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Sanremo 2019, si parte

Comincia “Sanremo 2019”, il secondo targato Baglioni. Tutti (?) davanti al piccolo schermo per l’ennesima puntata della storica kermesse. Lo seguirò da casa, noia e sonno permettendo. Intanto, eccovi qualche ricordo e riflessione a ruota libera.

di Diego Perugini

“Sanremo? Ma lo fanno ancora?!” mi chiede ironico Miki, un ragazzo della palestra che frequento. A lui, come a tanti intorno a me, non frega nulla del festival. Gente normale, per intenderci, non i giovanissimi fanatici della trap, ma trentenni e più con mogli e figli. Come Miki, appunto. Fanno un’altra vita, hanno altri interessi, la loro esistenza questa settimana non ruota intorno a quanto accade all’Ariston, come invece sembrerebbe dal solito can can mediatico totalizzante. Poi gli ascolti diranno altre cose, che metà degli italiani sono rimasti incollati al video, che il gradimento è massimo (o minimo) ecc. ecc. Comunque sia, Sanremo sta per iniziare. Lo seguirò. Forse non tutto e non sempre, magari farò un po’ di zapping, forse andrò al cinema o a vedere qualche concerto, forse schiaccerò strada facendo un pisolino sul divano. Ma lo seguirò. Per curiosità professionale e vecchio amore. Come quando, a otto anni, rimasi folgorato da Lucio Dalla e il suo “4/3/1943” in bianco e nero: quella voce, quel violino, quelle parole, quella melodia.

Lucio Dalla, Sanremo 1971

Più avanti ricordo lo choc (positivo) della “Vita spericolata” di Vasco e, negli anni Ottanta, le adunate in compagnia anche solo per “gufare” (simpaticamente) Toto Cutugno. Trascinavo fidanzata e amici riottosi alla maratona sul piccolo schermo, si finiva satolli di cibo e vino a ronfare sino alle ore piccole. Poi ho cominciato ad andare a Sanremo sul serio, per lavoro. Poche volte, a dire il vero, e senza entusiasmo. C’era questa gigantesca sala stampa, con i primi posti per le testate più importanti e via via a scendere fino all’ultimo “peone”. E l’atmosfera fra il goliardico e il cameratesco, con l’adrenalina a mille nei momenti topici. Perché, dicevano i cronisti storici, una notizia che in giornate normali sarebbe di poco conto, a Sanremo diventa una bomba. Verso fine serata il clima si faceva più lento e la stanchezza prendeva il sopravvento assieme a un filo di malinconia sottesa. Chi prendeva la saggia via del riposo, chi vagabondava fino all’alba fra cene, feste, ritrovi e live notturni. Salvo poi ritrovarsi tutti il giorno dopo, occhi pesti e incedere da zombi, a saltabeccare fra i mille e uno appuntamenti promozionali.

Sanremo, sala stampa

Una delle cose più curiose era l’atteggiamento di parecchi colleghi: in apparenza schifati dall’idea di andare ancora a Sanremo, ma sotto sotto felici e orgogliosi di essere parte del grande circo. Io, invece, l’ho sempre vissuta in negativo. Non mi piaceva la musica del festival, detestavo stare ore in quell’ambiente claustrofobico, odiavo lavorare sotto pressione, mi deprimeva l’assurda psicosi collettiva, con gente accalcata nei pressi della passerella per carpire un cenno o un autografo all’eroe di turno (senza magari sapere nemmeno chi era). Insomma, non vedevo l’ora di tornare a casa. L’ultima volta, addirittura, ho fatto le valigie prima della finale in polemica col giornale che mi ci aveva spedito: perché volevano che scrivessi di tutto tranne che di musica. Mah.

Non so quanto sia cambiato negli ultimi anni, non credo granché. Una costante rimangono le polemiche. Le lamentele degli esclusi, i casini col televoto, le giurie specializzate, i presunti brogli, le interferenze politiche e altro ancora. Ci si potrebbe scrivere un libro.

Il 2019 è l’anno del conflitto d’interessi baglioniano. Una battaglia portata avanti da un incazzoso e coraggioso collega e, all’inizio, bellamente ignorata dalla stragrande maggioranza dei media, immagino per il classico “quieto vivere”. Salvo poi ripensarci quando nell’agone è arrivato il carrarmato “Striscia la notizia”, a cui non è parso vero avere un bel bocconcino Rai da mordere. Il tema è intrigante, lo sviluppo non so. Con un pizzico di fatalismo qualunquista mi verrebbe da dire che finirà come sempre. Tanto fumo e poco arrosto. La polemica monta, s’ingrossa, s’infiamma ma alla fine si sgonfia. E tutto ricomincia come se nulla fosse accaduto. Ma sarò lieto di venire smentito, se qualcosa davvero cambierà.

Daniele Silvestri, in gara a Sanremo 2019 con “Argentovivo”

Intanto da stasera si parte. Le canzoni non le ho ancora sentite, ma il cast ha qualche asso nella manica anche per chi, come me, ne ha piene le tasche dei soliti nomi da festival. Curioso di sentire Silvestri, Motta, Ex-Otago, Zen Circus, persino Achille Lauro, che solitamente mi fa venire l’orticaria. Quindi mi metterò con fiducia (relativa) davanti al piccolo schermo. Sempre che lo spettacolo monstre non affossi le mie buone intenzioni, fra siparietti comici, ospiti, pubblicità e amenità varie. In questi casi c’è il telecomando in agguato. O un rassicurante cuscino su cui posare la testa.

Le “Caramelle” (amare) di Carone & Dear Jack

di Diego Perugini

Comincia la bagarre sanremese ed arrivano, inevitabili, le polemiche degli esclusi. Stavolta tocca a Pierdavide Carone & Dear Jack che sul Corriere della Sera si dichiarano delusi da Baglioni e dalla sua scelta. La loro “Caramelle”, insomma, non è piaciuta al divo Claudio: “È un cantautore e mi sarei aspettato più empatia visto il tema del brano”, ha spiegato Carone dalle colonne del quotidiano milanese, aggiungendo un sospetto di “censura”, perché loro vengono dai talent e non avrebbero quindi l’autorevolezza e neanche il phisique du role per affrontare certi argomenti. “Caramelle”, infatti, parla di pedofilia dal punto di vista di due giovani vittime.

Le prime volte che l’ho sentita non sapevo dell’esclusione sanremese. E l’ho trovata brutta, approssimativa, troppo incline alla ricerca dell’effetto choc. E troppo simile nella struttura a “Non mi avete fatto niente” della coppia Meta-Moro (vincitori dell’anno scorso al festival), come anche nelle sonorità e nell’argomento “impegnato”. Là era il terrorismo, qui l’abuso sui minori. Col sospetto che volessero sfruttarne l’onda e replicarne il successo. Il fatto che l’avessero proposta per Sanremo mi rende ancora più scettico sulla loro buona fede. E, comunque, diciamola tutta: non basta una tematica importante (e meritevole di denuncia) per fare una bella canzone. Il mondo del pop (e non solo) è pieno di tali esempi in negativo (e magari un giorno ci tornerò su).

Comunque sia, un risultato Carone & Dear Jack l’hanno già ottenuto: gli attestati di stima di tanti colleghi (Giorgia, Nomadi, Negramaro, Ermal Meta e altri), l’attenzione dei media e un certo airplay radiofonico. Baglioni ha replicato diplomaticamente durante la conferenza stampa sanremese, limitandosi a smentire l’ipotesi censoria. Da vecchia volpe della scena musicale ha probabilmente fiutato il bluff e stoppato una brutta copia della vincente 2018. Come dargli torto?