Un gioiellino jazzato dalla voce di velluto dei Roxy Music. Fuori dal tempo e dalle mode. Per un ascolto piacevolissimo.

di Diego Perugini

Il nuovo album di Bryan Ferry, “Bitter-Sweet”

 In questo tempo di Mengoni, Ramazzotti, Pausini, Antonacci, X Factor e compagnia poppante, passa praticamente inosservato “Bitter-Sweet”, il nuovo album di Bryan Ferry.  Sì, proprio l’ex leader dei Roxy Music, il dandy per eccellenza, la voce di velluto di tanti classici di rock e dintorni. Nonché uno dei massimi interpreti di cover, uno dei pochi capaci di rileggere con classe sopraffina successi di ieri e di oggi.

A dirla tutta, una qualche scusante per questo totale disinteresse dei media (almeno in Italia) c’è. Perché non si tratta di un vero e proprio nuovo disco. Innanzitutto è attribuito a Bryan Ferry and his Orchestra, ensemble con cui il nostro aveva inciso nel 2012 “The Jazz Age”, un lavoro strumentale con curiose riletture delle sue hit in chiave jazz anni ’20 con tanto di suoni gracchianti e tripudio di fiati. “Bitter-Sweet” torna su quelle atmosfere, con l’aggiunta però (in otto brani su 13) della sua sempre magica voce, un po’ arrochita dal tempo e dall’usura.

Ispirato dalla serie tv “Babylon Berlin”, a cui ha collaborato, Bryan rilegge famosi titoli dei Roxy e dei suoi lavori solisti saltabeccando fra ragtime, blues e jazz. Archeologia musicale? Niente affatto.  Di certo qualcosa di diverso, straniante. Un gusto rétro, che però non è bieca nostalgia o banale riproposizione di antichi stilemi, ma ricerca di altre dimensioni. E’ chiaro che Ferry adora quei suoni e quell’epoca, ma sa darne una personale visione applicata alla sua musica. E così i brani acquistano un altro vestito, elegante ed evocativo, così old fashion da risultare per certi versi attualissimo.

Ecco “Zamba”, per esempio, da “Bête Noire”, lenta e sussurata, con archi in evidenza e un mood malinconico,mentre “Reason Or Rhyme”, uno dei suoi recenti gioielli, è più incalzante, con una tromba d’antan in evidenza. “New Town” ha un godibile sviluppo charleston con la voce di Ferry sdoppiata, mentre “Chance Meeting”, da un lontano disco solista del ’76, è uno dei momenti migliori, con una bella coda swingante finale. Qualcosa di diverso, ripeto. Fuori dagli schemi, dal tempo e dalle mode. E, cosa non trascurabile, un ascolto piacevolissimo.