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Bentornati, La Crus

Bentornati, La Crus. E' uscito "Proteggimi da ciò che voglio", il nuovo disco del gruppo milanese. Il 10 maggio saranno alla Santeria 31. Articolo di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Photo credis: Gianluca Mingotto

Conosco i La Crus da molto tempo. Dal giorno in cui un amico/collega mi passò un’audiocassetta demo con l’anteprima del primo album, “La Crus”, appunto. Quello, per capirci, che conteneva gioiellini come “Nera signora”, “La giostra” e la preziosa cover di “Il vino” di Piero Ciampi.

L’ascoltavo spesso e volentieri, mi sembrava qualcosa di nuovo, che però al tempo stesso solleticava il mio mai sopito amore per la nostra canzone d’autore.
Dovrei averla ancora da qualche parte, assieme ai nastri dei Carnival of Fools (ma questa è un’altra storia).

Poi li intervistai e li vidi in concerto tante volte, capitava anche di beccarsi in giro da qualche parte, nella Milano frizzante degli anni 90. Ricordo che Giò aveva una graziosa fidanzata che lavorava al teatro Smeraldo e andava a prendere a fine serata. Io spesso gravitavo là per lavoro e finivamo sempre a scambiarci qualche chiacchiera notturna. Altri tempi.

Più di recente, anzi, molto più di recente li ho ascoltati nella reunion all’Elfo Puccini del gennaio 2020, giusto un mesetto prima dell’onda maligna Covid. Fu una bella serata, di ricordi e ottima musica, per nulla scalfita dal passare degli anni.

Mi fa piacere ritrovarli ora con un nuovo lavoro, “Proteggimi da ciò che voglio”, uscito da una settimana. Un piccolo disco, se non altro per la durata contenuta, una mezz’oretta, con otto inediti e un paio di ripescaggi dal passato (con ospiti).

Lo stile del gruppo è immediatamente riconoscibile, senza troppe deviazioni dalla via maestra. O, peggio, concessioni al (cattivo) gusto contemporaneo.

Cesare Malfatti è un architetto sonoro dal tocco inconfondibile e Giò, come sempre, canta benissimo, con quella voce profonda che sa come dare peso alle parole. Parole, scritte da Alessandro Cremonesi, che mescolano pubblico e privato, politico e poetico, in una serie di “canzoni polietiche”, come loro amano definirle.

I La Crus parlano del nostro mondo e ne denunciano le contraddizioni e le negatività, dalla follia dei social all’alienazione lavorativa che ci ruba il tempo e l’anima. Ma non c’è retorica, presunzione o faciloneria, semmai uno sguardo lieve e sofferto, con un barlume di speranza nella sempiterna forza dell’amore.

Ecco, allora, l’evocativa malinconia di “La pioggia”, uno dei nuovi migliori pezzi, accanto al blues moderno (un po’ alla Depeche Mode) di “Mangia dormi lavora ripeti” e alla melodia vincente della “title-track”.

“Shitstorm” è ballata lenta e ariosa, di bella suggestione, mentre “La rivoluzione” è più incalzante e declamatoria, con interventi parlati ad hoc. “Discronia” vanta un tiro orecchiabile e sfumature di tromba, “Stella” è un recitativo pensoso che guarda al cosmo intorno a noi.

Chiudono il cerchio due ricordi rivisitati: “io confesso” con Carmen Consoli e “Come ogni volta” (il loro capolavoro?) con Colapesce e Dimartino.

Bentornati, insomma. Anche in concerto: appuntamento il 10 maggio alla Santeria Toscana 31, Milano. Poi, si vedrà.

Angelina e il Sanremo che vorrei

Ha vinto Angelina Mango. E si chiude il ciclo di festival targati Amadeus. Qualche umile idea per un Sanremo migliore. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Alla fine ha vinto Angelina Mango, come da pronostico iniziale.

Un trionfo segnato da una polemica al foto finish (e mi pareva strano non arrivasse…) per i soliti complessi e un po’ oscuri meccanismi delle votazioni.

