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Piccole donne

"Piccole donne", recensione film su L'Angolo del Cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

USA, 2019. Drammatico, 135′. Regia di Greta Gerwig. Con Saoirse Ronan, Emma Watson, Eliza Scanlen, Florence Pugh, Laura Dern, Meryl Streep, Timothée Chalamet, Louis Garrel.

Rivisitazione firmata Greta Gerwig (che poi dirigerà il blockbuster “Barbie”) di un classico della letteratura al femminile. Storia di quattro sorelle in un tempo lontano, che diventa racconto di emancipazione e riscatto sociale. Versione interessante e cast lussuoso, anche se troppi avvenimenti vengono compressi e si perde un po’ il filo, complice l’insistito uso del flashback.

Sanremo 2019, vince Mahmood!

Mahmood, vincitore di Sanremo 2019
Vittoria a sorpresa dell’outsider Mahmood a Sanremo 2019. Un brano moderno, figlio del nostro tempo.

di Diego Perugini

“Pazzesco, pazzesco”, ripete stordito dalla gioia e dall’emozione. E, in effetti, un po’ di (lucida) follia c’è nel verdetto finale di Sanremo 2019. Vince Mahmood, ovvero un outsider, snobbato dalla ridda dei pronostici di professionisti e gente comune. Ed è una bella vittoria, sebbene decretata dai voti della stampa e della giuria d’onore, mentre il pubblico di casa col televoto gli ha preferito di gran lunga il più tradizionale Ultimo. Un verdetto che mi ha ricordato alla lontana quello di 19 anni fa, quando la giuria di qualità spinse gli Avion Travel in cima alla classifica, penalizzando gli altri. Stavolta, però, non m’è sembrato di vederci un eccesso di strategia, come fu allora. Semmai, differenze di gusti e vedute. Mia ingenuità. Perché invece s’è scatenato subito un putiferio, con accuse, polemiche, insulti e le solite strumentalizzazioni politiche.

Ma anch’io, dovendo scegliere, avrei preferito Mahmood. Perché la sua canzone è più moderna, contemporanea. E rappresenta bene il melting pot di stili, generi e culture dei nostri tempi. In “Soldi” ci ritrovi trap, rap, elettronica, pop e influssi mediorientali. Perché, appunto, Mahmood è un figlio dei nostri tempi, milanese di nascita da mamma sarda e papà egiziano. E sa far convivere nel modo giusto radici e influenze differenti. Poi la canzone ha un ritmo accattivante e ipnotico, con frasi martellanti e quel battito di mani che ti restano in testa. In più parole semplici ma non banali, nel racconto autobiografico di rapporti familiari rovinati dalla vil pecunia, una storia in cui in molti si identificheranno.

Non so, poi, questo exploit dove lo porterà. Di certo la sua vittoria ha rovinato la festa annunciata di Ultimo che, con scarso fairplay, ha polemizzato coi giornalisti in conferenza stampa. Ma, in fondo, il ragazzo romano non ha torto: si prenderà la rivincita nel dopo Ariston, riempiendo i palasport di fan assatanati. Mahmood, chissà…

Sanremo 2019, le canzoni. Non male, ma..

Si chiude qui, quindi, l’edizione 69 di Sanremo. Il livello generale non è stato male, pur senza picchi vertiginosi. Daniele Silvestri ha fatto il pieno dei consensi della critica con un pezzo per niente facile, ma interpretato e sceneggiato con sapienza. Non so poi come renderà fra radio, streaming e dintorni. Ma lui resta un fuoriclasse vero.

L’indie ne esce benino: il pezzo di Motta è imperfetto ma vibrante, con un ritornello potente (“Dov’è l’Italia amore mio?/Mi sono perso”) facilmente condivisibile. Gli Zen Circus un po’ eccessivi e pretenziosi coi loro fiumi di parole in crescendo e niente ritornello (aridatece “Andate tutti affanculo”); Ex-Otago debolucci rispetto agli standard di “Marassi”; Boomdabash innocui ma simpatici col loro reggae made in Salento. L’ex rapper Achille Lauro ha smosso le acque con un rockettino derivativo e ambiguo, con corredo di polemiche sui presunti riferimenti alla droga. Il riff stile Vasco è una furbata vincente, almeno per ora. Durerà?

Parentesi Cristicchi: forse sarò insensibile o quant’altro, ma lo trovo retorico e noioso. Possibile che sia l’unico a pensarla così? Mah. Bertè quarta fra l’incazzatura del pubblico dell’Ariston: la statura del personaggio non si discute, ma il brano non era all’altezza. Di Ultimo s’è già accennato: canzone nel solco della tradizione pop sentimentale, appena aggiornata al 2019. Piacerà molto ai cuori di panna, ma poteva dare di più. Su Il Volo tocca prendere atto che piacciono e molto: sono sempre tra i primi, la critica (me compreso) se ne faccia una ragione. Amen.

Un po’ di malinconia per una Patty Pravo in fase calante, con un brano modesto e un partner fuori contesto: finisce nelle retrovie. Triste, ma giusto così. Rimane in testa il ritornello di Arisa, penalizzata da esibizioni non all’altezza, fra stecche e dimenticanze. A proposito di ritornelli: il primo che m’ha “tormentato” già dopo la prima sera è stato quello dell’imberbe coppia Shade/Carta. E, intanto, su YouTube il loro clip ha già superato i quattro milioni di visualizzazioni. Saranno mica loro i veri vincitori di Sanremo?

