Il blog di Diego Perugini

Si parla di Musica! (e non solo)

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Il “piano solo” di Remo Anzovino

E' uscito "Don't Forget to Play", disco di piano solo di Remo Anzovino. Un viaggio onirico fra sonorità diverse. E affascinanti. Il 20 maggio anteprima del tour a Piano City Milano.
Remo Anzovino – photocredit Paolo Grasso

Se avete voglia di ascoltare qualcosa di diverso e un disco di piano solo non vi spaventa, date una chance a Remo Anzovino.

E’ un artista di culto, ma che nel suo ambito ha raccolto allori e riscontri in tutto il mondo, soprattutto nell’ambito delle colonne sonore.

E che su Spotify, tanto per dire, ha raggiunto insospettabili numeri milionari in fatto di streaming.

Anzovino è un 47enne dai capelli arruffati e gli occhialoni neri, appassionato di musica sin dalla più tenera età. Uno che ha studiato e continua a studiare.

E non solo musica, tanto che a 24 anni si è laureato con lode in Diritto Penale all’Università di Bologna e nel corso del tempo ha patrocinato centinaia di processi.

E’ un piacere vederlo muoversi con passione e determinazione sulla tastiera del pianoforte, mentre presenta (e racconta) dal vivo alla Casa degli Artisti meneghina il suo ultimo lavoro, “Don’t Forget to Fly”.

Una sorta di concept-album sul tema del volo e dell’evoluzione spirituale a cui ognuno di noi dovrebbe aspirare.

Un viaggio onirico fra sonorità eclettiche: classica, contemporanea, tango, valzer e altro ancora.

Per immaginare, sognare e, appunto, volare.

Anzovino lo porterà in giro per l’Italia da oggi in una serie di incontri fra librerie e centri culturali (qui l’elenco).

Si comincia stasera al Circolo dei Lettori di Torino, ore 21 (prenotazione obbligatoria).

Mentre il 20 maggio, per Piano City Milano, terrà un’anteprima gratuita del tour al Giardino BIM Bicocca, ore 18.

Se siete in zona, perché perderselo?

“Per sempre” Paola & Chiara

In uscita "Per sempre", il nuovo album di Paola & Chiara. Una raccolta di successi riveduti e corretti. Con tanti ospiti. In più, il tour. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Come direbbero gli inglesi, Paola & Chiara non sono esattamente la mia “cup of tea”.

I miei gusti vagano altrove, come avrà capito chi legge anche solo sporadicamente questo piccolo blog.

Eppure le sorelle Iezzi mi sono sempre state simpatiche. Le ho anche incontrate e intervistate più volte per lavoro, sempre con piacere.
Donne consapevoli, determinate, intelligenti.

E’ stato un gradevole déjà-vu, quindi, rivederle a Sanremo con “Furore”, a rilanciare il loro stile ballerino e trascinante.

Non è stato un episodio isolato. Domani uscirà un album dal titolo emblematico, “Per sempre”, che non è tanto l’annuncio di un ritorno perpetuo, ma più uno stato mentale o sentimentale, quel rimanere dentro “per sempre”.

Ci sono i loro successi riveduti e corretti al suono dei giorni nostri, un mix fra passato presente e futuro. Con ospiti vari, Jovanotti, Max Pezzali, Cosmo, Emma, Levante, Noemi, Elodie, Gabry Ponte, l’iberica Ana Mena.

Oltre al pezzo presentato a Sanremo, c’è un solo inedito, “Mare Caos”, fra i candidati della prossima sagra del tormentone estivo.

E, poi, sta iniziando un tour, con date sparse per la penisola, a partire dal trionfo casalingo annunciato delle due date al Fabrique di questo weekend.

Vederle insieme stamattina in luogo strategico della Milano “cool”, il D&G Martini in pieno centro, è stata una piccola botta di nostalgico glamour in questi tempi cupi.

Due dive in miniatura intorno alla cinquantina che si godono il loro novello status di culto. E ricordano gli anni in cui venivano snobbate da certa stampa.

Senza rancore, anzi quasi con rimpianto.

“Perché le critiche sono state uno stimolo, ci sono servite a mostrare chi eravamo. Mentre oggi si è fin troppo accomodanti nei confronti degli artisti che funzionano. Quel genere di critica non c’è più. E ci manca”.

Che dire? Chapeau! E ben tornate.

Lucio Corsi all’Alcatraz!

