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Ciao ciao, Sanremo 2022

Ciao ciao, Sanremo 2022. Finisce il festival e vincono, come da pronostico, Mahmood & Blanco. Il commento di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Alla fine il pronostico viene rispettato: vincono Mahmood & Blanco, seconda Elisa e terzo Morandi. Un verdetto salomonico, che come ha detto scherzosamente il Gianni nazionale mette in fila tre generazioni diverse: i giovani, quelli di mezzo e i vecchi. Dove i giovani sono, ovviamente, rappresentati da lui.

Battute a parte, un verdetto che, tutto sommato, ci sta. E riporta Sanremo in un solco più tradizionale dopo l’edizione “di rottura” (in ogni senso) coi Maneskin. Vincono due ballate abbastanza classiche, ben scritte e ben eseguite, semmai un po’ a rischio leziosità. E, infatti, confesso che, dopo qualche ascolto, mi hanno già stufato.

Mahmood & Blanco (soprattutto quest’ultimo) hanno goduto del favore del pubblico più giovane che non ha mancato di sostenerli. In più ben si inseriscono nel filone “gender fluid” oggi tanto in voga, che anche quest’anno sul palco dell’Ariston ha portato vari artisti.


Elisa ha fatto il suo, non è arrivata prima ma ha dimostrato ancora una volta di avere classe e talento. Morandi, complice l’amico Jovanotti, vola sul podio col pezzo più allegro dei tre, una positiva ventata di buone vibrazioni. E un ritornello che ti resta in testa. Chissà, forse è davvero lui il più giovane del lotto (per lo meno nell’animo).


Per il resto non è stato un Sanremo di quelli memorabili. Ma qualcosa che sta nel mezzo. E, mirabile dictu, per una volta senza polemiche e incazzature assortite.


Non ho trovato canzoni da mandare alla storia, ma nemmeno enormi ciofeche (sì, forse un paio, giustamente relegate a fondo classifica). Mi hanno divertito Dargen D’Amico e LRDL, che sotto la scorza danzerina raccontano il nostro tempo di libertà sacrificate. E mi ha divertito pure la strana coppia Ditonellapiaga e Rettore, edonista e caciarona.

Cresce col tempo e gli ascolti la canzone di Giovanni Truppi, tipo coerente e alieno ai compromessi (anche nel vezzo di non rinunciare alla canotta d’ordinanza). I grandi vecchi Zanicchi e Ranieri alla fine ne escono bene, forti di carisma e statura ineccepibili.

Ridimensionati, invece, Rkomi, campione di classifiche e streaming, che qui non sfonda; e, soprattutto, Lauro, troppo autoreferenziale e ripetitivo.

Matteo Romano è un talentino da tenere d’occhio, mentre Sangiovanni si conferma idolo per le teenager e Irama pure (ma con qualche velleità in più).

Ho dimenticato qualcuno? Probabilmente sì. Vuol dire che non mi è arrivato o non mi è proprio piaciuto. Spiace.


Come sempre, adesso toccherà a vendite, streaming, visualizzazioni e live (si spera) dire l’ultima parola. Al prossimo festival, insomma.

Sanremo 2022, ciao ciao.

Sanremo 2022: cover e ciofeche

Sanremo 2022: in archivio anche la serata delle cover, con parecchi scivoloni, pochi meriti e molte ciofeche. Primo Morandi con Jovanotti. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Ero stato facile profeta, nel mio articolo di ieri, a pronosticare una serata di cover a “effetto ciofeca”. E così è stato, come volevasi dimostrare.

Non sto qui a buttar giù voti e classifiche, tanto quelli li trovate in tutti i luoghi e in tutti i laghi (cit.), quasi sempre incredibilmente gonfiati (ovviamente in positivo). Ma tant’è.

Nelle interpretazioni sfilate sul palco dell’Ariston ho trovato spesso approssimazione, ignoranza, inadeguatezza, finanche presunzione. E mancanza di rispetto. A toccare grandi classici ci si fa male e si fanno danni.

