Il blog di Diego Perugini

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Vinicio Capossela, una “canzone urgente” contro tutte le guerre

Vinicio Capossela esce oggi con "La crociata dei bambini". Una canzone urgente contro tutte le guerre. Con un video commovente. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Vinicio Capossela – foto di Jean-Philippe Pernot

Giusto un anno fa scoppiava l’ennesima guerra, stavolta assai vicina ai nostri confini. E a un anno di distanza ancora non se ne vede la fine.

Vinicio Capossela ha voluto dire la sua nel modo che più gli è congeniale: la musica.

Esce oggi “La crociata dei bambini”, una “canzone urgente” contro tutte le guerre, una struggente ballata dall’incedere dolente, con pianoforte in evidenza e ampi scorci melodici dettati dagli archi.

Vinicio racconta senza enfasi e senza retorica, ma con immagini suggestive e toccante vena poetica, una storia di bambini che fuggono dalla guerra per cercare una terra di pace.

Un lungo corteo di ragazzi (più un povero cane) a camminare nel gelo e col morso della fame, sperando di trovare un mondo migliore. Da brividi.

Lo spunto viene da un poema di Bertolt Brecht, ispirato da un evento storico in epoca medievale, che lo scrittore ambienta fra le nevi della Polonia agli inizi della seconda guerra mondiale.

Spiega Vinicio: “Questo pezzo fa parte di 13 canzoni urgenti, un’urgenza che è nata un anno fa, quando si è compreso che il tempo che pensiamo di avere non è illimitato, ma tutti possiamo essere spazzati via da un potere più grande e impersonale.

Allora sono andato a rileggere Brecht, le sue canzoni e poesie scritte mentre la notte era caduta sul suo paese e l’ombra della guerra iniziava a oscurare l’Europa.

Tra queste ho trovato “la crociata dei bambini” ambientata in Polonia nel 1939. L’innocenza dell’infanzia e dell’animale sono tra le vittime più insostenibili dell’orrore della guerra.

La pubblichiamo oggi ed è il nostro modo di dire no alla guerra. Nessuno più invoca la pace, ovunque si cerca la vittoria.

Per dirla ancora con Brecht: la guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.

Tra i vinti la povera gente faceva la fame. Tra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente”.

Il tutto accompagnato da un commovente lyric video, realizzato dal disegnatore Stefano Ricci, con la collaborazione di Ahmed Ben Nessib, utilizzando la tecnica del gesso bianco su carta nera.

Un lavoro minuzioso costituito da 4705 immagini, fotografate una per una, senza alcun ausilio di tecniche di animazione digitale.

Guardate. Ascoltate.

E pensateci un po’ su.

Paolo Conte alla Scala: c’ero anch’io!

paolo conte_lascala_@stebrovetto 2

Per una volta lo posso dire: c’ero anch’io. Perché quello di ieri sera è stato un evento nel vero senso della parola.

La prima volta di un artista pop (per modo di dire) alla Scala, tempio della lirica meneghino, con annesse risibili polemiche da parte dei soliti retrogradi bacchettoni. Come scrisse qualcuno di importante, non ti curar di loro ma guarda e passa.

E così s’è fatto, applaudendo di gusto il grande vecchio Paolo Conte su quel palco storico, in un passaggio che pare quasi un premio alla carriera.

Teatro strapieno, naturalmente, di vip e gente comune. Con tv e cronisti a caccia di dichiarazioni, a ricalcare il cliché mondano delle prime. Abiti eleganti, papillon e pailettes, ma anche semplici jeans e maglioncini.

E lassù in galleria, zona popolare di loggione e loggionisti, si son visti anche magliette e maniche corte, perché i posti sono strettissimi e fa un caldo boia.

L’unico dress code, insomma, pare quello dell’amore per la musica evocativa e immaginifica dell’artista astigiano.

Conte dispiega per l’ennesima volta il suo “spettacolo d’arte varia”, seduto al pianoforte o in piedi davanti al microfono, con la consueta corte di musici eccelsi.

Non si lascia intimidire da cotanto palco, indossa il solito abito scuro con maglietta in tinta, degli occhiali da sole e, quando ci vuole, non disdegna di suonare il suo “pernacchiante” kazoo.

Ci sono anche telecamere e ammennicoli tecnologici, che lasciano presagire film e album dal vivo in un futuro prossimo venturo.

La scaletta è già lì pronta ad uso e consumo di tutti, in una tipica locandina scaligera, come fossimo lì a vedere l’Aida o le Nozze di Figaro.