Lucio Corsi arriva all'Alcatraz di Milano e sfodera oltre due ore fra glam rock e canzone d'autore. Uno dei migliori giovani artisti in circolazione.

Non solo poppettari da strapazzo o rappettari con l’autotune in canna. Per fortuna che fra i giovani di oggi c’è Lucio Corsi, uno che sa ancora come si imbraccia una chitarra. E, mirabile dictu, come si suona un’armonica.

Il quasi trentenne toscano, nonostante quel che dice la canzone, pare abbia deciso da tempo cosa farà da grande. Cioè il cantautore. E di quelli bravi.

L’ha dimostrato l’altra sera nelle due ore abbondanti di concerto in un Alcatraz meneghino a capienza ridotta, davanti al suo zoccolo duro (ancora troppo esiguo) di fan.

Ha l’aspetto gracile e magrissimo del Renato Zero degli inizi, inclusi capelli lunghi, cerone bianco sul volto e tutine attillatissime.

Ma nel suo cuore vibra l’amore per il glam rock anni 70 con le chitarrone schierate, il ritmo alto e la melodia a colpo sicuro. Zona Marc Bolan e primo Bowie, per capirci.

Con sé sul palco ha una folta banda di amici e ottimi musici ad assecondare le sue scorribande poetiche.

Il riff irresistibile di “Freccia bianca” apre e chiude un concerto di belle emozioni.

Dove spiccano la suggestione di “Trieste”, ballata alla Ivan Graziani sul potere del vento (“Da quel giorno per le strade di Trieste vive gente convinta/ Che il vento no, non era un freno, ma una spinta”), ma anche le novità dell’ultimo album, “La gente che sogna”.

Sfilano allora l’utopia fantastica di “Astronave Giradisco” o il desiderio di fuggire su un altro pianeta di “Radio Mayday”.

Sempre con quel linguaggio originale, fatto di immagini surreali, storie strane, atmosfere fiabesche, con un gusto piacevolmente rétro e fieramente fuori dalle mode.

In mezzo pure una lunga parentesi da solo in acustico, fra battute col pubblico e sorpresine assortite, per esempio l’esilarante inedito “Francis Delacroix” su un amico fanfarone (che sale sul palco) e un paio di cover dall’immenso Randy Newman.

A proposito di cover, il nostro rievoca i T-Rex di “20th Century Boy” e “Children Of The Revolution” ma anche il Lucio Battisti di “Un anno di più” (versione niente male, per altro), per far capire dove affondano le sue radici.

Fino all’apoteosi di “Cosa faremo da grandi?”, il suo piccolo grande capolavoro, che diventa una sorta di inno collettivo cantato a squarciagola.

Insomma, Lucio Corsi è uno che ha una marcia in più. E di più meriterebbe.

Per esempio uscire dall’area di culto e abbracciare un pubblico più ampio. Perché ha talento, carisma, sa stare sul palco, canta e scrive benissimo.

Anzi, piccola proposta disinteressata: portatelo a Sanremo.

In mezzo a tanti cialtroni male assortiti uno di talento come lui ci farebbe la sua porca figura.

Diteglielo ad Amadeus.

p.s. Prossime date del tour:
il 10 maggio al Monk a Roma (sold out), il 12 all’Hiroshima Mon Amour di Torino e il 13 al Locomotiv Club di Bologna (sold out).

Primo Maggio con l’Angolo del Cinefilo

"Empire of Light", recensione film su l'Angolo del Cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Se i concertoni del Primo Maggio non vi soddisfano, buttatevi su un buon film.

Per esempio, “Empire of Light” di Sam Mendes, punta di diamante dell’ennesimo appuntamento col mio Angolo del Cinefilo.

Ma vi trovate anche il thriller “Beckett“, l’horror “Candyman“, la commedia sentimentale “Non così vicino” (con un ottimo Tom Hanks) e “Il grande giorno” col trio Aldo, Giovanni e Giacomo.

Più la solita ampia messe di titoli sempreverdi in archivio.

Buona lettura, buona visione e…buon Primo Maggio!

“Solo fiori”. Ce li porta Paolo Benvegnù

E' uscito "Solo fiori" di Paolo Benvegnù. Un ep di 5 brani sul tema dell'amore. Live al concertone romano del primo maggio. Poi in tour.
Paolo Benvegnù, foto di MauroTalamonti

E’ un disco un po’ diverso dal solito. Cinque pezzi facili (ma non troppo) firmati Paolo Benvegnù, cantautore di culto già leader della rock-band Scisma nei lontani anni ‘90.

