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Sanremo, l’importante è esagerare

Sanremo, l'importante è esagerare. Da sempre il festival vive come in un'altra dimensione. Dove l'eccesso è la regola. Intanto il super-favorito Mengoni guida la classifica.

Una delle cose che mi ha sempre colpito di Sanremo è l’eccesso.

In quella settimana tutto è esagerato: in città si respira un delirante clima di divismo d’altri tempi, con la gente che si accalca sulle transenne e va a caccia di autografi (una volta) e selfie (ora).

Per non dire delle mille e una iniziative collaterali, fra feste, presentazioni, concertini. Quest’anno c’è pure la nave ormeggiata e un palco esterno per i live.

Lo spettacolo televisivo, poi, è infarcito come un kebab di quelli tosti: c’è di tutto e di più. Ma non sempre è gustoso, soprattutto quando vai per le lunghissime e ci piazzi dentro un mare infinito di pubblicità.

I media, poi, ci danno dentro.

La sala stampa aumenta ogni anno di nuovi cronisti o presunti tali. Lo spazio sui giornali è sempre ampio, così come il numero degli inviati. Anche se ora credo siano web e social a fare la parte del leone.

Tutti (si fa per dire) si sentono in dovere di stilare le proprie pagelle, fornire la propria versione, farsi vedere, distinguersi dalla massa.

Dare il resoconto minuto per minuto più figo, originale, controcorrente e, ca va sans dire, senza filtri.

Il risultato è un’overdose autoreferenziale di notizie, video, interviste, foto e arzigogoli vari.

Uno sforzo imponente, un impiego (uno spreco?) di soldi, tempo ed energie che, per forza di cose, lascerà il tempo che trova.

Assieme alle polemiche che da sempre montano e poi si sgonfiano in un attimo. Spesso risibili.

Come il gossip sul fantomatico litigio fra Oxa e Madame, che ha mandato in agitazione organizzatori, entourage e sala stampa (sic!).

Da qui alla fine, sabato, ci sarà tempo per altri exploit.

Intanto il super-favorito Mengoni guida la classifica davanti a Ultimo e al sorprendente Mr. Rain.

E stasera tocca a cover e duetti. Speriamo bene.

Sanremo 2023: Blanco superstar

Partito Sanremo 2023. Serata un po' moscetta, con Blanco che spariglia le carte. Le canzoni? Così così. Però bene Mengoni ed Elodie. Il commento di mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Spiace dirlo, ma l’unica cosa che mi ha svegliato dal torpore sanremese è stata la follia di Blanco. Che ha rovinato l’idillio di fiori e canzoni con un gesto dirompente. Anzi, di rottura nel vero senso della parola.

Una mossa punk, una deriva situazionista o, per dirla più terra terra, una solenne cazzata. Condannata all’unanimità dalla sala dell’Ariston come dai salotti delle case degli italiani (inclusa mia zia Mirella, 81 anni, scandalizzata). E, naturalmente, dai social impazziti.

Non so se, come azzardano i soliti meglio informati, fosse davvero tutto preparato. Ovvero soltanto un furbo e bieco siparietto per far parlare ancora di più di questo Sanremo 2023. Come se tutto quel che leggiamo/vediamo non fosse già abbastanza. Mah.

Intanto il video è diventato subito virale candidandosi a successore del “Dov’è Bugo?” di morganiana memoria. Così è, se vi pare.

E le canzoni? Poca roba da mandare a memoria.

Anna Oxa pretenziosa, Ultimo e Mr. Rain citazionisti di se stessi, Grignani sopra le righe (ma il testo non è male). Coma_Cose più seriosi del solito, Colla Zio simpaticamente casinari, Ariete ha fatto di meglio.

I Cugini di Campagna sono trash solo nel look, un po’ impacciati in un pezzo a loro poco congeniale.

Spicca Mengoni, non tanto per il brano (niente di che), ma per voce e interpretazione superiore una spanna agli altri.

Brilla pure Elodie, che sa tenere il palco e anima una canzoncina leggera già in odore di tormentone. Ma sì, quasi quasi ora tifo per lei.