Invece c’è questo 86enne dalla voce roca e bassa, che dispensa i suoi classici come fossero bignè. A voler proprio trovare il pelo nell’uovo, potremmo dire che è un po’ il “solito” (e bellissimo) concerto che da qualche tempo il Nostro sta portando in giro per il mondo. Ma, per fortuna, con qualche piccola variazione sul tema.

E, come al solito, niente commenti o aneddoti, solo la presentazione dei musicisti, più qualche inchino di cortesia e ironiche mosse da direttore d’orchestra.

paolo conte_lascala_@stebrovetto

Sfilano “Aguaplano”, “Sotto le stelle del jazz”, una bellissima “Milonga”. La gente applaude, talvolta sfida la sacralità scaligera con qualche smartphone in azione (incluso qualche squillo inopportuno), tentativi di applausi a ritmo, qualche urlo di incitamento o ringraziamento.

Il meglio è quando arrivano le perle più rare: il ripescaggio dell’antica “Uomo camion”, struggente tocco di romanticismo virile, e “La frase”, gioiellino minore da un disco favoloso come “Appunti di viaggio”.

Fuori scaletta, da solo al pianoforte, ecco “Dal loggione”, quanto mai opportuna vista la sede: storia di un amore clandestino e impossibile sullo sfondo di un teatro comunale. Lei bellissima in platea col marito, lui dal loggione che la mira adorante. E poi: “Viva la musica che ti va/ Fin dentro all’anima che ti va”. Da brividi.

Il secondo tempo viaggia sul sicuro, con i classici più classici: su “Gli impermeabili” parte un’ovazione a scena aperta, così come per “Via con me” e la sempre mirabile “Max” (che però continuo a preferire nella vecchia versione con più energia e più fisarmoniche).

In “Diavolo Rosso” si scatena la band, mentre Conte seduto al piano si volta e si gode i pirotecnici virtuosismi dei suoi strumentisti. Su “Il maestro”, testo leggiadro e musica esaltante, tre coriste fanno il controcanto.

Si chiude il sipario. Il bis, come da copione, è la riproposizione di “Via con me”, col pubblico invitato con un gesto a cantare il ritornello. Nessuno se lo fa ripetere.

Si finisce così, col Piermarini a intonare “It’s wonderful, it’s wonderful…” col sorriso sulle labbra.

Alla faccia di chi voleva che questa serata non s’avesse da fare.

Povero “Vecchio Frack”

Il capolavoro di Domenico Modugno, "Vecchio Frack", viene riletto per la pubblicità di un noto marchio di pasta. Uno scempio: perché?

Non è per essere pedanti o bacchettoni, ma certe cose fatico a mandarle giù.

Guardo la tv, capito per caso nel momento degli spot pubblicitari e vengo attirato da una musica cara e familiare.

Mi fermo un attimo e la riconosco: è “Vecchio Frack” di Domenico Modugno.

Solo che qui il testo è cambiato: invece del racconto della malinconica passeggiata notturna di un uomo verso il suicidio, si decantano le virtù di un noto marchio di pasta.

Canta l’attrice Claudia Gerini. E nell’allegro e festaiolo video compare anche il sex symbol (così ho letto) Can Yaman.

Mi domando il perché di questo scempio. E non trovo risposta.

Un po’ di rispetto verso certi capolavori del passato mi sembrerebbe cosa buona e giusta. Ma, forse, chiedo troppo.

Non mi resterà che boicottare quel marchio, una ribellione piccola piccola. Ma mi farà (spero) sentire un po’ meglio. E meno complice.

Sanremo 2023, la musica è finita

Rosa Chemical mette in mezzo Fedez con un siparietto provocatorio.

Ecco, la musica è finita, gli amici se ne vanno ecc. ecc. E se ne va anche un altro Sanremo, con un Mengoni vincitore annunciato da quel dì.

Vincitore con un brano non eccezionale, nato con l’obiettivo precipuo di esaltare la voce dell’artista di Ronciglione. Che, a dirla tutta, in questi giorni ha un po’ stufato con gorgheggi e acuti da virtuoso.

Ma, evidentemente, c’è a chi piace. E se ne prenda atto.

Sorprende, ma fino a un certo punto, il secondo posto di Lazza, la cui “Cenere” è cresciuta di sera in sera. Un pezzo moderno, contemporaneo e accattivante, col piccolo (?) aiuto del duo Petrella/Dardust ad aumentarne il livello di godibilità.

Senza dimenticare che questo ragazzo nato ai bordi di periferia (milanese) l’anno scorso è stato campione di vendita e streaming e si appresta a partire per un tour nei palazzetti già tutto esaurito.

Lo confesso: non mi piace granché, ma è tifosissimo del Milan, quindi lo promuovo a pieni voti.