Per dirla in due parole: al televoto aveva vinto nettamente Geolier, poi stampa e radio hanno ribaltato il verdetto. Qui trovate una spiegazione più esaustiva.

Giusto? Sbagliato? Si apra l’ozioso dibattito.

Ma non è la prima volta che capita. Anzi. Qualcosa del genere accadde, tanti anni fa, con gli Avion Travel ai danni di Grandi e Morandi. E, molto più di recente, con Mahmood ai danni di Ultimo. Che, per la cronaca, si incazzò parecchio.

Verdetto giusto, comunque?

Boh. Non sono tipo da stilare classifiche e vergare pagelle, mica siamo più a scuola. E, poi, quelle le fanno già tutti, regalando spesso e volentieri voti altissimi. E, per quanto mi riguarda, assai discutibili.

Comunque, non appartengo al fan club della Mango, non ancora per lo meno. E, dirò un’eresia, ma la cumbia di “La noia” non mi entusiasma.

Neanche il tempo di andare in un negozio a Milano a provarmi un paio di jeans, che eccola arrivare in sottofondo a tormentarmi.

E temo siamo solo all’inizio. Ma la giovane Angelina ha grinta, entusiasmo, bella voce e acerbo talento. Potrà crescere. E, si spera, cantare anche cose migliori.

In quanto a tormentone non scherza nemmeno la terza arrivata Annalisa con la sua “Sinceramente”, parecchio orecchiabile e parecchio derivativa.

Il rischio di cadere già nel cliché è dietro l’angolo. Ma ha successo ed è il suo momento: come darle torto?

Geolier, secondo arrivato e grande sconfitto (si fa per dire), potrà consolarsi allargando ancora di più il suo già ampio bacino di pubblico.

Il suo pezzo non mi ha detto granché, forse perché sono un “boomer”. Ma è moderno, attuale, contemporaneo. Piace e piacerà.

Il resto, come sempre, lo diranno le questioni di streaming e passaggi radio. E i club, i palazzetti e gli stadi più o meno pieni. Lì si capirà il vero vincitore.

Ultime considerazioni.

Pare sia stato l’ultimo Sanremo targato Amadeus, giusto così. Come Pioli al Milan, pure Ama ha finito il suo ciclo all’Ariston.

Gli va riconosciuto il merito di aver riportato il festival ai fasti di un tempo. E di averlo svecchiato, negli artisti e nell’audience.

Ora non ci vanno più solo glorie d’antan o chi deve rilanciarsi, ma anche chi ha successo o, come si dice oggi, è di tendenza.

Perché Sanremo porta bene e regala popolarità in grande stile a chi lo sa sfruttare come si deve. E’ il palco più importante d’Italia, diretta espressione di quanto va forte fra streaming, radio e dintorni, e si fa di tutto per salirci e giocarsi le proprie carte.

E, cosa niente affatto trascurabile, gli ascolti e le classifiche premiano questa scelta. Ma non è tutto oro quel che luccica. Almeno per me.

Da qualche anno fatico a guardarlo e non riesco ad affezionarmi a un brano in particolare. Problema mio?

Forse. Ma mi sembra che la qualità media sia in fase calante. Meno “ciofeche”, ma anche meno pezzi memorabili. Tutto un po’ omologato nel nome di una bulimia di proposte quasi mai entusiasmanti.

Anche stavolta non ho trovato la mia canzone del cuore. Non mi sono dispiaciuti Ghali, Mahmood, Diodato.

La Bertè più che altro per la sua storia, un po’ Gazzelle e Rose Villain. Ma nessuna voglia di andare a riascoltarli. Sono troppo esigente? Mah.

Insomma, sarebbe ora di cambiare passo. Vedremo se davvero Ama mollerà il colpo e chi sarà il suo successore e quali scelte farà. Quanto a me, da umile spettatore e addetto ai lavori di lunga data, butto lì qualche idea.

Qual è il Sanremo che vorrei?

Beh, innanzitutto vorrei un festival più breve, tipo che si chiude ogni sera intorno a mezzanotte. E senza troppe divagazioni, siparietti, pubblicità più o meno occulte e ospitate che allungano il brodo e spezzano il ritmo della serata. O ti portano nei territori del kitsch più imbarazzante come nell’affaire Travolta.