L’artista milanese, trasferitosi a Perugia per amore, in “Solo fiori” (ep che anticipa un album in uscita a fine 2023) ci racconta proprio l’importanza dei sentimenti, una delle rare ancore di salvezza in questo mondo infame.

Già il titolo inquadra la tematica: “Parte dalla constatazione di una mia pochezza. La difficoltà di avere anche solo una piccola intuizione quotidiana, senza secondi fini. Come donare un fiore, solo un fiore a chi si ama” spiega.

Il concetto si dilata quindi in queste canzoni spesso ariose e orecchiabili, pop nel senso migliore del termine.

“Italia pornografica”, per esempio, vanta una melodia coinvolgente e raffinata, che ricorda vagamente certe cose di Samuele Bersani.

Con un testo sarcastico e pungente sul nostro Belpaese, che sta sprecando il suo grande potenziale d’amore scivolando in una spirale di malcostume, cinismo e ignoranza.

“Una stupida invettiva”, sintetizza l’autore con autoironia, che sullo sfondo di suadenti sonorità ci descrive una desolante realtà.

Gli altri quattro pezzi virano su riflessioni più intimiste, con un linguaggio poetico ma non ermetico, dal sorprendente duetto con Malika Ayane su “Non esiste altro” al ritmo più acceso, in odor di new wave, di “Our Love Song”.

L’idea di fondo è quella di un amore visto come sentimento sovversivo, rivoluzionario, antistorico.

“Bisogna amarsi e amare. Buttarsi fiduciosi negli altri” suggerisce Benvegnù, auspicando una sorta di recupero dell’ingenuità e della spontaneità infantile.

Un’idea forse utopistica, ma totalmente condivisibile.

Il primo maggio lo vedremo sul palco del concertone romano, quindi il 6 maggio all’Auditorium Parco Della Musica di Roma e il 12 alla Santeria Toscana 31 di Milano (biglietti qui).

“Ti amo come un pazzo”. E Mina ritorna

E' uscito da qualche giorno "Ti amo come un pazzo", il nuovo disco di Mina. C'è il duetto con Blanco e una bella cover di Cammariere.

Forse non tutti sanno che le presentazioni dei dischi di Mina seguono da anni lo stesso copione.

Lei non c’è, ovviamente. Al suo posto troviamo il sempre garbato figlio (e produttore) Massimiliano Pani che ci ripete senza soluzione di continuità quanto mamma sia unica, geniale, talentuosa. In pratica, una fuoriclasse assoluta.

Che ascolta tutto il materiale che le arriva nel suo “buen retiro” elvetico e poi sceglie d’istinto e di esclusiva testa sua.

Che canta spesso alla “buona la prima” e che, nonostante sia assente da una vita da palchi e tv, rimane un mito per generazioni diverse. Anche le più recenti. E amen.

Da qualche giorno, poi, possiamo ascoltarla in un nuovo lavoro, “Ti amo come un pazzo”, a quattro anni di distanza dal disco con Ivano Fossati.

Una dozzina di canzoni sul tema amoroso nelle sue miriadi di sfaccettature, con richiami al feuiletton o, per dirla all’italiana, ai fotoromanzi d’antan, stile “Grand Hotel” e “Bolero”, che le nostre mamme divoravano avidamente.

Album vecchio stile, elegante e raffinato, se non fosse per il pezzo con Blanco, “Un briciolo di allegria”, una sorta di aggancio all’attualità più in voga.

Una ballata moderna, che pare stia piacendo ai più. Ma io, da buon boomer, quando sento la voce del giovane bresciano così indulgente con l’autotune, non posso che andare oltre. Non fa per me. E mi perdoni la somma Mina.

La preferisco, per esempio, in “Don Salvatò”, lettera a Dio scritta in napoletano da Enzo Avitabile.

O nella metafora circense di “Zum Pa Pa”, fra atmosfere felliniane e scampoli di esistenzialismo.

Ma, al di là di certe romanticherie, un divertissement e qualche déjà vu, mi viene da applaudirla soprattutto nella sua versione di “Tutto quello che un uomo” di Sergio Cammariere.

Grande canzone, questa sì, d’alto e altro livello, jazzata e suadente, che l’ultraottantenne tigre di Cremona canta da par sua. Tanto che ci vien da dirle: Brava! Brava! Brava!

