di Diego Perugini

Willie Peyote, “Iodegradabile”

Non solo trap, con testi elementari, valori zero e volgarità assortite. Esiste anche un altro volto del rap, più maturo e profondo, capace di guardare con occhi diversi la realtà che ci circonda. E di avvicinare un pubblico più adulto ed esigente. Di recente sono usciti un paio di dischi da tenere d’occhio, molto differenti fra loro, ma accomunati da questa voglia di andare oltre.

Willie Peyote ha licenziato da un paio di settimane “Iodegradabile”, il suo primo lavoro per una major. Peyote è un artista di nicchia, sulla scena da parecchio tempo. Non è un novellino, ha 34 anni, e un piglio da ironico critico dei nostri tempi. Ce lo racconta in queste canzoni, una mezz’oretta dove il rap si mescola ad altri generi, dal funk al rock alla canzone d’autore.

Willie parla di politica senza filtri, ma anche delle nostre relazioni interpersonali, amore incluso. Ha uno stile ricercato, che mescola riferimenti colti a espressioni colorite. Denuncia le smanie social, il materialismo, l’ignoranza e le brutture del presente.

C’è, in definitiva, l’esigenza di mandare un messaggio, fare del proprio meglio per cambiare le cose, essere responsabili verso se stessi e gli altri. Proprio come canta in “Mango”, uno dei pezzi più forti in scaletta, dove dietro la dedica al compianto artista salentino lucano si cela una feroce invettiva socio-politica.

MARRACASH, foto di Alessandro Treves

Fuori da poco è, invece, “Persona” di Marracash, dove il rapper della Barona, ormai 40enne, riflette sul dualismo artista/persona, citando nientemeno che il Bergman di “Persona”. Un film, diciamolo pure, pesantuccio. E tanto leggero non è nemmeno il disco di Marra, che dopo un periodo di forte crisi depressiva complicato da una storia d’amore devastante ha realizzato il suo disco più intimo.

“Fabio ha ucciso Marracash”, ha dichiarato, spiegando come la dimensione umana stavolta abbia preso il sopravvento sulla maschera del personaggio. Non pensiate che d’un tratto il King del rap sia diventato un intellettuale radical-chic, però queste canzoni raccontano di uno scavo interiore e di un disagio per il crollo dei valori (sociali, politici, esistenziali) di oggi.

Manifesto del disco è “Quelli che non pensano”, che attualizza il classico di Frankie Hi-Nrg Mc in chiave contemporanea: là c’era la critica alla borghesia italiana media, qui la triste constatazione di un “non pensiero” collettivo. Altrove il tono si fa più privato, come nello sfogo di “Crudelia”, ballata dove Fabio sputa fuori tutta la rabbia per un amour fou.

I testi sono meno spavaldi e più pensati, senza la necessità autoreferenziale di rivendicare il proprio status di numero uno, come capita spesso nel rap. E anche i suoni sono più curati, contaminati, con strumenti veri, strizzatine d’occhio al rock, persino un bel sax. Insomma si cresce, si cambia, si migliora. Anche soffrendo e incazzandosi.