E, poi, che senso ha fare cantare uno alle due di notte?

Il che significherebbe ridurre drasticamente il numero delle canzoni in gara. Quest’anno erano 30, molte delle quali prescindibili.

Troppe. Ne sceglierei una quindicina, ma con cura e attenzione alla qualità. Pescherei fra vari generi, senza badare solo a radio e streaming, limitando quei suoni urban, rap, trap e dintorni (uso dell’autotune incluso) che fanno sembrare tutto così uguale, tutto così omologato.

Amplierei la platea degli autori, perché se fai scrivere tutto o quasi ai soliti noti, ovvio che poi fatichi a distinguere le canzoni una dall’altra.

Sui meccanismi delle votazioni, invece, mollo il colpo. La partita rimane aperta e forse non si chiuderà mai. Anche perché la formula perfetta non esiste e ci sarà sempre qualcuno che prenderà male i verdetti.

E i cantanti in gara? Chi porterei all’Ariston?

Eh, no. Un po’ di pazienza. Prima fatemi diventare il nuovo direttore artistico.

E, poi, ne riparliamo.

Noi non ci Sa(n)remo

Sanremo 2024, si comincia. Domani parte l'ennesima edizione del festival. Le riflessioni di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Come ben si sa, domani inizia l’ennesima maratona di Sanremo. L’edizione numero 74. E anche quest’anno, come ormai da parecchio tempo, non ci andrò.

Perché non ho un editore che mi paghi le spese di trasferta e accollarmi tutto sul groppone, non mi pare una saggia idea. Anche visto i prezzi non proprio economici che girano in riviera.

So che in tanti, tantissimi, addetti ai lavori saranno lì comunque. Li vedo posare sorridenti sui social lungo il tragitto che li porta in città o, direttamente, davanti all’Ariston mostrando con orgoglio l’agognato pass, felici di stare laggiù.

Anzi sospetto pure che in parecchi si sobbarchino vitto, alloggio e trasporto pur di fare parte del grande circo. Mah. Contenti loro.

E non pensate che stia “rosicando”, parlando per invidia. Perché a me andare a Sanremo non è mai piaciuto. Se v’interessa sapere perché basta leggere un mio editorialino di qualche anno fa. Proprio qui.

In ogni caso, non sono fatti miei, quindi a ognuno il suo.

E non sarò nemmeno così snob da dire che non lo guarderò. In un modo o nell’altro ho visto il festival sin da bambino, quindi lo farò anche quest’anno.

Magari a spizzichi e bocconi, perché trenta canzoni in gara sono troppe e non ho voglia di fare le ore piccole ogni sera. C’è altro, converrete, da fare nella vita.

Anche solo alzarsi presto la mattina per lavoro o incombenze varie.

Ma veniamo alle canzoni: beh, non le ho ancora sentite.

Ho, però, letto i commenti della stampa e visto i voti alti, se non altissimi, generosamente dispensati. Sono curioso di vedere se collimano col mio (modesto) parere.

In tanti hanno parlato di “cassa dritta”, che per chi non è del mestiere significa molto ritmo, molta ballabilità. E meno, molte meno, canzoni “sanremesi”, cioè quelle ballate d’amore romantico che un tempo andavano forte al festival.

I bene informati dicono pure che, per questo, i brani si somiglino un po’ tutti. E, del resto, c’è poco da stupirsi visto che il giro degli autori è ristretto e alcuni di loro li troviamo firmare diversi dei pezzi in gara.

Insomma, pare che Amadeus abbia cambiato le regole del gioco e punti a un festival che sia diretta espressione di quanto oggi va forte fra streaming, radio e dintorni.

Ascolteremo e vedremo. Ma non ho aspettative altissime.

Confesso che in gara non c’è nessuno che mi scaldi veramente il cuore. L’unico è forse Gazzelle, che da sempre mi piace per la sua vena malinconico/romantica e che, da introverso quale è, immagino avrà delle difficoltà nel marasma di questi giorni.