L’unica sorpresina, semmai, è quella di Mr. Rain al terzo posto con “Supereroi”, che peraltro ricorda parecchio un suo passato successo, “I fiori di Chernobyl”.

Ma anche qui parliamo di un nome magari non notissimo al grande pubblico, ma con una forte fan-base e numeri importanti in quanto a vendite e streaming.

Il quarto posto di Ultimo sa di delusione, così come il sesto di Giorgia, penalizzati entrambi da canzoni modeste.

Ma, a onor del vero, tutto il festival non ha rivelato pezzi memorabili, se non qualche scheggia di talento qua e là.

Madame, Colapesce Dimartino, Elodie forse i più intriganti.

La maratona finale ha portato in scena due grandi vecchi della nostra canzone fra titoli capolavoro, estemporanee boutade e un pizzico di malinconia.

Ma il momento più esilarante è stato quando Rosa Chemical ha tirato in mezzo Fedez mimando un rapporto anale e poi baciandolo in bocca.

Volgarità? Sì, forse. Però mi ha fatto ridere di gusto.

E a Sanremo non capita così spesso.

Sanremo, l’importante è esagerare

Sanremo, l'importante è esagerare. Da sempre il festival vive come in un'altra dimensione. Dove l'eccesso è la regola. Intanto il super-favorito Mengoni guida la classifica.

Una delle cose che mi ha sempre colpito di Sanremo è l’eccesso.

In quella settimana tutto è esagerato: in città si respira un delirante clima di divismo d’altri tempi, con la gente che si accalca sulle transenne e va a caccia di autografi (una volta) e selfie (ora).

Per non dire delle mille e una iniziative collaterali, fra feste, presentazioni, concertini. Quest’anno c’è pure la nave ormeggiata e un palco esterno per i live.

Lo spettacolo televisivo, poi, è infarcito come un kebab di quelli tosti: c’è di tutto e di più. Ma non sempre è gustoso, soprattutto quando vai per le lunghissime e ci piazzi dentro un mare infinito di pubblicità.

I media, poi, ci danno dentro.

La sala stampa aumenta ogni anno di nuovi cronisti o presunti tali. Lo spazio sui giornali è sempre ampio, così come il numero degli inviati. Anche se ora credo siano web e social a fare la parte del leone.

Tutti (si fa per dire) si sentono in dovere di stilare le proprie pagelle, fornire la propria versione, farsi vedere, distinguersi dalla massa.

Dare il resoconto minuto per minuto più figo, originale, controcorrente e, ca va sans dire, senza filtri.

Il risultato è un’overdose autoreferenziale di notizie, video, interviste, foto e arzigogoli vari.

Uno sforzo imponente, un impiego (uno spreco?) di soldi, tempo ed energie che, per forza di cose, lascerà il tempo che trova.

Assieme alle polemiche che da sempre montano e poi si sgonfiano in un attimo. Spesso risibili.

Come il gossip sul fantomatico litigio fra Oxa e Madame, che ha mandato in agitazione organizzatori, entourage e sala stampa (sic!).

Da qui alla fine, sabato, ci sarà tempo per altri exploit.

Intanto il super-favorito Mengoni guida la classifica davanti a Ultimo e al sorprendente Mr. Rain.

E stasera tocca a cover e duetti. Speriamo bene.

Sanremo 2023: i vegliardi fuoriclasse

Gianni Morandi, Massimo Ranieri e Al Bano. Tre vegliardi fuoriclasse all'Ariston. Il commento di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

E alla fine, seppur con fatica, le abbiamo ascoltate tutte le canzoni di questo Sanremo 2023. Con la conferma di non avere trovato nessun pezzo clamoroso in scaletta: non dico una “Vita spericolata”, ma nemmeno solo una “Fai rumore”.

E il pensiero, inevitabilmente, va ai titoli sciorinati dai tre vegliardi ospiti: dai, volete mettere “Vent’anni”, “Nel sole” o “Uno su mille”? O “Il nostro concerto” di Bindi?

Ok, boomer mi risponderete. Ti piace vincere facile, eh?

Vabbè, torniamo alla gara. Perché non tutto è da buttare.

Colapesce Dimartino, primi per la stampa, non ritrovano l’estro genialoide di “Musica leggerissima”, né ovviamente l’effetto sorpresa dello scorso anno.

Ma “Splash” è comunque intelligente e accattivante, con parole non banali (e condivisibili) sul peso delle aspettative.

Non male Madame e Levante, pur da diverse prospettive, mentre Paola e Chiara citano sin troppo se stesse e vanno sul sicuro danzereccio.

