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Robert Plant & Alison Krauss, la strana coppia del folk (e non solo)

E' uscito "Raise The Roof", secondo capitolo della collaborazione fra Robert Plant e Alison Krauss. Un disco fascinoso e ispirato, fuori dalle mode.  Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Diciamo che non è proprio un disco alla moda. E, forse, mi piace anche per questo. Da una settimana è in giro “Raise The Roof”, il secondo lavoro della strana coppia Robert Plant & Alison Krauss.

Plant lo conoscete tutti (almeno spero), la sua compagna d’avventure forse un po’ meno: in breve, è un’ottima artista americana d’area country-folk, che ha vinto ben 27 Grammy.

I due avevano sfornato 14 anni fa un album assai bello, “Raising Sand”, che a sorpresa si era mosso bene nelle classifiche e s’era aggiudicato sei Grammy.

Quasi tre lustri dopo arriva ora una gentile replica, sulla falsariga del precedente: quindi tante cover personalizzate, andando a pescare in territori non comuni.

Brani di Merle Haggard, Allen Toussaint, The Everly Brothers, Anne Briggs, Geeshie Wiley, Bert Jansch fino ai Calexico. Più di uno, lo confesso, non li avevo mai sentiti. C’è un solo pezzo originale, “High and Lonesome”, scritto da Plant col fido produttore T Bone Burnett.

Date un ascolto: vi troverete sonorità calde, notturne, avvincenti, con un repertorio in equilibrio fra folk, rock, soul, blues e altro ancora. Il tutto suonato da un manipolo di super musicisti.

Poi, naturalmente, ci sono le due voci, che si alternano e si amalgamano senza forzature, eccessi, voglia di protagonismo. Un lavoro artigianale, fatto col cuore e la voglia di star bene con la musica.

Come (forse) non si usa più.

p.s. Se tutto andrà bene i due saranno live il 14 luglio 2022 al Lucca Summer Festival, unica data italiana.

Vasco Rossi e il “nuovo” Colpa d’Alfredo

Vasco Rossi, in uscita il cofanetto per i 40anni di "Colpa d'Alfredo"
Vasco, foto copertina cofanetto “Colpa d’Alfredo”, autore Mauro Balletti

Vasco Rossi ha promesso nuova musica per l’inizio del prossimo anno, ma intanto per i fan è in arrivo il 27 novembre un succoso cofanetto. Protagonista è “Colpa d’Alfredo”, il suo terzo album, che compie 40anni e viene ripubblicato debitamente rimasterizzato da Sony Music Legacy.

Non è il miglior album di Vasco, ma è comunque un momento importante nella sua carriera, una sorta di ponte verso il rock da stadio che verrà. Vi ritroviamo suoni più duri e immediati, il chitarrista Solieri in pianta stabile e testi più diretti e cattivelli.

La nuova versione esce con la vera copertina, quella che Vasco avrebbe voluto: lui in primo piano con occhio nero e volto tumefatto, foto (di Mauro Balletti) invece relegata sul retro nel disco del 1980. Questione di autocensura? Probabile.

Così come il primo singolo: doveva essere “Colpa d’Alfredo”, ma quell’incipit destinato a fama imperitura (“Ho perso un’altra occasione buona stasera/ è andata a casa con il negro, la troia!”) fu giudicato un po’ troppo spinto e si virò sulla più innocua “Non l’hai mica capito”. Vasco, per altro, non ha mai rinnegato la frase, riportandola al contesto goliardico e autoironico dell’epoca.

E’ il disco anche di una toccante ballata pianoforte e voce, “Anima fragile”, un culto per i fan, racconto autobiografico della rinuncia a un amore per “colpa” della musica.

Quella canzone viene riproposta oggi con un suggestivo videoclip d’animazione che racconta di seconde occasioni e di quelle connessioni fra le persone così importanti nella vita di tutti. Oggi ancor più di ieri.

L’album esce in tre versioni: la più lussuosa e ambita è il cofanetto che include cd, vinile, 45 giri, gadgets e un libro del giornalista Marco Mangiarotti coi racconti dello stesso Vasco e le testimonianze dei musicisti.

Classica strenna natalizia, a 85 euro circa. Per chi se lo può permettere. Altrimenti le più semplici edizioni in cd e vinile.

