Ungheria, Romania, 2022. Drammatico, 125′. Regia di Cristian Mungiu. Con Marin Grigore, Judith State, Macrina Barladeanu.
In un paesino della Transilvania arrivano dei giovani lavoratori srilankesi. Non saranno ben accolti. Parabola desolata sul nostro tempo, fra razzismo strisciante e guerra fra poveri. Finale inquietante con metafora ursina. Regia rigorosa che non lesina lunghi piani sequenza sullo sfondo di un’umanità allo sbando, con pochi squarci di luce. Film tosto, acclamato dalla critica. Ma non per tutti.
Anteprima di “Green Book”, commedia on the road anni ’60 che fa sorridere e pensare. Ed è ricca di bellissima musica. Vincerà l’Oscar? Hope so!
di Diego Perugini
Ho visto l’anteprima di “Green Book” sapendo poco o nulla del film, giusto un trailer e qualche “strillo” positivo. Scoprendo solo in seguito che è fra i candidati all’Oscar. Ed è stata una piacevolissima (e istruttiva) sorpresa. Perché è una storia vera, appassionante, una commedia on the road anni ’60 che fa sorridere e pensare. Ed è ricca di bellissima musica. Si racconta la vicenda di due personaggi antitetici: Tony Lip, italoamericano furbetto e volgarotto, ma simpatico e di buon cuore; e Don Shirley, talentuoso pianista di colore, sin troppo raffinato e rispettoso delle regole. Quest’ultimo vuole andare a suonare nel profondo Sud degli States, sfidando il razzismo imperante di quelle zone, e ingaggia il nostro Tony come autista.
Durante il viaggio ne accadono di ogni, fra situazioni comiche e altre drammatiche. Ci sono il classico scontro di caratteri, origini e comportamenti, da cui ognuno impara qualcosa dall’altro, e la denuncia del razzismo, sempre attuale. In più, una serie di riflessioni e sottotesti sulla musica. Durante i viaggi in macchina Tony fa scoprire all’altezzoso Don, chiuso nella sua torre d’avorio di matrice classica, la forza di certa black-music, da Aretha Franklin a Little Richard, riportandolo a ristabilire il contatto con le sue radici.
Don
suona in case, teatri e luoghi altolocati, davanti a un pubblico
rigorosamente bianco, stregato dal suo magico tocco. Però non può
accedere ai servizi dei bianchi, né mangiare al loro tavolo. Come
una specie di giullare che deve allietare la platea, ma poi rimanere
al suo posto. Perché la musica dei neri piace molto ai bianchi, non
tanto però da vincere il loro razzismo. Per sopravvivere Don ha
dovuto anche cambiare: lui viene dalla classica, “Ma un negro non
può suonare Chopin”, dice in uno dei momenti clou del film. E,
allora, s’inventa una miscela di jazz, blues e classica, che possa
piacere un po’ a tutti. Persino all’incolto Tony.
Non
vi dico molto altro, per non rovinarvi il piacere della visione: se
non che Viggo Mortensen nei panni di Tony è strepitoso, il film è
girato coi tempi e ritmi giusti (il regista è il mitico Peter
Farrelly di “Tutti pazzi per Mary” e altri successi), e la
colonna sonora è una gioia per le orecchie.
Si esce dal cinema col sorriso sulla labbra e anche con qualcosa in più. Per esempio, non conoscevo la musica di Shirley e ora andrò a ripescarla. Come dicevano i vecchi saggi, non si finisce mai d’imparare.