Lazza, incensato da molti, propone quell’urban modaiolo che a me fa venire l’orticaria (problema mio, d’accordo) ma probabilmente andrà forte nelle radio e nello streaming.

Gli Articolo 31 mettono in scena una reunion nostalgica con sincere lacrime di commozione.

La delusione più grande viene, semmai, da Giorgia: canta maluccio (emozionata? arrugginita?) un pezzo modesto, una ballata soul-pop in crescendo che non brilla per originalità.

Contiamo possa riprendersi da qui alla finale. Daje!

Sanremo 2023: Blanco superstar

Partito Sanremo 2023. Serata un po' moscetta, con Blanco che spariglia le carte. Le canzoni? Così così. Però bene Mengoni ed Elodie. Il commento di mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Spiace dirlo, ma l’unica cosa che mi ha svegliato dal torpore sanremese è stata la follia di Blanco. Che ha rovinato l’idillio di fiori e canzoni con un gesto dirompente. Anzi, di rottura nel vero senso della parola.

Una mossa punk, una deriva situazionista o, per dirla più terra terra, una solenne cazzata. Condannata all’unanimità dalla sala dell’Ariston come dai salotti delle case degli italiani (inclusa mia zia Mirella, 81 anni, scandalizzata). E, naturalmente, dai social impazziti.

Non so se, come azzardano i soliti meglio informati, fosse davvero tutto preparato. Ovvero soltanto un furbo e bieco siparietto per far parlare ancora di più di questo Sanremo 2023. Come se tutto quel che leggiamo/vediamo non fosse già abbastanza. Mah.

Intanto il video è diventato subito virale candidandosi a successore del “Dov’è Bugo?” di morganiana memoria. Così è, se vi pare.

E le canzoni? Poca roba da mandare a memoria.

Anna Oxa pretenziosa, Ultimo e Mr. Rain citazionisti di se stessi, Grignani sopra le righe (ma il testo non è male). Coma_Cose più seriosi del solito, Colla Zio simpaticamente casinari, Ariete ha fatto di meglio.

I Cugini di Campagna sono trash solo nel look, un po’ impacciati in un pezzo a loro poco congeniale.

Spicca Mengoni, non tanto per il brano (niente di che), ma per voce e interpretazione superiore una spanna agli altri.

Brilla pure Elodie, che sa tenere il palco e anima una canzoncina leggera già in odore di tormentone. Ma sì, quasi quasi ora tifo per lei.

E il resto? I super-ospiti Pooh ci possono anche stare, però quel Facchinetti lì sempre e comunque a sparare con l’ugola non si può proprio sentire.

Come non si possono sentire i monologhi. Non so a voi, ma a me hanno fatto venire venire l’orchite.

E ho detto tutto.

Metti una sera con Michael Bublé

Metti una sera con Michael Bublé. Il crooner canadese si è esibito al Mediolanum Forum d'Assago. Il report di mannaggiallamusica.it
Michael Bublé, foto di Joshua Mellin

Certe notti hai bisogno di un po’ di leggerezza, di un sorriso, di un momento di relax. Anche e soprattutto quando la tua squadra del cuore perde malamente un altro derby.

Così ci ha pensato Michael Bublé a rinfrancare il morale col suo Higher Tour in una fredda domenica sera al Mediolanum Forum di Assago.

Il crooner canadese ha messo in piedi uno spettacolo ricco e ambizioso, un po’ come se fossimo a Las Vegas o da quelle parti.

L’orchestra sullo sfondo, disposta su varie gradinate, una lunga passerella che arriva a metà Forum, vari schermi giganti, alcuni fissi e altri che si srotolano. In più tre coristi/ballerini e un impianto luci di quelli buoni.

Poi c’è lui, vestito elegante e perfetto padrone di casa, piacione e gigione nel dialogare col pubblico, a creare subito un rapporto di calorosa intimità.

Canta, balla, scende in platea, stringe mani, suda copiosamente, gioca col fazzoletto nero.

Racconta aneddoti a ruota libera, rivendica le sue origini italiane, parla del festival di Sanremo e di suo nonno, s’atteggia ironicamente a sexy-macho e regala uno scherzoso dito medio a chi lo relega a cantore delle sdolcinatezze natalizie.

Ma, soprattutto, Bublé canta. E bene.

I suoi successi, come la dolcissima “Home”, ma per lo più i classici altrui.

Sfilano allora tanti grandi titoli del canzoniere americano (e non solo), da “L-O-V-E” di Nat King Cole alla romantica “Smile” di chapliniana memoria, da “To Love Somebody” dei Bee Gees alla disco targata Barry White di “You’re the First, the Last, My Everything”.