Vasco Rossi 1980. Photocredit Angelo Deligio Mondadori Portfolio

“Cinema Samuele”, torna Samuele Bersani

"Cinema Samuele", torna Samuele Bersani. Nuovo cd per il cantautore emiliano dopo 7 anni di assenza. Ed è uno dei migliori dischi del 2020.
Samuele Bersani, “Cinema Samuele”

E’ stata una esperienza strana e straniante. La prima conferenza stampa di un big musicale dopo il lockdown. Ci si guarda da dietro le mascherine, niente baci, abbracci, strette di mano. Poi ci si siede. Distanziati, naturalmente. Tutto molto surreale. E un po’ triste. Ma si va avanti, si deve andare avanti.

Ci prova Samuele Bersani, che ha voluto festeggiare i suoi primi 50anni con un disco importante, “Cinema Samuele”, e con una presentazione “de visu” in una grande sala dell’Odeon meneghino. Dopo sette anni da “Nuvola Numero Nove”, il cantautore emiliano torna con un disco molto sofferto: “Quello in assoluto a cui ho lavorato di più”, confessa. E si sente.

C’è molta musica, in queste canzoni, fra accordi complessi, arrangiamenti raffinati, ricerca, stili differenti, un pizzico di sperimentazione. Pop, rock, canzone d’autore, persino un po’ d’elettronica. Samuele dice di essere partito proprio da lì, da un’idea di colonna sonora, ancora senza melodia, con parole da cantare in finto inglese.

Anche se poi, al solito, si va sempre lì sui testi, a coglierne significati, rimandi, spiegazioni. Samuele ammette di essere stato in difficoltà: “Non riuscivo più a scrivere nemmeno la lista della spesa”, ricorda. Un blackout totale, da cui è uscito gradualmente: “Perché avevo necessità di vivere prima di scrivere. Sono una persona sensibile, nella mia vita è caduto un fulmine che ha bruciato le mie certezze. Non stavo bene in amore”, si lascia scappare. E non è difficile intercettare fra le righe le ferite della fine di una storia importante.

Così ha girato per l’Italia per ritrovare stimoli e ispirazione: prima un tentativo fallito nella solitudine di Ginostra, poi al lavoro in un appartamento alla periferia di Milano e quindi a Parma. Durante il lockdown girava in stampelle per un edema femorale, ma la fine della “chiusura” in qualche modo ha segnato anche la fine della sua crisi. Ha chiuso i testi e serrato le file, si è perso e ritrovato, nella vita come nel lavoro.

Il risultato è un disco cinematografico già dal titolo, con le citazioni dei registi preferiti in bella mostra sul retro di copertina. Fra i più recenti Samuele sceglie i giovani fratelli D’Innocenzo, a cui consegnerebbe con piacere le chiavi di un suo ipotetico film.

“E’ come una multisala, dove ognuno entra e sceglie il suo titolo. Una volta una ragazza durante un instore mi ha fatto il più grande dei complimenti. Mi ha detto: tu scrivi piccoli cortometraggi per non vedenti”.

E di questi piccoli “corti” ce ne sono dieci in un album dal taglio molto contemporaneo, che riflette sul mondo intorno a noi. Lo struggente singolo “Harakiri” racconta il buio e il disagio da cui, però, si può scappare: “Perché intravedo un’uscita di sicurezza, uno spiraglio di luce”. Così come in “Le Abbagnale”, con un bell’arrangiamento di fiati, storia di due donne che vanno a vivere insieme, sorta di elogio dell’amore universale.

“Il tuo ricordo”, brano a cui Samuele è legatissimo, è una ballata che descrive una visionaria lotta fra presente e passato, col primo che alla fine prevale sui rimpianti e le paturnie del secondo: “E’ la canzone che mi ha dato il via, il tornare a credere nella speranza. Una gemma, almeno per me”.

“Scorrimento verticale” e “Distopici (ti sto vicino)” sono due pezzi differenti ma accomunati dallo sguardo attento sull’attualità. Il primo, vagamente jazzato, critica la mania digitale dei nostri tempi: “In parte mi ci metto anch’io. Però mi colpisce vedere i ragazzi della mia Cattolica che la sera, invece di limonare, se ne stanno sulle panchine a smanettare con gli smartphone. Bisognerebbe recuperare la sacralità della noia, fonte di riscatto e immaginazione”.

