Alla fine il pronostico viene rispettato: vincono Mahmood & Blanco, seconda Elisa e terzo Morandi. Un verdetto salomonico, che come ha detto scherzosamente il Gianni nazionale mette in fila tre generazioni diverse: i giovani, quelli di mezzo e i vecchi. Dove i giovani sono, ovviamente, rappresentati da lui.
Battute a parte, un verdetto che, tutto sommato, ci sta. E riporta Sanremo in un solco più tradizionale dopo l’edizione “di rottura” (in ogni senso) coi Maneskin. Vincono due ballate abbastanza classiche, ben scritte e ben eseguite, semmai un po’ a rischio leziosità. E, infatti, confesso che, dopo qualche ascolto, mi hanno già stufato.
Mahmood & Blanco (soprattutto quest’ultimo) hanno goduto del favore del pubblico più giovane che non ha mancato di sostenerli. In più ben si inseriscono nel filone “gender fluid” oggi tanto in voga, che anche quest’anno sul palco dell’Ariston ha portato vari artisti.
Elisa ha fatto il suo, non è arrivata prima ma ha dimostrato ancora una volta di avere classe e talento. Morandi, complice l’amico Jovanotti, vola sul podio col pezzo più allegro dei tre, una positiva ventata di buone vibrazioni. E un ritornello che ti resta in testa. Chissà, forse è davvero lui il più giovane del lotto (per lo meno nell’animo).
Per il resto non è stato un Sanremo di quelli memorabili. Ma qualcosa che sta nel mezzo. E, mirabile dictu, per una volta senza polemiche e incazzature assortite.
Non ho trovato canzoni da mandare alla storia, ma nemmeno enormi ciofeche (sì, forse un paio, giustamente relegate a fondo classifica). Mi hanno divertito Dargen D’Amico e LRDL, che sotto la scorza danzerina raccontano il nostro tempo di libertà sacrificate. E mi ha divertito pure la strana coppia Ditonellapiaga e Rettore, edonista e caciarona.
Cresce col tempo e gli ascolti la canzone di Giovanni Truppi, tipo coerente e alieno ai compromessi (anche nel vezzo di non rinunciare alla canotta d’ordinanza). I grandi vecchi Zanicchi e Ranieri alla fine ne escono bene, forti di carisma e statura ineccepibili.
Ridimensionati, invece, Rkomi, campione di classifiche e streaming, che qui non sfonda; e, soprattutto, Lauro, troppo autoreferenziale e ripetitivo.
Matteo Romano è un talentino da tenere d’occhio, mentre Sangiovanni si conferma idolo per le teenager e Irama pure (ma con qualche velleità in più).
Ho dimenticato qualcuno? Probabilmente sì. Vuol dire che non mi è arrivato o non mi è proprio piaciuto. Spiace.
Come sempre, adesso toccherà a vendite, streaming, visualizzazioni e live (si spera) dire l’ultima parola. Al prossimo festival, insomma.
Sanremo 2022, ciao ciao.