E’ difficile convivere con cotanto padre. Da vivo e da morto. Lo ha ammesso spesso Cristiano De André, che con la storia e le opere di Faber s’è confrontato spesso. Con amore e sofferenza.
Ultima delle sue avventure, la rilettura di “Storia di un impiegato”, che ha portato dal vivo nel 2019. Un concept-album uscito nel 1973, in un’epoca di forti tensioni politiche e sociali.
Un disco complesso e cupo, dove si ritrovano istanze di vario genere: utopia, anarchia, sogno, potere, paura, rivoluzione, lotta, pacifismo e altro ancora.
Roba d’altri tempi, ma per certi versi assai attuale, che Cristiano ha riproposto in una chiave più rock, con venature elettroniche, aggiornando tematiche e contenuti alla nostra contemporaneità.
E proprio da qui parte “DEANDRÉ#DEANDRÉ – Storia di un impiegato”, il film di Roberta Lena, presentato all’ultima mostra del cinema di Venezia, che arriverà nelle sale il 25, 26 e 27 ottobre (qui l’elenco).
E’ lo spunto per un’indagine di un complicato rapporto padre-figlio, in cui si mescolano pubblico e privato. E tanta politica. Nel racconto a briglie sciolte di Cristiano, inframmezzato da documenti d’epoca, immagini di repertorio e spezzoni di live, riaffiorano molti elementi: la comune fede anarchica, la critica a ogni forma di potere, il legame forte con la Sardegna, i ricordi d’infanzia, gli scontri e gli allontanamenti, i momenti teneri e quelli più difficili, la passione viscerale per la musica.
Tanta, forse troppa, carne al fuoco. Così la parte “politica” risulta più farraginosa, mentre quella “privata” coinvolge ed emoziona di più. Quando arrivano le canzoni, poi, si vola in alto.
Le riletture ardite (ma efficaci) di Cristiano e le toccanti scene dei tour insieme, incluse quelle del famoso concerto di Fabrizio del 1998 al Brancaccio di Roma, uno degli ultimi prima della fine.