Il secondo, invece, racconta di disastri ecologici e distanziamento emotivo, stigmatizzando “le paure e l’egoismo che ci tengono schiavi”.

Uno dei momenti più curiosi è “L’intervista”, dall’incedere quasi “dance”, dove Samuele si mette nei panni di un giornalista che deve intervistare un artista spocchioso e borioso. “L’opposto di quello che era Lucio Dalla, un maestro che mi ha insegnato il senso dell’umiltà. Mentre oggi c’è chi a 20 anni ha già quell’atteggiamento arrogante che mi sta sui coglioni”.

E’ un disco scritto e realizzato con amore, tra i migliori usciti in questo matto 2020, con quell’attitudine da artigiano che Bersani conserva gelosamente. “Canzoni in cuoio”, le definisce lui fra il serio e il faceto.

Comunque assai diverse dal quel che passa il convento. “Parlando da spettatore c’è fame di roba bella, di storie, di canzoni. Servono meno despaciti e reggaeton. Non amo la trap, faccio fatica a seguirla. Mi piace un certo tipo di rap, per esempio Salmo è eccezionale, un autore vero. Ma negli ultimi anni è uscita troppa fuffa dai talent, pezzi tutti uguali, intercambiabili”.

Il prossimo passo, assai atteso dai fan, è quello degli instore, dal 5 ottobre in alcune città italiane. A seguire, da metà aprile 2021, il tour.

Le date:

18 aprile Milano – Arcimboldi

27 aprile Bari – Teatro Team

29 aprile Catania – Teatro Metropolitan

3 maggio Bologna – Europauditorium

4 maggio Roma – Auditorium Parco della Musica

7 maggio Torino – Teatro Colosseo

10 maggio Firenze – Tuscany Hall

Prevendite su ticketone.it

Vinicio Capossela, “Ballate per uomini e bestie” (ora anche in tour)

di Diego Perugini

Vinicio Capossela, “Ballate per uomini e bestie”

Date un ascolto all’ultimo cd di Vinicio Capossela, “Ballate per uomini e bestie”. Ma un ascolto serio, non fuggevole e distratto, tipo quando si fa jogging o si viaggia sul metrò, con cuffiette da due soldi. Perché è un album lungo e impegnativo, ricco di temi e sottotesti, colto e profondo, da affrontare magari a più riprese, per coglierne meglio riferimenti e sfumature. Vinicio ci ha messo tempo, passione, amore e tanto studio, giusto quindi dedicargli l’attenzione che merita.

E’ un disco antico e moderno al tempo stesso, che mescola sonorità arcaiche e riferimenti attualissimi. Ballate di un folk cosmopolita e trasversale, che racconta con lucida follia il nostro Medioevo contemporaneo.

Dall’andamento dylaniano (e dilaniato) di “Il povero Cristo” all’incalzante incedere di “La peste”, bruciante disanima della mancanza d’etica del web (e ti rimane in testa il riff parafrasato “Let’s tweet again”). “Il testamento del porco” ha un sapore sanguigno e popolare, con echi del vecchio De André, mentre “Ballata del carcere di Reading” (da Oscar Wilde) denuncia l’orrore della pena di morte.

Ma ci sono anche riferimenti biblici, il saccheggio della natura, John Keats, Sant’Antonio e San Francesco, lupi mannari, giraffe e, in conclusione, una lumaca a simboleggiare la forza dell’umiltà, perché “nel farsi piccolo si può accedere al grande”. Non un disco facile, ma nemmeno dissuasivo. Anzi, talvolta persino orecchiabile e trascinante nei ritmi. E, soprattutto, emozionante.

Chiaro, Capossela non cerca il facile consenso e viaggia per la sua strada fregandosene di mode e modi. Ed è giusto così. Ha dalla sua un pubblico colto e preparato o, quanto meno, ben disposto ad andare al di là dei quattro soliti accordi, delle rime cuore-amore e degli arrangiamenti tutti uguali.