E il resto? I super-ospiti Pooh ci possono anche stare, però quel Facchinetti lì sempre e comunque a sparare con l’ugola non si può proprio sentire.

Come non si possono sentire i monologhi. Non so a voi, ma a me hanno fatto venire venire l’orchite.

E ho detto tutto.

San Marino, l’Eurovision, Tananai e gli altri. Fermate il mondo, voglio scendere!

San Marino, l'Eurovision, Tananai e gli altri. Ecco le news musicali del momento. Fermate il mondo, voglio scendere! Di Diego Perugini per mannaggiallmusica.it
TANANAI_ph credit Leandro Emede_LME_4819-min

I più vecchietti in circolazione se la ricorderanno di certo. “Fermate il mondo, voglio scendere” era una rubrica del mitico “Ciao 2001”, il settimanale musicale più popolare degli anni 70.

In una paginetta a inizio giornale il direttore raccontava le storture del tempo (politiche, sociali, artistiche…) e le stigmatizzava, prendendone le distanze. Così, almeno, ricordo un po’ a spanne.

Quel titolo m’è tornato in mente, leggendo quel che oggi va per la maggiore sui media, per lo meno nel nostro ristretto ambito musicale.

C’è la fila per partecipare a “Una voce per San Marino”, perché vincendo si va all’Eurovision sotto la bandiera del piccolo stato. Tra i nostri big Francesco Monte, Spagna, Matteo Faustini, Alberto Fortis, Valerio Scanu e il “prezzemolino” Achille Lauro.

Curioso: un tempo andare all’Eurovision (che quest’anno si svolgerà a Torino) non fregava quasi a nessuno, mentre ora si cerca qualsiasi escamotage pur di ottenere visibilità e, magari, ripetere l’exploit dei Maneskin.

A proposito: in gara nel capoluogo piemontese vorrebbe andare anche tale Tananai, ultimo arrivato a Sanremo con la non memorabile “Sesso occasionale”, che nel post-festival si sta conquistando un posto al sole su social, web e tv grazie a surreale ironia e simpatico cazzeggio.

Il tam tam mediatico pare abbia addirittura portato al giovane di Cologno Monzese un invito (semiserio?) a un’audizione per le selezioni elvetiche.

Come finirà? Intanto il nostro gioisce perché i suoi primi concerti nei club, da maggio, viaggiano a ritmo di tutto esaurito.

Se poi alle due news aggiungiamo quella del film di Tommaso Paradiso in arrivo ad aprile e del tour unplugged dei Negramaro da settembre, viene proprio da pensare: “Fermate il mondo, voglio scendere”.

Colapesce & Dimartino, i “miracolati” di Sanremo

Sanremo non serve più? Chiedetelo a Colapesce & Dimartino. La loro "Musica Leggerissima" è già un successo. E un probabile tormentone estivo.
Colapesce & Dimartino a Sanremo 2021

Hai voglia di dire che Sanremo è roba vecchia e non serve più. Chiedetelo a Colapesce & Dimartino, i “miracolati” dell’ultima edizione targata Amadeus. Prima di salire sul palco per il grande pubblico erano degli illustri sconosciuti, mentre ora tutti li cercano e tutti li vogliono.

Un po’ quello che era capitato, lo scorso anno, con Diodato e la sua “Fai Rumore”. Lui, però, aveva vinto, loro sono arrivati quarti. A dirla tutta, i nostri “eroi per caso” potevano anche piazzarsi meglio, penalizzati da una presenza scenica modesta e da performance vocali non esaltanti. Ma tant’è.

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Perché Sanremo è Sanremo (forse)

Alla fine pare proprio che anche questo Sanremo s’avrà da fare. In ballo ci sono troppi interessi economici (e non solo) per fermare tutto e rimandare a tempi migliori, come forse sarebbe stato più opportuno. Ma tant’è. Perché Sanremo è Sanremo, come recita il classico motto. E gli viene concesso tutto (o quasi).

