Non solo Sanremo. Nel giorno in cui la stampa veniva convocata per la maratona degli ascolti (lo scorso venerdì), per fortuna c’era anche altro da fare. E da ascoltare.
In uscita c’era il nuovo di Elvis Costello, che come forse avrà intuito chi bazzica da queste parti, è uno dei miei artisti preferiti. Lo seguo da sempre, nei suoi alti e bassi, l’ho visto varie volte in concerto, ho avuto anche l’onere/onore di intervistarlo face-to-face, tanto tempo fa.
L’ho pure criticato, le poche volte che il suo iperattivismo creativo ha abbassato l’asticella della qualità. Non è il caso, per fortuna, di questo “The Boy Named If”, realizzato coi fidi Imposters (e che piacere riascoltare l’organo di Steve Nieve!), che rilancia la foga e l’irruenza degli inizi con la maturità dei tempi moderni.
Per gli appassionati è una gioia risentire ritmi e melodie familiari, evitando di cadere nella banalità del déja vu, ragionando sui moti e le emozioni della giovinezza perduta, senza farsi troppo prendere dalle morse della nostalgia.
Sono tredici storie fra passato e presente, realtà e fantasia, una sorta di racconto della linea d’ombra di ognuno di noi.
Ecco il rock anni Sessanta di “Farewell, Ok”, le sonorità (quasi) vaudeville “The Man You Love To Hate”, la ballatona romantica “Paint The Rose Blues”, le delizie jazzy di “Trick Out The Truth” (con un testo lungo, ironico e articolato, dalle citazioni assortite) per chiudere con la grande bellezza della suadente “Mr. Crescent”.
In poche parole, un disco fatto come si deve, ispirato e brillante. Anzi, pimpante.
Mette di buon umore. E di questi tempi non è poco.