Noto pure la mancanza delle classiche polemiche che da sempre animano il festival. Magari mi sono perso qualcosa, ma non ne trovo traccia.

I soliti idioti hanno provato a costruirne una su Angelina Mango e la sua scelta di cantare un pezzo del padre nella serata delle cover. Ma era talmente risibile da sciogliersi come neve al sole.

A proposito della giovane Angelina, in molti la danno come favorita assieme ad Alessandra Amoroso e Annalisa. E, chissà, dopo tanto tempo il festival potrebbe di nuovo tingersi di rosa.

In ogni caso, in bocca al lupo a tutti!

Sanremo 2023: i vegliardi fuoriclasse

Gianni Morandi, Massimo Ranieri e Al Bano. Tre vegliardi fuoriclasse all'Ariston. Il commento di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

E alla fine, seppur con fatica, le abbiamo ascoltate tutte le canzoni di questo Sanremo 2023. Con la conferma di non avere trovato nessun pezzo clamoroso in scaletta: non dico una “Vita spericolata”, ma nemmeno solo una “Fai rumore”.

E il pensiero, inevitabilmente, va ai titoli sciorinati dai tre vegliardi ospiti: dai, volete mettere “Vent’anni”, “Nel sole” o “Uno su mille”? O “Il nostro concerto” di Bindi?

Ok, boomer mi risponderete. Ti piace vincere facile, eh?

Vabbè, torniamo alla gara. Perché non tutto è da buttare.

Colapesce Dimartino, primi per la stampa, non ritrovano l’estro genialoide di “Musica leggerissima”, né ovviamente l’effetto sorpresa dello scorso anno.

Ma “Splash” è comunque intelligente e accattivante, con parole non banali (e condivisibili) sul peso delle aspettative.

Non male Madame e Levante, pur da diverse prospettive, mentre Paola e Chiara citano sin troppo se stesse e vanno sul sicuro danzereccio.

Lazza, incensato da molti, propone quell’urban modaiolo che a me fa venire l’orticaria (problema mio, d’accordo) ma probabilmente andrà forte nelle radio e nello streaming.

Gli Articolo 31 mettono in scena una reunion nostalgica con sincere lacrime di commozione.

La delusione più grande viene, semmai, da Giorgia: canta maluccio (emozionata? arrugginita?) un pezzo modesto, una ballata soul-pop in crescendo che non brilla per originalità.

Contiamo possa riprendersi da qui alla finale. Daje!

Sanremo 2023: Blanco superstar

Partito Sanremo 2023. Serata un po' moscetta, con Blanco che spariglia le carte. Le canzoni? Così così. Però bene Mengoni ed Elodie. Il commento di mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Spiace dirlo, ma l’unica cosa che mi ha svegliato dal torpore sanremese è stata la follia di Blanco. Che ha rovinato l’idillio di fiori e canzoni con un gesto dirompente. Anzi, di rottura nel vero senso della parola.

Una mossa punk, una deriva situazionista o, per dirla più terra terra, una solenne cazzata. Condannata all’unanimità dalla sala dell’Ariston come dai salotti delle case degli italiani (inclusa mia zia Mirella, 81 anni, scandalizzata). E, naturalmente, dai social impazziti.

Non so se, come azzardano i soliti meglio informati, fosse davvero tutto preparato. Ovvero soltanto un furbo e bieco siparietto per far parlare ancora di più di questo Sanremo 2023. Come se tutto quel che leggiamo/vediamo non fosse già abbastanza. Mah.

Intanto il video è diventato subito virale candidandosi a successore del “Dov’è Bugo?” di morganiana memoria. Così è, se vi pare.

E le canzoni? Poca roba da mandare a memoria.

Anna Oxa pretenziosa, Ultimo e Mr. Rain citazionisti di se stessi, Grignani sopra le righe (ma il testo non è male). Coma_Cose più seriosi del solito, Colla Zio simpaticamente casinari, Ariete ha fatto di meglio.

I Cugini di Campagna sono trash solo nel look, un po’ impacciati in un pezzo a loro poco congeniale.