Un paio d’anni fa su questo blog scrivevo che il festival da sempre vive di polemiche, dai conflitti d’interesse alle lamentele degli esclusi, dalle metodologie di voto alle interferenze politiche. Ci siamo abituati, insomma. Ma stavolta, davvero, è qualcosa di diverso. Chi diavolo poteva immaginare una kermesse canora durante una pandemia? Roba da film o romanzetto di fantascienza.

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“Sanremo? No grazie”. Il gran rifiuto di Salmo

di Diego Perugini

Salmo ha detto no a Sanremo. Il rapper sardo non sarà ospite all'Ariston. "Non me la sento. Preferisco San Siro a Sanremo", ha detto.
Salmo: “Sanremo, no grazie”

Alla fine Salmo ha detto no a Sanremo, smentendo le voci che lo volevano ospite all’Ariston. La notizia era nell’aria già nel giorno degli ascolti per la stampa, poi il rapper ha confermato la sua scelta via social. “Non me la sento. Tra i due santi, Sanremo e San Siro, scelgo San Siro”, ha scritto, riferendosi al suo concertone meneghino del 14 giugno.

Non mi ha stupito. Semmai mi aveva stupito l’idea di Salmo in riviera. Che c’azzecca?, avrebbe detto quel tale. Troppo diverso, troppo fuori contesto. Per lui sarebbe stato più un rischio che un’opportunità. Il rischio di trovarsi nel posto sbagliato, venire frainteso, finire nel calderone delle polemiche, sputtanarsi. Perché a Sanremo, si sa, tutto viene esaltato all’ennesima potenza e ogni notizia (o pettegolezzo, poco cambia) è buona per scatenare la canizza dei cronisti in cerca di scoop.

Anche quest’anno il copione sembra non cambiare e l’ingenuo (?) Amadeus sta scoprendolo sulla sua pelle. Il gioco non vale la candela, deve aver pensato Salmo. Che è un tipo fatto a modo suo, ha già un bel seguito di fan e non ha bisogno di visibilità a buon mercato. Niente stress, niente disagio, insomma. Sanremo meglio guardarselo in tv. O, direttamente, passare oltre.

Lo squallore dopo Sanremo

Ultimo, secondo arrivato fra le polemiche a Sanremo 2019
Ultimo, secondo arrivato fra le polemiche a Sanremo 2019

di Diego Perugini

Squallido. E’ l’aggettivo che meglio descrive quanto sta succedendo nel dopo Sanremo. Il giovane Ultimo perde la gara e pure le staffe in conferenza stampa e insulta i giornalisti rei di averlo penalizzato nel voto. La domenica non si presenta in tv e poi rincara la dose su Instagram. Scarso fairplay, a dire poco. Come cantava Shel Shapiro, “bisogna saper perdere”. Piccolissime attenuanti a suo favore restano la verde età, il carattere irruente, la delusione profonda, la sensazione di aver subito un torto. Ma c’è dell’altro, che se venisse confermato sarebbe anche più grave. Alcuni giornalisti avrebbero risposto a tono, anzi di più, rivolgendo al cantante epiteti pesanti durante la conferenza stampa e prima della (mancata) diretta tv dalla Venier. Non solo. Gira in rete un video dove la sala stampa esulta per la mancata vittoria di Il Volo, con lancio di insulti all’indirizzo del trio. Capisco la stanchezza e la tensione dei colleghi, ma il tifo da stadio no. Si può parteggiare (e votare) per uno o un altro artista, ma da dei professionisti mi aspetto sempre un minimo di contegno e di decoro. Lo stesso che mi aspetterei dai professionisti della politica che, invece, anche stavolta stanno dando il peggio di se stessi. Tutto molto squallido. Appunto.

Sanremo 2019, vince Mahmood!

