di Diego Perugini

In uscita "Judy", il biopic su Judy Garland con Renée Zellweger, superfavorita all’Oscar. Una biografia, ma anche una riflessione sulla "pericolosità" del successo.
“Judy”, locandina del film

Ho visto l’anteprima di “Judy”, il biopic su Judy Garland con Renée Zellweger, superfavorita all’Oscar. A dire il vero, il film non m’è piaciuto granché. Un po’ noioso e convenzionale, melodrammatico e parecchio triste. Ma, del resto, la sventurata storia della grande artista certo non è all’insegna dell’ottimismo più sfrenato.

La visione, semmai, ti induce a delle riflessioni su un elemento assai comune anche alle vicende del nostro pop: la “pericolosità” del successo. Qualcosa che ti porta alle stelle, ma può anche stritolarti, allontanarti dagli affetti più cari, ridurti a uno straccio e condurti all’autodistruzione.

“Judy” racconta questa discesa agli inferi, in realtà iniziata già agli esordi di bambina prodigio privata delle piccole grandi gioie del quotidiano (anche il semplice mangiarsi un hamburger) e costretta a mille rinunce nel nome del successo. Col corollario di tante pasticche per ovviare alle mancanze.

M’è venuta in mente Amy Winehouse, ma anche tanti altri che non sono stati capaci di “gestire” lo stress da successo, le pressioni e le rinunce. Tutte cose che a noi comuni mortali paiono così lontane, assurde. E che, invece, ritroviamo sempre più spesso nell’intimo di molti artisti.

C’è chi si ferma e si prende una pausa salutare, c’è chi sfoga le sue ansie nella musica stessa, ma c’è anche chi non ce la fa e si lascia andare. Come Judy. E tanti altri che portiamo nel cuore.