Alla fine ha vinto Angelina Mango, come da pronostico iniziale.
Un trionfo segnato da una polemica al foto finish (e mi pareva strano non arrivasse…) per i soliti complessi e un po’ oscuri meccanismi delle votazioni.
Per dirla in due parole: al televoto aveva vinto nettamente Geolier, poi stampa e radio hanno ribaltato il verdetto. Qui trovate una spiegazione più esaustiva.
Giusto? Sbagliato? Si apra l’ozioso dibattito.
Ma non è la prima volta che capita. Anzi. Qualcosa del genere accadde, tanti anni fa, con gli Avion Travel ai danni di Grandi e Morandi. E, molto più di recente, con Mahmood ai danni di Ultimo. Che, per la cronaca, si incazzò parecchio.
Verdetto giusto, comunque?
Boh. Non sono tipo da stilare classifiche e vergare pagelle, mica siamo più a scuola. E, poi, quelle le fanno già tutti, regalando spesso e volentieri voti altissimi. E, per quanto mi riguarda, assai discutibili.
Comunque, non appartengo al fan club della Mango, non ancora per lo meno. E, dirò un’eresia, ma la cumbia di “La noia” non mi entusiasma.
Neanche il tempo di andare in un negozio a Milano a provarmi un paio di jeans, che eccola arrivare in sottofondo a tormentarmi.
E temo siamo solo all’inizio. Ma la giovane Angelina ha grinta, entusiasmo, bella voce e acerbo talento. Potrà crescere. E, si spera, cantare anche cose migliori.
In quanto a tormentone non scherza nemmeno la terza arrivata Annalisa con la sua “Sinceramente”, parecchio orecchiabile e parecchio derivativa.
Il rischio di cadere già nel cliché è dietro l’angolo. Ma ha successo ed è il suo momento: come darle torto?
Geolier, secondo arrivato e grande sconfitto (si fa per dire), potrà consolarsi allargando ancora di più il suo già ampio bacino di pubblico.
Il suo pezzo non mi ha detto granché, forse perché sono un “boomer”. Ma è moderno, attuale, contemporaneo. Piace e piacerà.
Il resto, come sempre, lo diranno le questioni di streaming e passaggi radio. E i club, i palazzetti e gli stadi più o meno pieni. Lì si capirà il vero vincitore.
Ultime considerazioni.
Pare sia stato l’ultimo Sanremo targato Amadeus, giusto così. Come Pioli al Milan, pure Ama ha finito il suo ciclo all’Ariston.
Gli va riconosciuto il merito di aver riportato il festival ai fasti di un tempo. E di averlo svecchiato, negli artisti e nell’audience.
Ora non ci vanno più solo glorie d’antan o chi deve rilanciarsi, ma anche chi ha successo o, come si dice oggi, è di tendenza.
Perché Sanremo porta bene e regala popolarità in grande stile a chi lo sa sfruttare come si deve. E’ il palco più importante d’Italia, diretta espressione di quanto va forte fra streaming, radio e dintorni, e si fa di tutto per salirci e giocarsi le proprie carte.
E, cosa niente affatto trascurabile, gli ascolti e le classifiche premiano questa scelta. Ma non è tutto oro quel che luccica. Almeno per me.
Da qualche anno fatico a guardarlo e non riesco ad affezionarmi a un brano in particolare. Problema mio?
Forse. Ma mi sembra che la qualità media sia in fase calante. Meno “ciofeche”, ma anche meno pezzi memorabili. Tutto un po’ omologato nel nome di una bulimia di proposte quasi mai entusiasmanti.
Anche stavolta non ho trovato la mia canzone del cuore. Non mi sono dispiaciuti Ghali, Mahmood, Diodato.
La Bertè più che altro per la sua storia, un po’ Gazzelle e Rose Villain. Ma nessuna voglia di andare a riascoltarli. Sono troppo esigente? Mah.
Insomma, sarebbe ora di cambiare passo. Vedremo se davvero Ama mollerà il colpo e chi sarà il suo successore e quali scelte farà. Quanto a me, da umile spettatore e addetto ai lavori di lunga data, butto lì qualche idea.
Qual è il Sanremo che vorrei?
Beh, innanzitutto vorrei un festival più breve, tipo che si chiude ogni sera intorno a mezzanotte. E senza troppe divagazioni, siparietti, pubblicità più o meno occulte e ospitate che allungano il brodo e spezzano il ritmo della serata. O ti portano nei territori del kitsch più imbarazzante come nell’affaire Travolta.
E, poi, che senso ha fare cantare uno alle due di notte?
Il che significherebbe ridurre drasticamente il numero delle canzoni in gara. Quest’anno erano 30, molte delle quali prescindibili.
Troppe. Ne sceglierei una quindicina, ma con cura e attenzione alla qualità. Pescherei fra vari generi, senza badare solo a radio e streaming, limitando quei suoni urban, rap, trap e dintorni (uso dell’autotune incluso) che fanno sembrare tutto così uguale, tutto così omologato.
Amplierei la platea degli autori, perché se fai scrivere tutto o quasi ai soliti noti, ovvio che poi fatichi a distinguere le canzoni una dall’altra.
Sui meccanismi delle votazioni, invece, mollo il colpo. La partita rimane aperta e forse non si chiuderà mai. Anche perché la formula perfetta non esiste e ci sarà sempre qualcuno che prenderà male i verdetti.
E i cantanti in gara? Chi porterei all’Ariston?
Eh, no. Un po’ di pazienza. Prima fatemi diventare il nuovo direttore artistico.
E, poi, ne riparliamo.