Mahmood, vincitore di Sanremo 2019
Vittoria a sorpresa dell’outsider Mahmood a Sanremo 2019. Un brano moderno, figlio del nostro tempo.

di Diego Perugini

“Pazzesco, pazzesco”, ripete stordito dalla gioia e dall’emozione. E, in effetti, un po’ di (lucida) follia c’è nel verdetto finale di Sanremo 2019. Vince Mahmood, ovvero un outsider, snobbato dalla ridda dei pronostici di professionisti e gente comune. Ed è una bella vittoria, sebbene decretata dai voti della stampa e della giuria d’onore, mentre il pubblico di casa col televoto gli ha preferito di gran lunga il più tradizionale Ultimo. Un verdetto che mi ha ricordato alla lontana quello di 19 anni fa, quando la giuria di qualità spinse gli Avion Travel in cima alla classifica, penalizzando gli altri. Stavolta, però, non m’è sembrato di vederci un eccesso di strategia, come fu allora. Semmai, differenze di gusti e vedute. Mia ingenuità. Perché invece s’è scatenato subito un putiferio, con accuse, polemiche, insulti e le solite strumentalizzazioni politiche.

Ma anch’io, dovendo scegliere, avrei preferito Mahmood. Perché la sua canzone è più moderna, contemporanea. E rappresenta bene il melting pot di stili, generi e culture dei nostri tempi. In “Soldi” ci ritrovi trap, rap, elettronica, pop e influssi mediorientali. Perché, appunto, Mahmood è un figlio dei nostri tempi, milanese di nascita da mamma sarda e papà egiziano. E sa far convivere nel modo giusto radici e influenze differenti. Poi la canzone ha un ritmo accattivante e ipnotico, con frasi martellanti e quel battito di mani che ti restano in testa. In più parole semplici ma non banali, nel racconto autobiografico di rapporti familiari rovinati dalla vil pecunia, una storia in cui in molti si identificheranno.

Non so, poi, questo exploit dove lo porterà. Di certo la sua vittoria ha rovinato la festa annunciata di Ultimo che, con scarso fairplay, ha polemizzato coi giornalisti in conferenza stampa. Ma, in fondo, il ragazzo romano non ha torto: si prenderà la rivincita nel dopo Ariston, riempiendo i palasport di fan assatanati. Mahmood, chissà…

Sanremo 2019, le canzoni. Non male, ma..

Si chiude qui, quindi, l’edizione 69 di Sanremo. Il livello generale non è stato male, pur senza picchi vertiginosi. Daniele Silvestri ha fatto il pieno dei consensi della critica con un pezzo per niente facile, ma interpretato e sceneggiato con sapienza. Non so poi come renderà fra radio, streaming e dintorni. Ma lui resta un fuoriclasse vero.

L’indie ne esce benino: il pezzo di Motta è imperfetto ma vibrante, con un ritornello potente (“Dov’è l’Italia amore mio?/Mi sono perso”) facilmente condivisibile. Gli Zen Circus un po’ eccessivi e pretenziosi coi loro fiumi di parole in crescendo e niente ritornello (aridatece “Andate tutti affanculo”); Ex-Otago debolucci rispetto agli standard di “Marassi”; Boomdabash innocui ma simpatici col loro reggae made in Salento. L’ex rapper Achille Lauro ha smosso le acque con un rockettino derivativo e ambiguo, con corredo di polemiche sui presunti riferimenti alla droga. Il riff stile Vasco è una furbata vincente, almeno per ora. Durerà?

Parentesi Cristicchi: forse sarò insensibile o quant’altro, ma lo trovo retorico e noioso. Possibile che sia l’unico a pensarla così? Mah. Bertè quarta fra l’incazzatura del pubblico dell’Ariston: la statura del personaggio non si discute, ma il brano non era all’altezza. Di Ultimo s’è già accennato: canzone nel solco della tradizione pop sentimentale, appena aggiornata al 2019. Piacerà molto ai cuori di panna, ma poteva dare di più. Su Il Volo tocca prendere atto che piacciono e molto: sono sempre tra i primi, la critica (me compreso) se ne faccia una ragione. Amen.