Sanremo 2019, si parte

Comincia “Sanremo 2019”, il secondo targato Baglioni. Tutti (?) davanti al piccolo schermo per l’ennesima puntata della storica kermesse. Lo seguirò da casa, noia e sonno permettendo. Intanto, eccovi qualche ricordo e riflessione a ruota libera.

di Diego Perugini

“Sanremo? Ma lo fanno ancora?!” mi chiede ironico Miki, un ragazzo della palestra che frequento. A lui, come a tanti intorno a me, non frega nulla del festival. Gente normale, per intenderci, non i giovanissimi fanatici della trap, ma trentenni e più con mogli e figli. Come Miki, appunto. Fanno un’altra vita, hanno altri interessi, la loro esistenza questa settimana non ruota intorno a quanto accade all’Ariston, come invece sembrerebbe dal solito can can mediatico totalizzante. Poi gli ascolti diranno altre cose, che metà degli italiani sono rimasti incollati al video, che il gradimento è massimo (o minimo) ecc. ecc. Comunque sia, Sanremo sta per iniziare. Lo seguirò. Forse non tutto e non sempre, magari farò un po’ di zapping, forse andrò al cinema o a vedere qualche concerto, forse schiaccerò strada facendo un pisolino sul divano. Ma lo seguirò. Per curiosità professionale e vecchio amore. Come quando, a otto anni, rimasi folgorato da Lucio Dalla e il suo “4/3/1943” in bianco e nero: quella voce, quel violino, quelle parole, quella melodia.

Lucio Dalla, Sanremo 1971

Più avanti ricordo lo choc (positivo) della “Vita spericolata” di Vasco e, negli anni Ottanta, le adunate in compagnia anche solo per “gufare” (simpaticamente) Toto Cutugno. Trascinavo fidanzata e amici riottosi alla maratona sul piccolo schermo, si finiva satolli di cibo e vino a ronfare sino alle ore piccole. Poi ho cominciato ad andare a Sanremo sul serio, per lavoro. Poche volte, a dire il vero, e senza entusiasmo. C’era questa gigantesca sala stampa, con i primi posti per le testate più importanti e via via a scendere fino all’ultimo “peone”. E l’atmosfera fra il goliardico e il cameratesco, con l’adrenalina a mille nei momenti topici. Perché, dicevano i cronisti storici, una notizia che in giornate normali sarebbe di poco conto, a Sanremo diventa una bomba. Verso fine serata il clima si faceva più lento e la stanchezza prendeva il sopravvento assieme a un filo di malinconia sottesa. Chi prendeva la saggia via del riposo, chi vagabondava fino all’alba fra cene, feste, ritrovi e live notturni. Salvo poi ritrovarsi tutti il giorno dopo, occhi pesti e incedere da zombi, a saltabeccare fra i mille e uno appuntamenti promozionali.

Sanremo, sala stampa

Una delle cose più curiose era l’atteggiamento di parecchi colleghi: in apparenza schifati dall’idea di andare ancora a Sanremo, ma sotto sotto felici e orgogliosi di essere parte del grande circo. Io, invece, l’ho sempre vissuta in negativo. Non mi piaceva la musica del festival, detestavo stare ore in quell’ambiente claustrofobico, odiavo lavorare sotto pressione, mi deprimeva l’assurda psicosi collettiva, con gente accalcata nei pressi della passerella per carpire un cenno o un autografo all’eroe di turno (senza magari sapere nemmeno chi era). Insomma, non vedevo l’ora di tornare a casa. L’ultima volta, addirittura, ho fatto le valigie prima della finale in polemica col giornale che mi ci aveva spedito: perché volevano che scrivessi di tutto tranne che di musica. Mah.

Non so quanto sia cambiato negli ultimi anni, non credo granché. Una costante rimangono le polemiche. Le lamentele degli esclusi, i casini col televoto, le giurie specializzate, i presunti brogli, le interferenze politiche e altro ancora. Ci si potrebbe scrivere un libro.

Il 2019 è l’anno del conflitto d’interessi baglioniano. Una battaglia portata avanti da un incazzoso e coraggioso collega e, all’inizio, bellamente ignorata dalla stragrande maggioranza dei media, immagino per il classico “quieto vivere”. Salvo poi ripensarci quando nell’agone è arrivato il carrarmato “Striscia la notizia”, a cui non è parso vero avere un bel bocconcino Rai da mordere. Il tema è intrigante, lo sviluppo non so. Con un pizzico di fatalismo qualunquista mi verrebbe da dire che finirà come sempre. Tanto fumo e poco arrosto. La polemica monta, s’ingrossa, s’infiamma ma alla fine si sgonfia. E tutto ricomincia come se nulla fosse accaduto. Ma sarò lieto di venire smentito, se qualcosa davvero cambierà.

Daniele Silvestri, in gara a Sanremo 2019 con “Argentovivo”

Intanto da stasera si parte. Le canzoni non le ho ancora sentite, ma il cast ha qualche asso nella manica anche per chi, come me, ne ha piene le tasche dei soliti nomi da festival. Curioso di sentire Silvestri, Motta, Ex-Otago, Zen Circus, persino Achille Lauro, che solitamente mi fa venire l’orticaria. Quindi mi metterò con fiducia (relativa) davanti al piccolo schermo. Sempre che lo spettacolo monstre non affossi le mie buone intenzioni, fra siparietti comici, ospiti, pubblicità e amenità varie. In questi casi c’è il telecomando in agguato. O un rassicurante cuscino su cui posare la testa.