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Tag: Rolling Stones

Un martedì (live) da leoni. E non solo

I Rolling Stones martedì 21 a San Siro con l'unica data italiana del tour "Sixty". Nella stessa sera anche Killers e Offspring. Ma tutta la settimana sarà piena di concerti. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Rolling Stones, foto di Dave Hogan

Sarà un martedì da leoni, con tanti concerti in città. Precedenza assoluta agli ultraveterani Rolling Stones, attesi domani in un San Siro tutto esaurito per l’unica data italiana del tour “Sixty”.

Sessant’anni di carriera per Jagger & Richards (il primo prontamente risanato dal Covid, bontà sua), riassunti in una scaletta di 19 pezzi in cui non mancano (e come potrebbero?) classici come “Honky Tonk Women”, “Sympathy for the Devil” e “Jumpin’ Jack Flash”. Bis finale: “(I Can’t Get No) Satisfaction”. E scusate se è poco.

Sempre domani e a poche centinaia di metri di distanza, all’Ippodromo Snai San Siro per il Milano Summer Festival, ritroveremo l’alternative-rock di The Killers, anche qui unica data italiana (ore 21, da euro 46). In alternativa, al Carroponte ecco un’abbuffata punk con The Offspring, Punkreas, Lagwagon e Anti Flag (dalle 19, euro 51,75).


Altri appuntamenti: stasera ai Magazzini Generali il pop-rock degli americani Hanson, mentre Marco di Noia sarà alla Fabbrica di Lampadine con “Da Leonardo al Futuro”.


Mercoledì 22 al Carroponte arriva il rap contaminato di Rocco Hunt (seguito il 23 dagli Psicologi e il 24 da Guè Pequeno), mentre all’Alcatraz suoneranno i veterani punkettari californiani Bad Religion.


E non finisce qui. Giovedì 23 sarà il momento di Kendrick Lamar, pregiato pezzo da novanta del rap a stelle-e-strisce, atteso all’Ippodromo Snai, dove il giorno dopo (il 24) si esibirà l’italianissimo Brunori Sas.


Per chi, invece, cercasse appuntamenti meno affollati e adrenalinici, da tenere d’occhio il folto calendario di La Milanesiana, che in settimana ospiterà momenti live a ingresso gratuito (con prenotazione) di Capossela, Vasco Brondi, Giuseppina Torre, Paolo Fresu e Giovanni Caccamo. Qui il programma completo.

Buona musica (live) a tutti!

Tutti pazzi (o quasi) per i Måneskin

Tutti pazzi per i Måneskin. La band, nel giro di poche stagioni, sta conquistando il mondo. Qual è il loro segreto? E quanto durerà? Il commento di Diego Perugini
Foto di FrancisDelacroix

Se qualcuno un anno fa mi avesse detto che i Måneskin avrebbero aperto un concerto degli Stones negli Usa, gli avrei riso in faccia. O risposto sulla falsariga del surreale dialogo di “Ritorno al futuro”: “Ronald Regan presidente d’America? E il vice chi sarebbe: Jerry Lewis?!”.

Quindi avrei rilanciato con una cosa tipo: “E allora Ultimo che fa: il supporter di Paul McCartney a Londra?!”. E via sghignazzando.

Battute a parte, è tutto vero. I quattro ragazzacci romani apriranno per Jagger e soci, il 6 novembre a Las Vegas. Fatico ancora a crederci. E’ l’ennesimo colpo di teatro di questi tempi stranissimi, in cui può accadere tutto e di tutto.

Sul web e sui social la notizia ovviamente ha fatto subito furore, provocando l’ennesimo dibattito fra apocalittici e integrati sulla giovane fortunata band. Ma perché i Måneskin hanno tanto successo? Difficile spiegarlo, forse impossibile. Comunque, ci provo.

Cominciamo col dire che i quattro hanno stile, un’immagine forte, vincente, sexy, trasgressiva ma non troppo, colorata e ironica. Sanno stare su un palco, sanno come si coinvolge la gente. Amano mischiare le carte, scambiarsi gli abiti, spogliarsi, giocare con le identità sessuali. E tutto questo oggi funziona alla grande.

Poi propongono un (pop) rock semplice e caciarone, molto orecchiabile ed elementare, figlio di tante gloriose stagioni del passato, e ne ripropongono schemi, atteggiamenti, pose, stereotipi e look con disinvoltura. Sanno di copiare. Ma lo fanno benissimo, con furbizia e spavalderia.