Un po’ di malinconia per una Patty Pravo in fase calante, con un brano modesto e un partner fuori contesto: finisce nelle retrovie. Triste, ma giusto così. Rimane in testa il ritornello di Arisa, penalizzata da esibizioni non all’altezza, fra stecche e dimenticanze. A proposito di ritornelli: il primo che m’ha “tormentato” già dopo la prima sera è stato quello dell’imberbe coppia Shade/Carta. E, intanto, su YouTube il loro clip ha già superato i quattro milioni di visualizzazioni. Saranno mica loro i veri vincitori di Sanremo?

Sanremo 2019, si parte

Comincia “Sanremo 2019”, il secondo targato Baglioni. Tutti (?) davanti al piccolo schermo per l’ennesima puntata della storica kermesse. Lo seguirò da casa, noia e sonno permettendo. Intanto, eccovi qualche ricordo e riflessione a ruota libera.

di Diego Perugini

“Sanremo? Ma lo fanno ancora?!” mi chiede ironico Miki, un ragazzo della palestra che frequento. A lui, come a tanti intorno a me, non frega nulla del festival. Gente normale, per intenderci, non i giovanissimi fanatici della trap, ma trentenni e più con mogli e figli. Come Miki, appunto. Fanno un’altra vita, hanno altri interessi, la loro esistenza questa settimana non ruota intorno a quanto accade all’Ariston, come invece sembrerebbe dal solito can can mediatico totalizzante. Poi gli ascolti diranno altre cose, che metà degli italiani sono rimasti incollati al video, che il gradimento è massimo (o minimo) ecc. ecc. Comunque sia, Sanremo sta per iniziare. Lo seguirò. Forse non tutto e non sempre, magari farò un po’ di zapping, forse andrò al cinema o a vedere qualche concerto, forse schiaccerò strada facendo un pisolino sul divano. Ma lo seguirò. Per curiosità professionale e vecchio amore. Come quando, a otto anni, rimasi folgorato da Lucio Dalla e il suo “4/3/1943” in bianco e nero: quella voce, quel violino, quelle parole, quella melodia.

Lucio Dalla, Sanremo 1971

Più avanti ricordo lo choc (positivo) della “Vita spericolata” di Vasco e, negli anni Ottanta, le adunate in compagnia anche solo per “gufare” (simpaticamente) Toto Cutugno. Trascinavo fidanzata e amici riottosi alla maratona sul piccolo schermo, si finiva satolli di cibo e vino a ronfare sino alle ore piccole. Poi ho cominciato ad andare a Sanremo sul serio, per lavoro. Poche volte, a dire il vero, e senza entusiasmo. C’era questa gigantesca sala stampa, con i primi posti per le testate più importanti e via via a scendere fino all’ultimo “peone”. E l’atmosfera fra il goliardico e il cameratesco, con l’adrenalina a mille nei momenti topici. Perché, dicevano i cronisti storici, una notizia che in giornate normali sarebbe di poco conto, a Sanremo diventa una bomba. Verso fine serata il clima si faceva più lento e la stanchezza prendeva il sopravvento assieme a un filo di malinconia sottesa. Chi prendeva la saggia via del riposo, chi vagabondava fino all’alba fra cene, feste, ritrovi e live notturni. Salvo poi ritrovarsi tutti il giorno dopo, occhi pesti e incedere da zombi, a saltabeccare fra i mille e uno appuntamenti promozionali.

Sanremo, sala stampa

Una delle cose più curiose era l’atteggiamento di parecchi colleghi: in apparenza schifati dall’idea di andare ancora a Sanremo, ma sotto sotto felici e orgogliosi di essere parte del grande circo. Io, invece, l’ho sempre vissuta in negativo. Non mi piaceva la musica del festival, detestavo stare ore in quell’ambiente claustrofobico, odiavo lavorare sotto pressione, mi deprimeva l’assurda psicosi collettiva, con gente accalcata nei pressi della passerella per carpire un cenno o un autografo all’eroe di turno (senza magari sapere nemmeno chi era). Insomma, non vedevo l’ora di tornare a casa. L’ultima volta, addirittura, ho fatto le valigie prima della finale in polemica col giornale che mi ci aveva spedito: perché volevano che scrivessi di tutto tranne che di musica. Mah.