Confesso di aver provato forte irritazione a vedere Sangiovanni alla prese con “A muso duro” di Bertoli, fra sorrisini e sfrontatezza giovanile. O Yuman spaesato in un pezzo enorme come “My Way” e Aka7even vocalmente inadatto a “Cambiare” di Alex Baroni.

“Be My Baby” di LRDL con amici e sodali in versione electro-pop sarà stata anche coraggiosa, innovativa e sperimentale, ma a me, vecchio cuore spectoriano, ha fatto sanguinare le orecchie.

Meglio Truppi, Capossela e Pagani in un De André meno noto al grande pubblico, mentre Elisa ha fatto il suo in zona Flashdance con tanto di (ottima) ballerina al seguito.

Strabordante il Grignani sopra le righe di “La mia storia fra le dita” che mette a soqquadro il teatro e corricchia qua e là in platea con Irama a rincorrerlo disperatamente (anche nel cantato): esibizione surreale, già di culto.

Un filo stucchevoli Mahmood & Blanco con “Il cielo in una stanza” e massimo rispetto, come sempre, per l’ottuagenaria Zanicchi con la sua emozionante voce segnata dal tempo.

Capitolo a parte per Gianni Morandi, che fa la furbata di “coverizzare” se stesso, col “piccolo aiuto” del nuovo amico Jovanotti. Insieme mettono in piedi un trascinante e divertente mini-show coi reciproci classici: come dire, ti piace vincere facile. E, infatti, arrivano primi in classifica.

Stasera ultimo atto: in testa tengono botta Mahmood & Blanco, Morandi ed Elisa. Ma occhio ai “giovinastri” Irama e Sangiovanni.

E, poi, si volterà pagina. Come sempre.

Sanremo 2022: è l’ora delle cover

Sanremo 2022: è l'ora delle cover. Stasera uno dei momenti più intriganti del festival, coi cantanti alle prese con classici di ogni tempo. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Dopo la maratona di ieri, conclusasi dicono intorno alle due di notte (scusate, ma io ero già sotto le coltri da un po’), è in arrivo la serata sanremese che, da sempre, m’intriga di più: quella delle cover.

Perché l’arte della cover (nel mio piccolo, tanti anni fa, mi ci sono cimentato pure io) è difficile e stimolante, con l’alta probabilità di sbattere il muso contro classici più o meno intoccabili e rimediare figure barbine.

Infatti c’è sempre il rischio di scimmiottare l’originale senza aggiungerci nulla o al contrario, per usare una fine metafora, farla fuori dal vaso, stravolgendo e rovinando un capolavoro.

Insomma, bisogna studiare e conoscere bene, in tutte le sue sfumature, la canzone che si vuole reinterpretare. Farla propria, darne una versione personale, ma senza eccessi. E’ un delicato gioco di equilibri. E di buon gusto.

Zucchero, uno che la sa lunga e ha pubblicato mesi fa un buon disco di cover, ha seguito una saggia regola: stare distanti dai superclassici, i pezzi intoccabili, resi immortali da interpretazioni storiche, con cui è facile rompersi (metaforicamente) le ossa.

Così dalla scaletta dell’album ha volutamente lasciato da parte titoli che ama alla follia, come “A Whiter Shade Of Pale” dei Procol Harum, perché impossibile far meglio.

Regola aurea che i sanremesi di quest’anno sembrano voler eludere in massa (o quasi). Scorrendo l’elenco dei brani in scaletta, noto autori da far tremare le vene e i polsi: Battisti, Paoli, Tenco, McCartney, De André, Daniele, Vasco.

E pezzi assai tosti come “(You Make Me Feel Like) A Natural Woman”, “Be My Baby”, “My way” e “Your Song”, che non sarà facile restituire in maniera anche solo dignitosa. Chi farà meno danni? Si accettano scommesse.

