sui tanti “mostri” del piccolo schermo, mentre “Miley” è un ritratto al femminile, fra blues e sensualità.

“Ti sorprenderò” riflette in chiave rock sui cambiamenti della vita, con solo di chitarra in evidenza. “Per gli amici” chiude il cerchio con una sorta di piccolo testamento, fra autobiografia e autocitazioni.

Filippo annuncia che questo sarà l’unico album postumo di inediti di Ivan, perché in archivio non ci sono altri provini decenti su cui lavorare.

Quindi, teniamocelo stretto.

Ci saranno anche delle presentazioni con mini-live acustico nelle librerie Feltrinelli: il 29 a Rimini e, a febbraio, il 6 a Roma, il 7 a Firenze e il 12 a Milano.

E, per chi volesse approfondire , è disponibile un podcast curato da Niccolò Agliardi dal titolo “IO, LUPO. PER GLI AMICI, Ivan Graziani”, un ritratto inedito dell’artista con ospiti vari.

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