Spicca Mengoni, non tanto per il brano (niente di che), ma per voce e interpretazione superiore una spanna agli altri.

Brilla pure Elodie, che sa tenere il palco e anima una canzoncina leggera già in odore di tormentone. Ma sì, quasi quasi ora tifo per lei.

E il resto? I super-ospiti Pooh ci possono anche stare, però quel Facchinetti lì sempre e comunque a sparare con l’ugola non si può proprio sentire.

Come non si possono sentire i monologhi. Non so a voi, ma a me hanno fatto venire venire l’orchite.

E ho detto tutto.

Sanremo sì, Sanremo no

Ci siamo. O quasi. Martedì parte Sanremo 2023. Piccole riflessioni della vigilia di un (quasi ex) addetto ai lavori. Su mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Come tutti sapete, martedì comincia Sanremo 2023.
“E chi se ne frega”, potrebbe essere una buona risposta, rimembrando la storica rubrica del settimanale satirico “Cuore”, una vita fa.

Del resto il festival rimane divisivo: da una parte gli entusiasti a priori, dall’altra gli instancabili detrattori. Io, come spesso capita, sto nel mezzo.
Non mi piace, ma lo vedo lo stesso. Per curiosità, affetto, come fenomeno di costume.

Lo seguo, ancora bambino, da fine anni Sessanta, più avanti anche da addetto ai lavori, ora come spettatore disincantato. Che non commenta sui social né si perde dietro le inevitabili polemiche. E, anzi, si prende la libertà anche di schiacciare un pisolino, staccare la spina quando si fa troppo tardi, seguire a spizzichi e bocconi. E non pensarci più di tanto se su un altro canale c’è un bel film o una partita del Milan.

Farò così anche quest’anno.
Sanremo 2023 s’annuncia come l’ennesimo calderone pieno zeppo di cose, che fa presagire trasmissioni tirate fino a notte fonda. Ecco, fosse per me asciugherei tutto.

Basta siparietti, intrattenitori, sportivi, comici, attori, politici, ospiti di qui e ospiti di là. Cioè quei momenti che mi fanno subito scattare la corsa al telecomando. Lascerei solo qualche super-ospite musicale (ma che lo sia davvero) e stop.

Ma so che la mia è una pia illusione e si proseguirà con le solite micidiali maratone alla “Non si uccidono così anche i cavalli?” per questioni economiche, di sponsor e via dicendo.

E le canzoni? Non le ho ancora ascoltate, lo farò strada facendo come i comuni mortali. Non mi aspetto capolavori, spero in qualche brano sopra la media.

Il cast, come ho spiegato in altro post, è un mix per accontentare un po’ tutti, ragazzini, adulti e nonni. Con una serata cover con una marea di nomi illustri per un gigantesco karaoke collettivo.

Piaccia o meno, c’è da ammettere che Amadeus (e qualcun altro prima di lui) ha riportato il festival ai fasti di un tempo. Ora non ci vanno più solo vecchie glorie o chi deve rilanciarsi, ma anche chi ha successo o, come si dice oggi, è di tendenza.

Perché Sanremo porta bene, basti pensare alla popolarità in grande stile regalata a Dimartino e Colapesce, Coma Cose, La Rappresentante di Lista, Pinguini Tattici Nucleari e, ca va sans dire, Maneskin.

Vedremo cosa capiterà quest’anno.
E se proprio non ce la fate, buttate un occhio al mio Angolo del Cinefilo: ci sono tanti consigli per godersi un buon film.

Alla faccia di Sanremo.

Sanremo 2022: la seconda serata

Sanremo 2022, seconda serata. Spettacolo lungo e prolisso, ma colpiscono Truppi ed Elisa. Il commento di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Confesso di essermi appisolato. Dev’essere stato verso la fine, fra un Tananai e un Highsnob, che per fortuna (?) RaiPlay ti permette di recuperare subito, quantomeno per dovere di cronaca. Del resto, spero che comprenderete.