Insomma, ne vedremo delle belle. O, più probabilmente, delle brutte. Con l’effetto ciofeca pericolosamente in agguato, così come le inevitabili geremiadi dei puristi.

Ma anche questo, ça va sans dire, è Sanremo.

p. s. Intanto la classifica dopo la terza serata ha confermato il duello fra Mahmood/Blanco ed Elisa, con qualche sconvolgimento dal terzo posto in più.

Salgono le quotazioni del grande vecchio Morandi (a cui auguro sinceramente di finire sul podio), ma scalano posizioni anche i “giovinastri” Irama e Sangiovanni.

Il momento migliore, però, è stato il mini-show di Cesare Cremonini.

Ma lui, come si usa dire, gioca in un altro campionato.

Sanremo 2022: la prima serata

Sanremo 2022. E' passata la prima serata, con la coppia Mahmood e Blanco in testa alla classifica provvisoria. Il commento di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Stavolta sono “completamente d’accordo a metà” coi colleghi votanti di questo Sanremo 2022. Al netto di encomi esagerati e pagelle dai numeri troppo generosi, il podio della prima serata non mente.

Primi Mahmood e Blanco con “Brividi”, una raffinata ballata dalla melodia tradizionale declinata secondo la contemporaneità urban. Col plus di due voci diverse che ben si amalgamano nel racconto di un amore universale, visto da prospettive anche diverse. Di grande effetto già dal primo ascolto, potrebbe vincere.

Secondi La rappresentante di lista con “Ciao ciao” che la buttano subito sul ritmo, con un tiro funky e un ritornello dal testo semplice e vincente. E una coreografia elementare ed efficace, facile da replicare. Anche (perché no?) dai bambini. Sarà tormentone? Forse sì.

In odor di tormentone, potenziale successore di “Musica leggerissima” in quanto a orecchiabilità e contenuti, è anche Dargen D’Amico, terzo con “Dove si balla”, che riflette in chiave dance sull’astinenza e la nostalgia da live che tutti stiamo provando da inizio pandemia. Bel testo, uno dei pochi con qualche riferimento all’attualità.

Non mi è dispiaciuto nemmeno l’emozionatissimo Gianni nazionale griffato Jovanotti, quarto: un “errebì” pop che pare uscito dagli anni Sessanta. Ed è un complimento. Mette allegria e regala un po’ di ottimismo, perché quando ci vuole ci vuole.

Il resto passa via un po’ così, senza colpo ferire. Lauro ha stufato con le sue autocitazioni e (pseudo) provocazioni, Ranieri inciampa con la voce, Giusy Ferreri impalpabile, Rkomi può crescere.

Di pessimo gusto il medley carnascialesco delle canzoni tristi di Fiorello, con più di uno degli autori che si starà rivoltando nella tomba. Imbarazzante il look di Orietta Berti, come del resto tutto l’ambaradan sulla nave da crociera con Rovazzi: immagino sia la solita questione di sponsor. Ok, ma che tristezza.

A domani.

Sanremo 2019, vince Mahmood!

Mahmood, vincitore di Sanremo 2019
Vittoria a sorpresa dell’outsider Mahmood a Sanremo 2019. Un brano moderno, figlio del nostro tempo.

di Diego Perugini

“Pazzesco, pazzesco”, ripete stordito dalla gioia e dall’emozione. E, in effetti, un po’ di (lucida) follia c’è nel verdetto finale di Sanremo 2019. Vince Mahmood, ovvero un outsider, snobbato dalla ridda dei pronostici di professionisti e gente comune. Ed è una bella vittoria, sebbene decretata dai voti della stampa e della giuria d’onore, mentre il pubblico di casa col televoto gli ha preferito di gran lunga il più tradizionale Ultimo. Un verdetto che mi ha ricordato alla lontana quello di 19 anni fa, quando la giuria di qualità spinse gli Avion Travel in cima alla classifica, penalizzando gli altri. Stavolta, però, non m’è sembrato di vederci un eccesso di strategia, come fu allora. Semmai, differenze di gusti e vedute. Mia ingenuità. Perché invece s’è scatenato subito un putiferio, con accuse, polemiche, insulti e le solite strumentalizzazioni politiche.

