di Diego Perugini

Zucchero, crediti di Robert Ascroft

Sul nuovo disco di Zucchero, “D.O.C.”, si è scritto molto (anche qui), com’è giusto che sia. Un album fra tradizione e innovazione, col vecchio Sugar aggiornato ai tempi elettronici moderni. Mentre i testi guardano al nostro presente con amaro disincanto. Zucchero critica e denuncia, mettendo la sordina alla goliardia “perché non è più il momento”.

Lo suggerisce nelle nuove canzoni, lo esplicita nell’affollata conferenza stampa di qualche giorno fa. E’ preoccupato di quel che accade in questo vecchio pazzo mondo, non lo capisce, non lo accetta. “Incomprensibili e ingiustificabili” definisce il razzismo montante e le reminiscenze di fascismo e nazismo. Così come la smania dell’apparire a ogni costo, la libertà condizionata da social e media, le guerre sparse per il mondo, i cambiamenti climatici, la corruzione diffusa, i politici da quattro soldi e via proseguendo.

E’ un sentimento che proviamo in tanti, della sua e delle altre generazioni affini, quel non capire e non sapere bene cosa fare. Come tanti di noi Zucchero appare stanco, ripiegato su se stesso, un po’ rassegnato. E’ scettico sulla potenza del messaggio della musica e, scuotendo la testa, spiega che i vari Live Aid, Mandela Day alla fine non hanno portato i risultati sperati. Perciò dal palco niente proclami politici, ma “solo” sentimenti ed emozioni. La speranza, forse, viene dai giovani: “E meno male che c’è una come Greta, che finalmente ha dato una mossa a questi ragazzi un po’ seduti”, aggiunge.

Zucchero, "D.O.C.", copertina
Zucchero, “D.O.C.”, copertina

Lui, Zucchero, trova la pace nel privato. Si difende dalle brutture del mondo con una vita country, fra animali e pochi amici contadini. Si tuffa nei ricordi dell’infanzia, nelle radici sempre più profonde e importanti, in quel piccolo mondo antico dove “si litigava anche, ma c’era rispetto”. I nonni, il padre, il prete, Roncocesi, il suono della domenica, storie che ha raccontato decine di volte, ma che fa sempre piacere riascoltare.

Stavolta, però, c’è qualcosa di più: nei testi appare sempre una luce in fondo al tunnel, qualcosa di spirituale. “Un inizio di redenzione, anche per un ateo come me”, dice fra l’ironico, il sorpreso e il commosso. La fede, insomma, che per altro aveva già cantato in uno dei suoi capolavori, “Così celeste”. Ma ora il fuoco è più vivo, l’immagine più chiara: potrebbe essere Dio, come cantava Renato Zero tanti anni fa. “Magari non quello dei cristiani, ma un’entità superiore. Sarà la consapevolezza che tutto avrà una fine e così anche questo mondo finto e apparente. Forse sarà l’età, forse mi sto preparando. E, allora, non si sa mai”.