Ma di fronte a uno spettacolo prolisso, con tempi morti, ospiti inutili, lunghe pause fra un brano e l’altro, siparietti comici, promozioni assortite, pistolotti retorici e agghiaccianti momenti karaoke, è dura tenere gli occhi aperti.

Persino Checco Zalone, che di solito qualche risata me le strappa, m’è parso ripetitivo, un po’ in tono minore.

Alla fine, parlando di musica (argomento ormai quasi desueto in quel di Sanremo), mi sembra che la serata sia girata intorno a due momenti assai differenti.

Prima l’esibizione di Giovanni Truppi, alieno in tutto e per tutto, a partire dalla canotta d’ordinanza, che immagino abbia fatto sobbalzare i vari esperti di look.

L’artista napoletano è una mina vagante, oltre che un nome ben noto ai frequentatori dei circuiti alternativi (o “indie”, se vi piace di più).

Non è sceso a compromessi e ha presentato una canzone per niente facile, che racconta di amore maturo e legami familiari, con una costruzione complessa, fra momenti recitati, guizzi melodici e graffi d’autore.

Come diceva una vecchia pubblicità: per molti, ma non per tutti.


Poi è arrivata la super favorita Elisa, che ha confermato di avere una marcia in più, fatta di eleganza vocale, scrittura solida (seppur non originalissima) e talento innato. Sul palco non tradisce, anzi dà sempre il meglio di sé. E si candida di prepotenza alla vittoria finale.


Il resto? Mi aspettavo qualcosina in più dalla coppia Ditonellapiaga e Rettore, che non vanno oltre un orecchiabile ritornello dance dalle aspirazioni di tormentone.

Mentre mi hanno colpito l’energia e il coraggio di Iva Zanicchi, che a 82 anni canta di sesso con voce spessa e temprata dal tempo. La canzone, in realtà, non è niente di che, ma lei la nobilita con un’interpretazione potente.


Oggi serata fiume con tutte le canzoni in gara. Sarà dura.

Non bastasse, è previsto anche un intervento di Saviano. Aiuto!

Sanremo 2022, il mio editorialino

Domani inizierà un altro festival di Sanremo. L’ennesimo. E io, per l’ennesima volta, non ci andrò. Non per snobismo, perché come si dice a Milano, “el laurà l’è el laurà”, il lavoro è il lavoro, e non bisogna mai sputarci sopra.

Non ci andrò perché non c’è un giornale che mi paghi vitto e alloggio, condizione indispensabile per non rimetterci di tasca propria, visti gli esigui compensi elargiti dalla stragrande maggioranza degli editori.

Ma non ne faccio una malattia, anzi, a dirla tutta, andare al festival non mi è mai piaciuto molto. Per vari motivi. Se avete voglia di conoscerli, potete leggervi un mio pezzo di qualche anno fa, sempre su questo piccolo blog. Basta cliccare sul link…et voilà.

Tornando a Sanremo 2022, come ogni anno, me lo vedrò. Magari non tutto o non sempre, perché l’idea di fare le ore piccole ogni sera non mi entusiasma. Io, poi, sono di mio un tipo un po’ minimale, quindi figuratevi se mi può piacere quel format elefantiaco, dove ci sta di tutto e di più, dall’orgia di sponsor agli (inutili) ospiti speciali, con tutto il profluvio di salamelecchi e siparietti a ruota.

E, poi, la musica e il cast. Troppi cantanti, 25. E nessuno che mi scaldi realmente il cuore. Almeno sulla carta, perché le canzoni non le ho ancora ascoltate. L’impressione è che sarà un fritto misto di stili, generi e generazioni. Per piacere un po’ a tutti. O a nessuno.

Quindi, seguirò il festival con distacco e solo un po’ di curiosità, sperando in qualche raro sussulto d’emozione. Mi incuriosiscono grandi vecchi come Morandi e Ranieri, le provocazioni di Ditonellapiaga con Rettore, un emergente di lusso come Rkomi, la strana coppia Mahmood-Blanco.