Ma anch’io, dovendo scegliere, avrei preferito Mahmood. Perché la sua canzone è più moderna, contemporanea. E rappresenta bene il melting pot di stili, generi e culture dei nostri tempi. In “Soldi” ci ritrovi trap, rap, elettronica, pop e influssi mediorientali. Perché, appunto, Mahmood è un figlio dei nostri tempi, milanese di nascita da mamma sarda e papà egiziano. E sa far convivere nel modo giusto radici e influenze differenti. Poi la canzone ha un ritmo accattivante e ipnotico, con frasi martellanti e quel battito di mani che ti restano in testa. In più parole semplici ma non banali, nel racconto autobiografico di rapporti familiari rovinati dalla vil pecunia, una storia in cui in molti si identificheranno.

Non so, poi, questo exploit dove lo porterà. Di certo la sua vittoria ha rovinato la festa annunciata di Ultimo che, con scarso fairplay, ha polemizzato coi giornalisti in conferenza stampa. Ma, in fondo, il ragazzo romano non ha torto: si prenderà la rivincita nel dopo Ariston, riempiendo i palasport di fan assatanati. Mahmood, chissà…

Sanremo 2019, le canzoni. Non male, ma..

Si chiude qui, quindi, l’edizione 69 di Sanremo. Il livello generale non è stato male, pur senza picchi vertiginosi. Daniele Silvestri ha fatto il pieno dei consensi della critica con un pezzo per niente facile, ma interpretato e sceneggiato con sapienza. Non so poi come renderà fra radio, streaming e dintorni. Ma lui resta un fuoriclasse vero.

L’indie ne esce benino: il pezzo di Motta è imperfetto ma vibrante, con un ritornello potente (“Dov’è l’Italia amore mio?/Mi sono perso”) facilmente condivisibile. Gli Zen Circus un po’ eccessivi e pretenziosi coi loro fiumi di parole in crescendo e niente ritornello (aridatece “Andate tutti affanculo”); Ex-Otago debolucci rispetto agli standard di “Marassi”; Boomdabash innocui ma simpatici col loro reggae made in Salento. L’ex rapper Achille Lauro ha smosso le acque con un rockettino derivativo e ambiguo, con corredo di polemiche sui presunti riferimenti alla droga. Il riff stile Vasco è una furbata vincente, almeno per ora. Durerà?

Parentesi Cristicchi: forse sarò insensibile o quant’altro, ma lo trovo retorico e noioso. Possibile che sia l’unico a pensarla così? Mah. Bertè quarta fra l’incazzatura del pubblico dell’Ariston: la statura del personaggio non si discute, ma il brano non era all’altezza. Di Ultimo s’è già accennato: canzone nel solco della tradizione pop sentimentale, appena aggiornata al 2019. Piacerà molto ai cuori di panna, ma poteva dare di più. Su Il Volo tocca prendere atto che piacciono e molto: sono sempre tra i primi, la critica (me compreso) se ne faccia una ragione. Amen.

Un po’ di malinconia per una Patty Pravo in fase calante, con un brano modesto e un partner fuori contesto: finisce nelle retrovie. Triste, ma giusto così. Rimane in testa il ritornello di Arisa, penalizzata da esibizioni non all’altezza, fra stecche e dimenticanze. A proposito di ritornelli: il primo che m’ha “tormentato” già dopo la prima sera è stato quello dell’imberbe coppia Shade/Carta. E, intanto, su YouTube il loro clip ha già superato i quattro milioni di visualizzazioni. Saranno mica loro i veri vincitori di Sanremo?