La recente querelle su Laura Pausini mi ha fatto pensare, ancora una volta, a quanto scocci esporsi alla stragrande maggioranza dei nostri divi pop. Per paura, opportunismo, menefreghismo. O, pardon, “paraculismo”.
Non che chi canta sia obbligato sempre a dire la sua in ogni ambito (per carità, sai che noia), però neanche sempre tirarsi indietro. Soprattutto quando si viene tirati in causa.
L’ex pulzella di Solarolo, col gran rifiuto di cantare “Bella Ciao” in un programma tv spagnolo, ha rimediato una figura barbina. Per eccesso di prudenza, voglio sperare.
Lo ha fatto perché ha giudicato la canzone politica. E lei non vuole cantare canzoni politiche. La notizia, complici i soliti social, s’è diffusa velocemente, scatenando un’orda di pesanti commenti contro la discutibile scelta.
Dagli insulti senza se e senza ma alle spiegazioni filologiche sull’origine della canzone, che ormai ha travalicato gli stretti confini locali per diventare un inno libertario e antifascista universale.
Un classico, insomma. Quasi una hit, se mi si passa il termine. Che in Spagna, addirittura, è stata inserita nella colonna sonora del famoso telefilm “La casa di carta”.
Se Pausini quella sera l’avesse appena accennata, nessuno se ne sarebbe accorto e nessuno avrebbe avuto da ridire. Ha scelto la strada opposta e si è scatenata la bagarre.
Una scelta autolesionista e paradossale: non ha voluto cantare “Bella Ciao” per non esporsi politicamente, ma ha sortito l’effetto contrario. Scrive Pif, uno che mi è poco simpatico ma che stavolta ha detto il giusto: “Quando ti rifiuti di cantarla hai già preso posizione”.
Vero. E, in effetti, dalla destra più o meno estrema sono piovuti commenti di approvazione.
E’ quello che Pausini desiderava? Non credo.
E’ il risultato del vizietto così diffuso di stare ai margini, non esporsi, non prendere posizione. Perché…non si sa mai. Atteggiamento iper prudenziale caldeggiato (imposto?) spesso da manager/uffici stampa timorosi di urtare chi sa quale suscettibilità o deludere il funzionario, amministratore o politico di turno.
Non dire questo, non dire quello, non rispondere a certe domande, non sbilanciarti mai, parla solo del nuovo disco. E rimbalza i giornalisti troppo curiosi.
Un po’ triste, no? Ma tant’è.
Ricordo al proposito un piccolo episodio surreale capitatomi tempo fa con una nota cantante pop italiana.
Per il solito giochino che ti chiedono certe riviste le pongo una domanda innocua: “Quali sono le tue tre canzoni del cuore?”. E questa dopo qualche secondo mi risponde: “Ma no dai, lasciamo stare, non vorrei dimenticare qualcuno. Che poi magari si offende”.
Mi sono cascate le braccia (eufemismo), l’ho guardata con un misto di stupore e compatimento, e ho tirato avanti.
Come cantavano i Csi, “così vanno le cose, così devono andare”.