Ma già lo sapevamo. Ce lo aveva detto Pani, no?

Le “Tredici canzoni urgenti” di Vinicio Capossela

In arrivo venerdì "Tredici canzoni urgenti", il nuovo album di Vinicio Capossela. Un lavoro importante, con molti riferimenti all'attualità. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Vinicio Capossela, foto di Guido Harari

Il titolo è già rivelatorio, “Tredici canzoni urgenti”.

E l’urgenza a cui si riferisce Vinicio Capossela nel suo nuovo album, in uscita venerdì, è quella di raccontare il nostro brutto mondo quotidiano e denunciarne le troppe assurdità.

Per farlo ha abbandonato per un po’ la minuziosa ricerca lessicale e l’uso accorto di metafore e citazioni colte a favore di un linguaggio più semplice e diretto. E molto efficace.

Una semplicità (relativa) che giova parecchio ai pezzi, che arrivano subito al cuore e alla mente, emozionano d’impatto e poi ti lasciano lì a riflettere.

Vinicio ci parla della cosa più brutta in assoluto, la guerra, descritta con dolente poetica in “La crociata dei bambini”, ispirata a un poema di Brecht.

Ma ci racconta anche del consumismo spinto dei nostri tempi (“All you can eat”), di violenza sulle donne (“La cattiva educazione”), della situazione delle carceri (“Minorità”), della crisi del nostro sistema (“Sul divano occidentale”).

Ci sono inoltre il ricordo del lavoro oscuro delle donne della Resistenza (“Staffette in bicicletta” con la partecipazione dell’ex Üstmamò Mara Redeghieri) e un paio di riferimenti quanto mai attuali all’opera e alla vita di Ludovico Ariosto sul tema del potere e della guerra.

Un disco pessimista, cupo, disperato? Non proprio.

Capossela non rinuncia alla speranza già nell’iniziale “Il bene rifugio”, splendida ninna nanna romantico-finanziaria, dove non si celebrano l’oro o il Bund, ma il vero bene rifugio: l’amore.

E anche le due tracce finali, “Il tempo dei regali” e “Con i tasti che ci abbiamo”, ci invitano a considerare l’importanza del dono più grande, la vita, e a fare con quello che abbiamo, senza rincorrere desideri impossibili ma intravedendo una possibilità in ogni limite.

Un album importante, insomma, che un tempo avremmo definito “impegnato”. Ma senza spocchia, senza voler farci la morale a tutti i costi.

Politico, ma nel senso migliore del termine.

Un album che anche dal punto di vista musicale è più immediato e diretto del solito, il che non vuol dire povero d’ispirazione o, peggio, tirato via. Tutt’altro.

Ci sono ballate, valzer, jazz, rock, cha cha cha e altro ancora, con un mare di ospiti e amici come Margherita Vicario, Sir Oliver Skardy, Cesare Malfatti, Taketo Gohara, Bunna e altri ancora.

Molti di loro saranno sul palco giovedì al Conservatorio di Milano per il concerto di presentazione, già “tutto esaurito”.

A cui seguiranno dal 22 un instore tour e, quindi, una serie di “concerti urgenti” fra la primavera e l’estate.

Teneteli d’occhio.

“StraMorgan”, buona la prima

"StraMorgan" su RaiDue. Ha debuttato ieri sera il programma di Morgan con PIno Strabioli. Le impressioni di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Per lo meno non si potrà dire che non è un programma coraggioso.

Perché a “StraMorgan” si parla e si suona musica non convenzionale con un’orchestra di rango a valorizzare il tutto. Ed è già un bel risultato.

Poi si potrà obiettare che il protagonista, Morgan, sia egocentrico, strabordante, dispersivo. Col co-conduttore Pino Strabioli spesso in disparte. Però, almeno, lui ci mette passione e conoscenza.

E, comunque, ieri in tarda serata su RaiDue s’è raccontato di Modugno, dei collegamenti fra “Vecchio Frack” e “Meraviglioso”, e di un disco di culto come “Con l’affetto della memoria”. Ospiti-complici Paolo Rossi e Vinicio Capossela.

Quest’ultimo ha anche proposto un pezzo tirato e polemico come “Divano occidentale”, ospiti Bunna e Sir Oliver Skardy, antipasto dell’imminente “Tredici canzoni urgenti”.

Sino al finalone megalomane con Morgan nei panni di Elvis a cantare “Suspicious Minds”.

