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I 50 anni di “The Dark Side Of The Moon”

50 anni di "The Dark Side Of The Moon". Lo storico album dei Pink Floyd esce venerdì in un nuovo box rimasterizzato. L'ascolto di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Sono sempre un po’ combattuto quando escono le riedizioni dei dischi che amo.

Da una parte c’è la curiosità del fan, dall’altra il timore che sia l’ennesima furbata per raschiare il barile di un repertorio già ampiamente sfruttato.

Alla fine, per la solita questione di nostalgia canaglia, scelgo in genere a priori la prima opzione.

Stamattina, per esempio, sono andato al cinema Anteo per l’ascolto in audio spaziale di “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd, in uscita venerdì in un nuovo cofanetto deluxe rimasterizzato (qui i dettagli)

Il motivo, ormai lo sanno anche i sassi, sono i 50 anni dalla pubblicazione di quel disco storico, entrato nei cuori di milioni di ascoltatori di ogni età.

Un lavoro geniale e suggestivo, sperimentale e commerciale al tempo stesso, non a caso fra i campioni di incassi di tutti i tempi.

L’avrò sentito decine e decine di volte, lo conosco quasi a memoria, eppure ancora oggi riesce a regalarmi delle buone vibrazioni.

L’ascolto collettivo in un cinema, con la precisione del Dolby Atmos e 38 altoparlanti sparsi per la sala, tutti concentrati, seduti in comode poltrone, a luci spente e occhi chiusi, è un piccolo grande plus.

Un momento di distacco dalle paturnie del presente, una salutare sosta contro il logorio della vita moderna.

A sentire suoni e rumori così ben definiti m’è venuto in mente il tempo antico in cui per la prima volta mi avvicinai a quell’album.

Ero un ragazzino, comprai l’ellepì già ammaliato dalla fascinosa copertina e lo sentii rapito sul giradischi dei miei genitori.

Che non era uno stereo ad alta fedeltà, ma una valigetta Philips con un solo altoparlante. Fu comunque un’esperienza unica. Irripetibile.

Oggi è tutta un’altra cosa, ovviamente.

Poi, non sono così ipertecnico da valutare nei dettagli la bontà dell’operazione.

Dico solo che l’esperienza mi è piaciuta. E mi sono emozionato ancora una volta nel ritrovare pezzi tanto familiari.

A ognuno il suo preferito, naturalmente: io stravedo per il finale, col crescendo di “Brain Damage” ed “Eclipse”.

Ma anche “The Great Gig In The Sky”, nonostante gli innumerevoli ascolti, conserva ancora il suo perché.

Si accomodino quindi fan, collezionisti e appassionati.

E ci sarà pure un evento speciale: domani in piazza Duomo a Milano, dalle 20, andrà in scena uno spettacolo di luci dedicato al disco.

Mentre 50 negozi delle principali città italiane rimarranno aperti a mezzanotte per l’acquisto in anteprima del box, con gadget esclusivo in omaggio.

Credits Hipgnosis, Pink Floyd Music Ltd

50 anni di America

America live. Il tour dei 50 anni di carriera
America live

Agli America, da ragazzo, ho sempre preferito CSN&Y oppure gli Eagles. Perché li sentivo troppo esili, leggeri, sdolcinati. Troppo pop, insomma. Anche perciò nella mia collezione di dischi, non c’è neppure un loro album. Vederli dal vivo, però, sì. Perché fanno comunque parte di un’epoca a me cara, e certe canzoni le riascolto sempre volentieri.

Ed è il motivo per cui sono andato a sentirli al Carroponte di Sesto San Giovanni, l’altra sera. Gran caldo e affluenza in tono minore, con in platea tanti coetanei dei due vecchi eroi sul palco. Gli America del 2019 sono Gerry Beckley e Dewey Bunnell con un tris di più giovani musicisti a dar loro manforte e sostegno.

Sono in giro con un tour che festeggia 50 anni di attività: li ho intervistati via mail per Metro e mi hanno raccontato di come amino ancora far sentire la loro musica ai fan, che uniscono generazioni diverse. E di come questo sia il loro spettacolo migliore. Parole di circostanza, forse, comunque il palco questi ultrasessantenni lo tengono ancora bene.

Il repertorio è a colpo sicuro, mescola il country-rock a stelle-e-strisce alle memorie del pop beatlesiano. Non a caso, come ricordano dal palco, hanno lavorato con George Martin, produttore dei Fab Four, dei quali ripropongono en passant una discreta cover di “Eleanor Rigby”.

Un concerto leggero e divertente, alla buona, senza fronzoli ed effetti speciali, se non uno schermo dove scorrono vecchie copertine e foto sbiadite dal tempo. I due raccontano la loro storia di successi mondiali con semplicità e simpatia, lasciando parlare quei ritornelli storici, da “You Can Do Magic” a “Survival” e “Ventura Highway”.

Sul finale le emozioni più vive: la dolcissima “Only In Your Heart”, fra Graham Nash e McCartney, la cover di “California Dreamin’” e la più dura “Sandman”, mentre sullo sfondo scorrono le immagini della guerra in Vietnam, ferita ancora aperta per il popolo Usa.

Chiusura in gloria col rockettino irresistibile di “Sister Golden Hair” e il bis del brano più atteso da tutti, “A Horse With No Name”, con torme di sessantenni assatanati nelle riprese con lo smartphone. Una bella botta di nostalgia canaglia, ma anche la testimonianza live di un buon vecchio artigianato pop. Come non si usa più.

p.s. il tour italiano prosegue fino all’11 luglio. Qui tutte le date.