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L’Ucraina vince l’ESC 2022!

Come da pronostico, l'Ucraina vince l'Esc 2022 torinese. Un verdetto politico in un momento molto delicato per il nostro mondo. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Ukraine at the Grand Final_ph EBU, Corinne Cumming

Alla fine all’ESC 2022 ha vinto, come da pronostico, l’Ucraina. Un verdetto “politico”, annunciato da settimane.

La giuria ha cercato di mantenere una certa neutralità, travolta però dalla valanga di preferenze al televoto.

La voce della gente, insomma, ha prevalso su quella degli addetti ai lavori.

Giusto? Sbagliato? Confesso di essere un po’ combattuto.

Stefania”, la canzone della Kalush Orchestra, a dirla tutta, non è granché. Un ibrido dal sapore un po’ kitsch fra memorie folk e modernità rap, restituita sul palco con un’esibizione efficace e movimentata.

In altri tempi dubito fortemente sarebbe arrivata prima.

C’erano altri pezzi (non molti per la verità) che avrebbero meritato sorte migliore. Penso, per esempio, a Portogallo, Inghilterra, Svezia, Serbia.

Fino ai nostri Mahmood e Blanco che, per la cronaca, hanno cantato maluccio.

Ma c’è una guerra di mezzo, una nazione invasa e sofferente, e forse è stato giusto dare un ulteriore segno di solidarietà. Una presa di posizione netta.

Per una volta il messaggio può essere più importante di una più equa classifica. E della qualità assoluta di una canzone.

Come fu, mi si passi l’ardito paragone, il discusso pezzo dei Pink Floyd pro-Ucraina: certo non un capolavoro, ma per una volta erano più importanti le motivazioni.

Con la speranza, naturalmente, di tornare al più presto a una sana normalità.

Come cantava nei ‘70 il compianto Timmy Thomas: “No more wars, no more wars, no more war, just a little peace in this world”.

Subito, però.

Sanremo 2019, vince Mahmood!

Mahmood, vincitore di Sanremo 2019
Vittoria a sorpresa dell’outsider Mahmood a Sanremo 2019. Un brano moderno, figlio del nostro tempo.

di Diego Perugini

“Pazzesco, pazzesco”, ripete stordito dalla gioia e dall’emozione. E, in effetti, un po’ di (lucida) follia c’è nel verdetto finale di Sanremo 2019. Vince Mahmood, ovvero un outsider, snobbato dalla ridda dei pronostici di professionisti e gente comune. Ed è una bella vittoria, sebbene decretata dai voti della stampa e della giuria d’onore, mentre il pubblico di casa col televoto gli ha preferito di gran lunga il più tradizionale Ultimo. Un verdetto che mi ha ricordato alla lontana quello di 19 anni fa, quando la giuria di qualità spinse gli Avion Travel in cima alla classifica, penalizzando gli altri. Stavolta, però, non m’è sembrato di vederci un eccesso di strategia, come fu allora. Semmai, differenze di gusti e vedute. Mia ingenuità. Perché invece s’è scatenato subito un putiferio, con accuse, polemiche, insulti e le solite strumentalizzazioni politiche.

Ma anch’io, dovendo scegliere, avrei preferito Mahmood. Perché la sua canzone è più moderna, contemporanea. E rappresenta bene il melting pot di stili, generi e culture dei nostri tempi. In “Soldi” ci ritrovi trap, rap, elettronica, pop e influssi mediorientali. Perché, appunto, Mahmood è un figlio dei nostri tempi, milanese di nascita da mamma sarda e papà egiziano. E sa far convivere nel modo giusto radici e influenze differenti. Poi la canzone ha un ritmo accattivante e ipnotico, con frasi martellanti e quel battito di mani che ti restano in testa. In più parole semplici ma non banali, nel racconto autobiografico di rapporti familiari rovinati dalla vil pecunia, una storia in cui in molti si identificheranno.

Non so, poi, questo exploit dove lo porterà. Di certo la sua vittoria ha rovinato la festa annunciata di Ultimo che, con scarso fairplay, ha polemizzato coi giornalisti in conferenza stampa. Ma, in fondo, il ragazzo romano non ha torto: si prenderà la rivincita nel dopo Ariston, riempiendo i palasport di fan assatanati. Mahmood, chissà…

Sanremo 2019, le canzoni. Non male, ma..

Si chiude qui, quindi, l’edizione 69 di Sanremo. Il livello generale non è stato male, pur senza picchi vertiginosi. Daniele Silvestri ha fatto il pieno dei consensi della critica con un pezzo per niente facile, ma interpretato e sceneggiato con sapienza. Non so poi come renderà fra radio, streaming e dintorni. Ma lui resta un fuoriclasse vero.

L’indie ne esce benino: il pezzo di Motta è imperfetto ma vibrante, con un ritornello potente (“Dov’è l’Italia amore mio?/Mi sono perso”) facilmente condivisibile. Gli Zen Circus un po’ eccessivi e pretenziosi coi loro fiumi di parole in crescendo e niente ritornello (aridatece “Andate tutti affanculo”); Ex-Otago debolucci rispetto agli standard di “Marassi”; Boomdabash innocui ma simpatici col loro reggae made in Salento. L’ex rapper Achille Lauro ha smosso le acque con un rockettino derivativo e ambiguo, con corredo di polemiche sui presunti riferimenti alla droga. Il riff stile Vasco è una furbata vincente, almeno per ora. Durerà?

Parentesi Cristicchi: forse sarò insensibile o quant’altro, ma lo trovo retorico e noioso. Possibile che sia l’unico a pensarla così? Mah. Bertè quarta fra l’incazzatura del pubblico dell’Ariston: la statura del personaggio non si discute, ma il brano non era all’altezza. Di Ultimo s’è già accennato: canzone nel solco della tradizione pop sentimentale, appena aggiornata al 2019. Piacerà molto ai cuori di panna, ma poteva dare di più. Su Il Volo tocca prendere atto che piacciono e molto: sono sempre tra i primi, la critica (me compreso) se ne faccia una ragione. Amen.

Un po’ di malinconia per una Patty Pravo in fase calante, con un brano modesto e un partner fuori contesto: finisce nelle retrovie. Triste, ma giusto così. Rimane in testa il ritornello di Arisa, penalizzata da esibizioni non all’altezza, fra stecche e dimenticanze. A proposito di ritornelli: il primo che m’ha “tormentato” già dopo la prima sera è stato quello dell’imberbe coppia Shade/Carta. E, intanto, su YouTube il loro clip ha già superato i quattro milioni di visualizzazioni. Saranno mica loro i veri vincitori di Sanremo?