E in questo mondo di informazione superficiale, volgarità diffusa e ignoranza crassa, è bello poter contare su artisti come lui. Che studiano, approfondiscono e mettono in musica. Sperando che altri raccolgano il testimone e passino parola.

P.S. Prosegue a giugno e luglio il tour di atti unici di Capossela, una serie di concerti concepiti appositamente per luoghi specifici, dando rilievo ai brani e alle tematiche del nuovo album. Qui info e date.

Il mio Calcutta, “Evergreen” e il nuovo tour

In occasione del nuovo tour, un ritratto del numero 1 dell’it-pop contemporaneo. Signori e signore, ecco a voi Calcutta e le sue canzoni. Perché mi (ci ) piace così tanto e altre riflessioni sparse.

di Diego Perugini

Calcutta concerto di Verona (Giuseppe Maffia)

Con Calcutta m’è capitata una cosa strana, inusuale, che non mi succedeva da tempo immemore: innamorarmi di una canzone. Un giorno, quasi per caso, sul web mi sono imbattuto in “Orgasmo”. Video di romanticismo quotidiano, situazione cinematografica, melodia struggente, parole non banali. “E’ un sacco che non te la prendi/è un sacco che non mi offendi/e che non sputi allo specchio per lavarti la faccia”. Non riuscivo a smettere d’ascoltarla, me la sono addirittura salvata sullo smartphone, neanche fossi un adolescente in fregola invece che un ultracinquantenne con alle spalle stagioni e stagioni di rock e dintorni. E mi sentivo un po’ rincoglionito, lo confesso.

Fino all’arrivo di “Pesto”, che ho atteso sin anche con un filo d’ansia. Sicuramente sarà una delusione, mi dicevo. E all’inizio, infatti, ci sono rimasto un po’ così. “Esco o non esco?/fuori è caldo ma è normale ad agosto” fino a quel “Ueee deficiente” del ritornello. No, non è all’altezza di “Orgasmo”, lo sapevo. Ma già al secondo ascolto vacillavo e cambiavo idea, complice un altro video semplice e ad effetto. Quindi, “Paracetamolo”, stesso discorso. Primo ascolto deludente, poi crescita costante e inarrestabile, con citazione di merito per l’“incipit” geniale (“Lo sai che la Tachipirina 500 se ne prendi due diventa 1000”) e quel “ponte” sospeso e poetico (“Canto di gabbiano dentro la mia mano…”).

Le canzoni di “Evergreen”, l’ultimo album

Infine, il disco completo, “Evergreen”, una mezz’oretta di pop d’autore del nuovo millennio. Mi è molto piaciuto. Non tutto al top, forse, ma ci sono alcuni pezzi memorabili. Come “Briciole”, uno dei miei favoriti, dove ci ritrovi la tradizione dei cantautori italiani anni 60 e arrangiamenti che rimandano alla lezione di Brian Wilson. O “Dario Hubner”, struggente riflessione sul tempo sottratto agli affetti veri. Ma anche la psichedelia circense di “Rai” e la vena più rock, quasi battistiana, di “Kiwi” con un altro intrigante passaggio nel ritornello (“Mondo cane, tu fatti gli affari tuoi”).

Il segreto di Calcutta. Ma perché mi (ci) piace così tanto?

Ma qual è il segreto di Calcutta e perché mi (ci) piace così tanto? Probabilmente perché sa mescolare mondi diversi con grande abilità e spontaneità. A spulciare i suoi brani senti il peso di tanti ascolti del passato, dai già citati Battisti e Brian Wilson, sino a Dalla, Carboni, Venditti e così via, una sensibilità rétro mediata col gusto indie contemporaneo. Il tutto con un linguaggio semplice e immediato, fra immagini, guizzi verbali e giochi di parole inattesi e spesso sorprendenti. Niente di costruito o paludato, storie d’amore quotidiano raccontate sul filo di una malinconia latente. E vincente. In più ha una voce particolare, non bella in senso classico, ma perfetta per raccontare il suo mondo.