Non so quanto sia cambiato negli ultimi anni, non credo granché. Una costante rimangono le polemiche. Le lamentele degli esclusi, i casini col televoto, le giurie specializzate, i presunti brogli, le interferenze politiche e altro ancora. Ci si potrebbe scrivere un libro.

Il 2019 è l’anno del conflitto d’interessi baglioniano. Una battaglia portata avanti da un incazzoso e coraggioso collega e, all’inizio, bellamente ignorata dalla stragrande maggioranza dei media, immagino per il classico “quieto vivere”. Salvo poi ripensarci quando nell’agone è arrivato il carrarmato “Striscia la notizia”, a cui non è parso vero avere un bel bocconcino Rai da mordere. Il tema è intrigante, lo sviluppo non so. Con un pizzico di fatalismo qualunquista mi verrebbe da dire che finirà come sempre. Tanto fumo e poco arrosto. La polemica monta, s’ingrossa, s’infiamma ma alla fine si sgonfia. E tutto ricomincia come se nulla fosse accaduto. Ma sarò lieto di venire smentito, se qualcosa davvero cambierà.

Daniele Silvestri, in gara a Sanremo 2019 con “Argentovivo”

Intanto da stasera si parte. Le canzoni non le ho ancora sentite, ma il cast ha qualche asso nella manica anche per chi, come me, ne ha piene le tasche dei soliti nomi da festival. Curioso di sentire Silvestri, Motta, Ex-Otago, Zen Circus, persino Achille Lauro, che solitamente mi fa venire l’orticaria. Quindi mi metterò con fiducia (relativa) davanti al piccolo schermo. Sempre che lo spettacolo monstre non affossi le mie buone intenzioni, fra siparietti comici, ospiti, pubblicità e amenità varie. In questi casi c’è il telecomando in agguato. O un rassicurante cuscino su cui posare la testa.

Le “Caramelle” (amare) di Carone & Dear Jack

di Diego Perugini

Comincia la bagarre sanremese ed arrivano, inevitabili, le polemiche degli esclusi. Stavolta tocca a Pierdavide Carone & Dear Jack che sul Corriere della Sera si dichiarano delusi da Baglioni e dalla sua scelta. La loro “Caramelle”, insomma, non è piaciuta al divo Claudio: “È un cantautore e mi sarei aspettato più empatia visto il tema del brano”, ha spiegato Carone dalle colonne del quotidiano milanese, aggiungendo un sospetto di “censura”, perché loro vengono dai talent e non avrebbero quindi l’autorevolezza e neanche il phisique du role per affrontare certi argomenti. “Caramelle”, infatti, parla di pedofilia dal punto di vista di due giovani vittime.

Le prime volte che l’ho sentita non sapevo dell’esclusione sanremese. E l’ho trovata brutta, approssimativa, troppo incline alla ricerca dell’effetto choc. E troppo simile nella struttura a “Non mi avete fatto niente” della coppia Meta-Moro (vincitori dell’anno scorso al festival), come anche nelle sonorità e nell’argomento “impegnato”. Là era il terrorismo, qui l’abuso sui minori. Col sospetto che volessero sfruttarne l’onda e replicarne il successo. Il fatto che l’avessero proposta per Sanremo mi rende ancora più scettico sulla loro buona fede. E, comunque, diciamola tutta: non basta una tematica importante (e meritevole di denuncia) per fare una bella canzone. Il mondo del pop (e non solo) è pieno di tali esempi in negativo (e magari un giorno ci tornerò su).

Comunque sia, un risultato Carone & Dear Jack l’hanno già ottenuto: gli attestati di stima di tanti colleghi (Giorgia, Nomadi, Negramaro, Ermal Meta e altri), l’attenzione dei media e un certo airplay radiofonico. Baglioni ha replicato diplomaticamente durante la conferenza stampa sanremese, limitandosi a smentire l’ipotesi censoria. Da vecchia volpe della scena musicale ha probabilmente fiutato il bluff e stoppato una brutta copia della vincente 2018. Come dargli torto?