Anche se, forse, il momento più bello è quando il nostro si piazza in fondo alla passerella e rispolvera il sempreverde Elvis con un medley assai piacevole e sin troppo breve.

Un uomo da cover, insomma, che rilegge il passato con rispetto e senza strappi.

Un istrione dei nostri tempi che magari non sarà il massimo dell’originalità, ma sa benissimo come si tiene il palco e come si intrattiene la gente. Che, puntualmente, non si fa pregare e anzi risponde con applausi, urla e coretti in stile karaoke.

Arrivano i bis e arriva pure la notizia di un altro Grammy vinto. Bublé pare sinceramente commosso e dichiara tutto il suo amore per Milano, città che gli porta fortuna.

Ma è quasi tempo di chiudere: ecco pezzi da novanta di Marvin Gaye e Drifters, poi ancora Elvis, con la romantica “Always on My Mind”. Un’ora e tre quarti o poco più.

Dai, ci siamo divertiti.

E pazienza se il Milan ha perso.

Metti una sera con Michael Bublé. Il crooner canadese si è esibito al Mediolanum Forum di Assago. Ecco il report di mannaggiallamusica.it

Sanremo sì, Sanremo no

Ci siamo. O quasi. Martedì parte Sanremo 2023. Piccole riflessioni della vigilia di un (quasi ex) addetto ai lavori. Su mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Come tutti sapete, martedì comincia Sanremo 2023.
“E chi se ne frega”, potrebbe essere una buona risposta, rimembrando la storica rubrica del settimanale satirico “Cuore”, una vita fa.

Del resto il festival rimane divisivo: da una parte gli entusiasti a priori, dall’altra gli instancabili detrattori. Io, come spesso capita, sto nel mezzo.
Non mi piace, ma lo vedo lo stesso. Per curiosità, affetto, come fenomeno di costume.

Lo seguo, ancora bambino, da fine anni Sessanta, più avanti anche da addetto ai lavori, ora come spettatore disincantato. Che non commenta sui social né si perde dietro le inevitabili polemiche. E, anzi, si prende la libertà anche di schiacciare un pisolino, staccare la spina quando si fa troppo tardi, seguire a spizzichi e bocconi. E non pensarci più di tanto se su un altro canale c’è un bel film o una partita del Milan.

Farò così anche quest’anno.
Sanremo 2023 s’annuncia come l’ennesimo calderone pieno zeppo di cose, che fa presagire trasmissioni tirate fino a notte fonda. Ecco, fosse per me asciugherei tutto.

Basta siparietti, intrattenitori, sportivi, comici, attori, politici, ospiti di qui e ospiti di là. Cioè quei momenti che mi fanno subito scattare la corsa al telecomando. Lascerei solo qualche super-ospite musicale (ma che lo sia davvero) e stop.

Ma so che la mia è una pia illusione e si proseguirà con le solite micidiali maratone alla “Non si uccidono così anche i cavalli?” per questioni economiche, di sponsor e via dicendo.

E le canzoni? Non le ho ancora ascoltate, lo farò strada facendo come i comuni mortali. Non mi aspetto capolavori, spero in qualche brano sopra la media.

Il cast, come ho spiegato in altro post, è un mix per accontentare un po’ tutti, ragazzini, adulti e nonni. Con una serata cover con una marea di nomi illustri per un gigantesco karaoke collettivo.

Piaccia o meno, c’è da ammettere che Amadeus (e qualcun altro prima di lui) ha riportato il festival ai fasti di un tempo. Ora non ci vanno più solo vecchie glorie o chi deve rilanciarsi, ma anche chi ha successo o, come si dice oggi, è di tendenza.

Perché Sanremo porta bene, basti pensare alla popolarità in grande stile regalata a Dimartino e Colapesce, Coma Cose, La Rappresentante di Lista, Pinguini Tattici Nucleari e, ca va sans dire, Maneskin.

Vedremo cosa capiterà quest’anno.
E se proprio non ce la fate, buttate un occhio al mio Angolo del Cinefilo: ci sono tanti consigli per godersi un buon film.

Alla faccia di Sanremo.

Weekend con l’Angolo del Cinefilo

Nuovo appuntamento weekend col mio Angolo del Cinefilo, con tanti titoli per tutti i gusti.

Precedenza assoluta a The Fablemans del maestro Spielberg, giustamente in odor di Oscar.

Ma vi trovate anche gradevoli commedie italiane come Banana e Settembre.

In più un vecchissimo horror di George Romero, The Amusement Park, creduto perso, e l’attualità di un ottimo film francese come Full Time – Al cento per cento.

E molto altro ancora.

Buona visione e buon weekend!

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