Calcutta, “Evergreen”, Bazzano 
Quattro chiacchiere con Calcutta

Siccome m’era piaciuto così tanto, ho voluto incontrarlo. Su di lui ne avevo lette tante, che era scontroso, laconico, scostante. Chissà… Dopo un paio di settimane di mail col suo manager, fisso finalmente un’intervista per “Metro”, il free press con cui collaboro. E mi ritrovo davanti un ragazzo in calzoni corti e maglietta casual. E’ sulle difensive, ma si scioglie quando capisce di aver di fronte uno che del gossip se ne frega. E che, soprattutto, le sue canzoni le ha ascoltate per bene.

Gli chiedo del successo piombatogli addosso. Si schernisce, ma si capisce che è un po’ a disagio: “Mah, io cerco di fare le cose in maniera naturale, non rifletto molto su quel che accade. Non ci penso, ma vedo di tenere lontani i demoni dalla mia testa, a partire dalla pigrizia”.

Poi parla del disco: “In realtà doveva chiamarsi Classic, poi ho virato su Evergreen. Rappresenta il mio spirito rétro, amo gli anni 60, sono una fonte d’ispirazione. C’entra un po’ anche mio papà, che è musicista, suona cose napoletane classiche. A me piace la leggerezza, il gioco, ma in senso positivo, amo trovare un equilibrio di parole. Scrivo quando viene il momento giusto, ma ora sento di volere qualcosa di più. Vorrei parlare di cose meno contingenti, uscire dalle storie d’amore per affrontare argomenti più universali”.

Calcutta, “Evergreen”
Testi autobiografici. Tra romanticismo e malinconia

Nei testi tanta autobiografia, come in “Rai”, ispirata dal sofferto passaggio tv a “Quelli che il calcio”. Dove il nostro, a disagio nel clima goliardico della trasmissione, ha lasciato la scena in fretta, saltando a piè pari l’incombenza dell’intervista post-esibizione: “C’era un po’ di tensione, ma forse è anche un po’ colpa mia. Io non leggo i giornali, non guardo la tv, non so come ci si comporta in uno studio. E quella volta è andata così. Ma alla fine niente rancore, per me la Rai è come una nonna che ti vuole bene. Però, è vero, ho una paura fottuta dei giornalisti, non so mai bene come comportarmi. Per questo, a volte, dicono che sono scontroso, che non parlo. Dipende tutto dall’empatia che si crea con chi ho di fronte. Di te, per esempio, so che posso fidarmi. Sei venuto qui con una maglietta dei Beatles, si vede che lo fai per passione” dice indicando la mia t-shirt dedicata ai fab-four.

Sorrido e confermo. Gli dico che mi è piaciuta molto la sua “Dario Hubner”. E anche qui c’è della vita vissuta: “Ho letto un articolo su questo calciatore, che per star vicino alla moglie ha rinunciato a un ingaggio nella Premier inglese ed è rimasto a giocare in provincia. In un momento di malinconia mi ci sono rivisto: ero in giro per lavoro e stavo trascurando una persona importante. Per il futuro mi piacerebbe mettere un freno a questa vita vagabonda, magari sposarmi”.

Calcutta & Elisa

Alla fine mi confida persino di una storia d’amore a cui tiene molto, con tutti i dubbi, le paure e le speranze di quando sei all’inizio e non sai come andrà a finire. Glielo chiederò al nostro prossimo incontro, se mai accadrà. Intanto le cose gli vanno bene. I due live estivi negli stadi, il film “Tutti in piedi”, la canzone scritta per Elisa, “Se piovesse il tuo nome” (ora uscita anche in duetto, assai meglio). L’altra sera l’ho visto anche più disinvolto e ironico in tv nel programma di Fabio Fazio. E, da gennaio, il tour nei palazzetti. Ecco le date. Ci vediamo là?

Ed ecco il nuovo tour

17 gennaio 2019 – Ancona – PalaRossini (data zero)
19 gennaio 2019 – Padova – Kioene Arena
20 gennaio 2019 – Milano – Mediolanum Forum
21 gennaio 2019 – Milano – Mediolanum Forum
23 gennaio 2019 – Bologna – Unipol Arena
25 gennaio 2019 – Bari – Palaflorio
26 gennaio 2019 – Napoli – Palapartenope
5 febbraio 2019 – Roma – Palalottomatica
6 febbraio 2019 – Roma – Palalottomatica
9 febbraio 2019 – Acireale (Ct) – Palasport