di Diego Perugini

Lucio Battisti. Photocredit: 1968/2019 Mimmo Dabbrescia per gentile concessione di ArtD2
Lucio Battisti. Photocredit: 1968/2019 Mimmo Dabbrescia per gentile concessione di ArtD2

C’è qualcosa che non torna, una contraddizione, un equivoco in tutta questa esultanza su Lucio Battisti finalmente in streaming. Piccolo passo indietro: venerdì scorso è uscito “Masters vol. 2”, quadruplo cofanetto in cd (e triplo LP), con 48 brani restaurati e rimasterizzati nella migliore definizione attualmente possibile. Una gioia per l’animo (e le orecchie), che si apprezza in pieno dalle casse di un buon hi-fi e, ancor meglio, con un paio di cuffie ad hoc.

Così mi sono messo lì ad ascoltare in religioso silenzio, godendo di quei particolari che, fra vecchie audiocassette e vinili consunti, non avevo percepito. Da “Vento nel vento” a “Confusione” sino a “Il salame” e “Io ti venderei”, ogni pezzo ha il suo perché. Parlandone con Alberto Radius e Gaetano Ria, rispettivamente chitarrista e fonico, entrambi fidi collaboratori di Battisti, viene fuori che la motivazione ultima dell’operazione è “la speranza che in questa crisi di creatività generale, il suo genio venga scoperto dai giovani”.

Un paio di giorni dopo, il 29 settembre (data non casuale), viene comunicato in pompa magna che il catalogo di Battisti (periodo con Panella escluso) è finalmente online. E, quindi, a disposizione di tutti in streaming. I media ci si sono buttati con toni trionfalistici, anche qui spesso citando i famosi “giovani” come destinatari ultimi. Lo stesso Mogol, parte assai interessata, ha parlato esplicitamente di “patrimonio da tramandare alle giovani generazioni”.

Sarà così? I ragazzi di oggi si butteranno davvero anima e corpo sullo streaming battistiano? Lo scopriremo solo vivendo, citando il Maestro. A me restano dei dubbi. Credo sia soprattutto un’operazione commerciale, certo di cultura ne vedo poca. Sono andato su Spotify e con le solite cuffie mi sono ascoltato qualche pezzo: il paragone con quanto sentito qualche ora prima coi “Masters” in cd è impietoso. Là (il cd) era l’estasi, qui (lo streaming) il tormento.

Forse ai ragazzi (e non solo a loro), prima bisognerebbe insegnare ad ascoltare la musica come si deve e non solo con smartphone e derivati. Ma so che è un’utopia, uno stato delle cose irreversibile. E il fatto che Battisti sia ora su Spotify alla stessa stregua di tante cialtronate da poco non mi fa esultare. Anzi. Non l’ho mai conosciuto, Lucio, ma da quanto ho letto e sentito dubito ne sarebbe stato contento. Probabilmente si starà rigirando nella tomba. Ma tant’è. A noi, vecchi appassionati, non resta che prenderla così, senza farne un dramma. Però è dura.