di Diego Perugini

Vinicio Capossela, in tour con "Ballate per uomini e bestie"
Vinicio Capossela

Un concerto di Vinicio Capossela merita sempre. Perché lui è bravo, talentuoso, istrionico. E sa rendere intellegibili e persino accattivanti concetti tosti come quelli contenuti nel suo ultimo e pluripremiato cd “Ballate per uomini e bestie” (qui la mia recensione). E se il disco può risultare alla lunga faticoso, dal vivo è tutta un’altra cosa.

Quello che Vinicio sta portando in giro per l’Italia (qui tutte le date) è un recital teatrale a tutti gli effetti, con tanto di maschere (di animali), una scena statica arricchita da suggestivi visual, un gruppo di musicisti doc. Sul palco austero degli Arcimboldi il Nostro sbuffa e si camuffa, indossa abiti curiosi, racconta il Medioevo contemporaneo a colpi di allegoria. Dentro c’è di tutto, dal folk popolare che fa battere le mani alle ballate più pensierose.

Dal testamento di un suino alle citazioni di Keats e Oscar Wilde sino alle riflessioni sconsolate di tutti noi poveri cristi. Capossela denuncia la barbarie del nostro tempo per chiudere a passo di lumaca (davvero). In mezzo ci mette rabbia e dolcezza, sussurri e grida, ritmi mozzafiato e sospensioni romantiche. Tutto molto bello.

A un certo punto, però, si mette solitario al piano e parla di Milano, la stazione Centrale, il vecchio Smeraldo che non c’è più. E viene un po’ di nostalgia. Mi sono tornati alla mente tanti ricordi. Quando “sfrecciavo” con la mia nera macchinina nella notte meneghina, autoradio vecchio stile e le cassette nel cruscotto, “All’una e trentacinque circa”, “Modì” e “Camera a sud”, dovrei ancora averle da qualche parte.

Ecco il concerto che vorrei, mi sono detto. Riascoltare per una volta quei pezzi, un recital semplice, piano e voce, qualche strumento un po’ jazzato. Il vecchio Capossela, insomma, senza travestimenti. Metaforicamente nudo e crudo. Chiaro, Vinicio probabilmente non ci penserà proprio. Perché l’artista evolve, cerca altri stimoli e nuove avventure, non desidera guardarsi indietro. Ha ragione lui, certo. Però, lasciatemi coltivare questo piccolo desiderio. E chissà mai…