Troppo? Sì, forse. Poteva essere meglio? Sì, magari.
Ma, per intanto, va bene va bene così.

Altrimenti beccatevi “Amici” e siate felici.

Buona Pasqua dall’Angolo del Cinefilo!

Se non siete in viaggio fra mari e monti, potete sempre rilassarvi con un buon film.

Eccovi, quindi, qualche proposta dal mio consueto Angolo del Cinefilo.

In copertina c’è l’anteprima di “Passeggeri della notte“, bellissimo film con Charlotte Gainsbourg. Uscirà il 13, merita! In attesa di correre a vederlo al cinema potete intanto leggere le mie brevi note.

Invece già disponibili in streaming su varie piattaforme l’ottimo film bellico 1917, la riflessiva commedia “Brad’s Status” con Ben Stiller, l’avvincente dramma di “After Love“, il cupo thriller americano “Un gelido inverno“.

E molto altro in archivio, come al solito.

Buona lettura, buona visione e…buona Pasqua!

Roger Waters al Forum!

Roger Waters al Forum. Quattro date sold out per l'ex Pink Floyd. Spettacolo tosto e molto politico. Ma con grande musica. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Si è scritto molto sul nuovo tour di Roger Waters, “This Is Not A Drill – His First Farewell Tour“, per quattro sere “esaurito” al Forum di Assago.

Forse perché è uno spettacolo così potente e ricco di stimoli da farti perdere la testa e uscire frastornato.

Tanto che per seguire tutto e avere cognizione esatta di quel che capita in scena bisognerebbe avere i poteri del Bowie alieno di “L’uomo che cadde sulla Terra” (quello che guardava decine e decine di programmi tv in contemporanea senza perdersi una virgola).

L’ex Pink Floyd ha ideato un magniloquente bailamme che mescola tecnologia spinta e passione umana, gli schermi giganti che trasmettono video e slogan senza soluzione di continuità e l’artista che snocciola spesso e volentieri a chiare parole la sua visione del mondo.

Non sempre condivisibile, magari, ma questo è un altro discorso, assai complesso e delicato. Che riguarda le intime opinioni di ognuno di noi.

E’ comunque un mondo brutto, se non ce ne fossimo già accorti, dominato da squilibri economici, guerre di convenienza, totalitarismi di ogni genere, poteri forti, multinazionali, censura e via dicendo.

Waters, dispensando generosamente “vaffanculo” a destra e a manca (ma in particolare alla politica degli Usa), ci racconta questo e tanto altro in uno show denso di musica ed effetti speciali, molto politico e molto contemporaneo, nonostante parecchia della musica suonata sia di vecchia, se non vecchissima data.

Del resto le ingiustizie e le storture del nostro sistema hanno origini e radici assai lontane. E di migliorie all’orizzonte se ne vedono poche.

La nuova e apocalittica versione di “Comfortably Numb” è solo l’inizio di un viaggio negli incubi del nostro presente, con rare concessioni alla nostalgia del tempo che fu (“Wish You Were Here” e poco altro) e solo un raggio di luce verso la fine, con l’esortazione ai grandi della Terra a riunirsi al “bar” dell’omonimo brano inedito, chiarirsi le idee e provare a cambiare le cose.

In mezzo, come direbbero i giovani, “tanta roba”, dispensata su un grande palco centrale con una passerella che ti porta gli artisti a due passi da te.

E il supporto di una folta band decisamente all’altezza della situazione.

In un paio d’ore ad alta tensione sfilano i brani da solista alternati alle botte al cuore del repertorio della storica band.

“Another Brick In The Wall” subito in scaletta, l’ultima sezione dell’infinita “Shine On You Crazy Diamond”, la potenza evocativa di “Sheep”, con l’esaltante giro di chitarra finale e la pecora gigante che vaga in alto sopra le teste degli spettatori (poco dopo arriverà pure il maialone).

La seconda parte vede Waters nei panni del gerarca di “The Wall”, spara col mitra sul pubblico, cavalca il ritmo incalzante di “Run Like Hell”.

Si distende infine sulla facciata B del magico “The Dark Side Of The Moon”. E quando arrivano “Brain Damage” ed “Eclipse” a chiudere il cerchio di quel capolavoro, c’è poco da fare. Se non commuoversi e applaudire.

Si replica a Bologna il 21, 28 e 29 aprile.

Ed è già tutto esaurito. Naturalmente.

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