IO SONO MIA. Serena Rossi nel ruolo di Mia Martini, photo Bepi Caroli
Arriva stasera in tv il biopic su Mia Martini. Il racconto appassionante di un’artista dalla vita difficile e vittima di un assurdo pregiudizio.

di Diego Perugini

Piccola premessa: i film biografici sono da maneggiare con cautela. Perché il rischio di forzare la storia, romanzarla, quando non addirittura falsarla, è grande. Con sonore arrabbiature dei fan e dei critici più puntigliosi. E’ accaduto di recente con “Bohemian Rhapsody”, storia di Freddie Mercury e dei Queen, che s’è beccato più d’una stroncatura per le tante inesattezze inanellate, salvo però stravincere al botteghino e ai Golden Globe. Un rischio che s’è preso pure la nostra Rai Fiction, prima col film su Fabrizio De André, “Principe Libero”, e ora con “Io sono Mia”, dedicato a Mia Martini, stasera in onda sui Rai1 (ore 21.25). Regista, produttore e cast chiariscono subito che non si tratta di una ricostruzione fedele della vita della cantante, ma che hanno preferito scegliere un’altra strada, privilegiando l’essenza, il talento e l’unicità di Mia. In una parola, l’anima.

Il film gioca sui flashback, partendo dal pretesto di un’intervista a cuore aperto con una giornalista, prima riottosa e poi partecipe, alla vigilia del Sanremo ’89, dove ha presentato uno dei suoi classici, “Almeno tu nell’universo”. Da lì il racconto di un’esistenza difficile: il rapporto conflittuale col padre, una tormentata storia d’amore, il successo e la caduta, il carattere fumantino, la testardaggine, l’integrità artistica, l’esilio forzato a causa delle assurde maldicenze sul suo conto (un aspetto su cui ci si sofferma a lungo), il ritorno a passi lenti e molto altro ancora.

Diciamolo subito: è una storia appassionante, soprattutto se di quelle vicende sei partecipe o, in qualche modo, testimone. Come nel caso di molti giornalisti, me compreso. La ricostruzione del periodo anni 70 e 80, dai suoi ambienti fino alle copertine dei dischi, è meticolosa, l’interpretazione di Serena Rossi sincera e ispirata. Ha ricantato le canzoni di Mia, da “Padre davvero” a “Piccolo uomo” e “Minuetto”, con bella voce e senza spingere sul pedale dell’imitazione fine a se stessa. Ci ha messo del suo, riuscendo bene nell’impresa, con una somiglianza fisica spesso impressionante, come ha dichiarato anche Loredana Berté, che ha sposato l’intero progetto.

IO SONO MIA. Serena Rossi nel ruolo di Mia Martini, photo Bepi Caroli

Ma ci sono pure difetti e licenze duri da digerire. Durante la visione mi sono chiesto più volte dove fossero Renato Zero e Ivano Fossati, due figure molto importanti nella vita di Mimì: il primo amico storico e il secondo amore della vita (nonché autore di vari successi). Nel film il loro nome non si fa mai (compare fugacemente solo quello di Ivano sul foglio di una canzone) perché, come ha spiegato Berté, non hanno voluto essere rappresentati. I motivi non sono stati chiariti, possiamo solo immaginarli: voglia di privacy, desiderio di non vedere spiattellati e romanzati sentimenti profondi e ferite ancora aperte. Sono scelte personali e, come tali, vanno rispettate. Allora si è ricorso a un escamotage: Zero è diventato Toni, un ragazzo estroso e pittato, che diverrà amico intimo di Mimì, mentre Fossati veste i panni di Andrea, fotografo di successo e suo grande amore. La somiglianza dei due alter-ego con gli originali non lascia dubbi sulla loro vera identità.

Detto questo, ripeto il concetto: il film è appassionante, a tratti persino commovente. A patto di lasciarsi andare e non soffermarsi troppo sul non detto o detto in maniera superficiale. Del resto, è bene ricordarlo: trattasi di fiction televisiva e non di documentario con pretese filologiche. In questo senso funziona benissimo e colpisce nel segno. Potrebbe essere un successo e un ulteriore viatico per la riscoperta di un’artista ingiustamente maltrattata dalla vita e dalla società.