Così i più giovani scoprono e apprezzano, chi ha qualche anno di più sul groppone riscopre e si lascia trascinare nel vortice. Anche quando, a dirla tutta, non è niente di speciale: la loro cover di “Beggin’”, per esempio, è abbastanza modesta, eppure piace tantissimo.

In più hanno dalla loro un team professionale che sa il fatto suo su questioni di marketing, linguaggio televisivo e non solo. La velocità del web e la potenza dei social hanno amplificato il fenomeno portandolo in fretta sul tetto del mondo. Come sanno anche i sassi, un tempo per andare oltre i confini nazionali ci mettevi una vita, oggi è tutto molto più veloce. Nel bene e nel male.

E, poi, aggiungetevi il fatto che vengono dall’Italia, in un anno in cui il nostro Paese per qualche strana combinazione astrale ha rialzato la schiena, ha vinto gli Europei di calcio e sorpreso in positivo alle Olimpiadi, ed è tornato il posto “cool” di un tempo, dopo le mazzate della pandemia.

Vengono dall’Italia, però non fanno il solito pop melodico e non sono sempre in tiro, ma suonano rock e si vestono come le star del glam anni 70. Quindi, sono una novità. E incuriosiscono.


Last but not least, c’è sempre quel lato insondabile del successo, l’essere nel posto giusto al momento giusto, il mistero che ti porta dal nulla al numero uno. I Måneskin hanno bruciato in poco tempo una serie di incredibili tappe, neanche fossimo in un film.

Vittoria a Sanremo, poi all’Eurovision, il duetto con l’icona Iggy Pop, l’ospitata da Jimmy Fallon, i concerti negli Usa e, tra breve, l’opening per gli Stones, più le nomination agli Mtv EMAs 2021 e agli American Music Awards. Mentre il tour 2022 è già ampiamente sold out.

Il tutto con una lunga serie di endorsement eccellenti e un’eccitata fan base dalla crescita esponenziale, che raccoglie gente di tutte le età. In Italia ormai sono visti come quasi degli eroi, dei connazionali che tengono alto il nome del nostro Paese nel mondo, forse degli apripista per altri artisti nostrani che verranno. E, visto come vanno le cose, non è detto che per loro non arrivi qualche riconoscimento istituzionale.

Ve lo immaginate? I Måneskin Cavalieri del Lavoro premiati dal presidente Mattarella. In questo pazzo pazzo pazzo mondo potrebbe accadere anche questo.

Quanto durerà? Difficile dirlo in una società che innalza e poi dimentica i suoi idoli in un batter di ciglia. Ma loro, intanto, si godono il momento magico, il sogno diventato realtà, la favola folle dei nostri tempi.

E ai detrattori (ormai una minoranza) non resta che arrendersi all’evidenza, gettare la spugna, farsene una ragione.

O seguire il sempreverde motto del Maurizio Ferrini di arboriana memoria: “Non capisco, ma mi adeguo”.

Dylan e Stones, tornano i grandi vecchi

di Diego Perugini

Se c’è qualcosa di positivo (musicalmente parlando) in tutto questo marasma in cui ci siamo ritrovati, è il ritorno di due nomi storici del rock, Bob Dylan e Rolling Stones. Un ritorno a piccolissime dosi, distillato in pochi singoli. Due per il cantautore americano e uno per la band inglese. Con un approccio, per altro, molto diverso.

Dylan ha scelto una via intellettuale e poetica, mescolando ricordi storici, confessioni private, memorie letterarie e citazioni assortite in due pezzi, la fluviale “Murder Most Foul” (16 minuti circa) e la più stringata “I Contain Moltitudes”. Canzoni non canzoni, se mi si passa il termine, spesso recitate sullo sfondo di uno scarno (ma suggestivo) tappeto sonoro. Nessuna concessione a ritornelli orecchiabili e facili letture, e infatti i critici si sono scatenati a interpretare i versi (non di rado oscuri) e ricondurli alla nostra attualità disgraziata. Canzoni per niente facili, comunque, che richiedono attenzione e una buona conoscenza dell’inglese (o un’altrettanto buona traduzione).

Molto più immediato lo stile di Jagger & soci, che in “Living in A Ghost Town” esplicitano il disagio della solitudine coatta nelle nostre città fantasma in un pezzo diretto ed emozionale, dal testo semplice e lineare, intriso di sapori funky, reggae e blues. Un brano molto “stoniano”, dal sound familiare e inconfondibile, corredato da un video fatto di inquietanti strade vuote. Sguardi diversi, quelli di Dylan e degli Stones, su un momento storico inatteso e sconvolgente, piccole ancore di salvezza per il nostro quotidiano da reclusi.