Ascolterò con più attenzione La Rappresentante di Lista, che l’anno scorso fecero bella figura e ho apprezzato anche in concerto (leggi qui). E, poi, un rapper sui generis, cioè colto e maturo, come Dargen D’Amico, fino a Giovanni Truppi, cantautore vecchio stile con barlumi di poetica sincera qua e là. E, forse, Elisa, che anni fa con “Luce” mi piacque parecchio (ma i tempi sono cambiati e, temo, pure lei).

Tutto il resto, probabilmente, sarà noia. Fino a notte fonda.

Ma, come diceva il sommo poeta del pop, lo scopriremo solo vivendo.

Un’avventura

"Un'avventura", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

Italia, 2019. Commedia, 105′. Regia di Marco Danieli. Con Michele Riondino, Laura Chiatti, Valeria Bilello. Su RaiPlay

Commedia simil-musical ispirata dalle canzoni del primo Battisti, con un’esile trama che racconta negli anni la tormentata storia d’amore di una coppia. Tutto assai prevedibile e messo in scena senza particolari guizzi. Piacevole l’ambientazione anni 70, gli attori fanno quel che possono. Per una serata casalinga senza pretese può anche andare, ma gli eccellenti modelli tipo “Across The Universe” sono lontani mille miglia.

Le canzoni di Natale 2021

Ecco le canzoni di Natale 2021. Da Elton John con Ed Sheeran agli Abba, da Lamborghini a Il Pagante. Ma il meglio ce lo regala Norah Jones. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Diciamola tutta: le canzoni di Natale spesso non sono granché. Sdolcinate, già sentite, un po’ false. Alcune entrate nell’immaginario collettivo (la sempiterna “All I Want from Christmas” di Mariah Carey), altre finite subito nel dimenticatoio.

Per l’anno di grazia 2021 in prima fila ci sono due assi del pop come Elton John ed Ed Sheeran con “Merry Christmas”, titolo che non brilla certo per originalità. Il pezzo, poi, è leggero, ritmato e melodico, con un allegro video sul tema e un testo che rilancia un messaggio di speranza per questi tempi bui. Gradevole, seppur non entusiasmante.

Gli Abba rispondono con “Little Things”, uno dei pezzi più deboli del loro ultimo disco: una ballata assai mielosa sulle piccole gioie della vita, come il calore familiare la mattina di Natale. Più interessante (e furbo) il video, che in qualche modo tiene desta l’attenzione sul tour cibernetico a venire del gruppo svedese.

Canzone a rischio diabete per il troppo zucchero, insomma, che salviamo per l’intento benefico: i proventi derivanti dalla vendita del singolo saranno infatti destinati all’Unicef.

In Italia siamo messi peggio. Elettra Lamborghini se n’è uscita con “A mezzanotte”, una canzoncina tutta ammiccamenti sexy e innocui doppi sensi su una melodia che ricorda “Non succederà più” di Claudia Mori. Il video è un tripudio di color rosso, scenografie natalizie e sponsorizzazioni assortite. Così è, se vi pare.

La buttano apertamente sul trash quelli di Il Pagante con Lorella Cuccarini: “Un pacco per te” gioca con le ambiguità del titolo e i luoghi comuni di stagione su una base disco tipo “unz unz” che si apre a un ritornello molto orecchiabile (e già sentito). Almeno il video è simpatico, diviso fra l’allegra frenesia di New York e la nostra malinconica Milano, due facce dei diversi umori natalizi.

Meglio la tenue delicatezza, con coloriture brasiliane, di Gaia nella sua versione di “What Christmas Means to Me”, in esclusiva per Amazon Music: l’originale di Stevie Wonder è inarrivabile, ma la cover della cantante italo-brasiliana si lascia apprezzare.

Ma se volete alzare l’asticella (e di molto), uscite dai confini tricolori e puntate su una fuoriclasse come Norah Jones e il suo “I Dream Of Christmas”, collezione di classici e inediti nel suo stile morbido e suadente fra canzone d’autore, jazz, blues, gospel e soul.

Siamo su un altro livello. E si sente. Se, poi, avete una mezz’oretta di tempo, godetevi il suo live natalizio in vetta all’Empire State Building (qui sotto il link).

Da brividi. E non solo per il freddo in alta quota.

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