di Diego Perugini

Ho deciso: quest’anno a Sanremo farò il tifo per Diodato. Perché è uno bravo, di talento, che merita più di tanti altri di entrare nell’Olimpo del pop. E perché, fatto non trascurabile, porta una bella canzone, “Fai rumore”, una emozionante ballata sulla necessità di abbattere i muri dell’incomunicabilità.

“E’ un invito a rompere i silenzi che creano distanze, a farsi sentire, anche col dissenso. Viviamo in un periodo di forte contrapposizione, in un mondo che urla, con l’odio che corre sui social. Io sono per dirsi le cose, non come scontro ma come confronto. E’ l’unico modo per non far morire l’umanità”, mi spiega durante il nostro incontro. Un pezzo per niente facile, fra l’altro, con suoni in crescendo e parti vocali da brivido. Si conservi bene l’ugola, Antonio. E in bocca al lupo. Poi sarà quel che sarà.

Gli chiedo che cosa si aspetta dal festival. Ci pensa un po’, incerto. Poi risponde sinceramente: “Io non sono tipo da competizione, le mie armi sono altre. Non ho mai scritto per il festival, semmai è il pezzo che mi porta al festival. E, allora, perché non sfruttare questa cassa di risonanza? Certo, spero di non arrivare ultimo, ma l’importante è fare bene quel che ho in mente. A Sanremo non ho mai vinto nulla, ma ne sono sempre uscito bene e ho vissuto momenti umanamente splendidi. Spero anche stavolta”. Chissà.

Intanto quest’anno si è già portato a casa il Premio Lunezia per il miglior testo. E il Premio della Critica non è così utopico. Ma è chiaro che la sua mente vola già più in là, al nuovo album in uscita il 14 febbraio, “Che vita meravigliosa”, titolo anche del singolo scelto da Ozpetek per il suo ultimo film. “E’ il manifesto del disco e ne riassume i contenuti. Una riflessione sul vissuto dei miei ultimi anni, fra confessioni molto intime e sguardi sul sociale”.

Ci sono canzoni d’amore, dove non è difficile intravedere i ricordi della sua storia (finita) con la “collega” Levante, anche lei a Sanremo 2020 per uno strano scherzo del destino. Titoli struggenti come “Fino a farci scomparire” e la conclusiva “Quello che mi manca di te”.

Diodato non fa nomi, ma l’autobiografia pare evidente: “Le storie finiscono, ma rimane l’amore vero, che sopravvive al noi, alla possesso, alle piccolezze umane. Sono felice quando, scrivendo, riesco a far sopravvivere quelle emozioni per sempre e comunicarle alla gente. Una delle cose più belle è quando dei perfetti estranei mi dicono: “tu racconti la mia vita”. Capisci che sei sulla strada giusta”.

Altrove il tono si fa più tagliente, come in “La lascio a voi questa domenica”, un vivace up-tempo che racconta il qualunquismo, la superficialità e la mancanza di empatia dei nostri giorni. “Prende spunto da un fatto vero: ero su un treno di ritorno a Milano, quando il suicidio di una persona ha bloccato tutto e sulle carrozze si è scatenato il circo impazzito dei commenti. Non do giudizi, è una semplice testimonianza”.

Mentre “Il commerciante”, dal curioso incedere bandistico, parte da un episodio di ordinaria quotidianità, il cambio dell’olio della macchina, che diventa metafora per descrivere la freddezza dei rapporti a cui ci stiamo abituando. “Per fortuna, poi, incontri ancora delle persone animate dalla passione per il loro lavoro. E ti fanno capire la differenza fra bottega e grande distribuzione. Anche nei sentimenti”.

E, poi, l’elettronica anni Ottanta di “Alveari”, un po’ alla Battiato, sul tema dell’imponderabilità delle cose, del ritrovare un equilibrio e delle priorità. Quindi, il gioco irrisolto fra amicizia e flirt di “Ciao, ci vediamo”, in chiave di orecchiabile pop-rock. E altri pezzi da scoprire.

Il tutto col filo conduttore di una voce che non ha paura di osare. E di arrangiamenti ricercati, che mescolano la tradizione d’autore agli amori brit-pop, con elettronica e sintetizzatori, echi di Radiohead, Pulp e via dicendo, sino a sfiorare il maestro Jeff Buckley.

Diodato presenterà il nuovo disco in due date speciali in aprile: il 22 all’Alcatraz di Milano e il 29 all’Atlantico di Roma. “Il live è diventato una parte fondamentale del mio lavoro: prima ero più insicuro, mi nascondevo dietro la chitarra. Ora ho imparato a divertirmi sul palco, cerco sempre spazi per suonare. E mi piace mescolare le carte, spiazzare e stravolgere i pezzi. Sarà una bella sfida”.

Ah, dimenticavo: a Sanremo vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio….