Bruce Springsteen, "Western Stars", copertina
Bruce Springsteen, “Western Stars”

di Diego Perugini

Il nuovo cd di Bruce Springsteen, “Western Stars”, è uscito da pochi giorni. E sono curioso di vedere come sarà accolto dai fan. Perché è un album diverso, lontano dal classico rock muscolare a cui il Boss ci ha abituato. L’ho ascoltato in anteprima qualche settimana fa (qui il mio articolo su Metro) e mi ha subito conquistato. Qualche collega, ricordo, ha storto un po’ il naso, soprattutto per gli arrangiamenti ridondanti, il gran profluvio d’archi, la voce più “pulita” del solito. Questione di gusti.

Io sono dalla parte di questo “altro” Springsteen, poetico e romantico, persino un po’ pop, ma nel senso più nobile del termine. Con un sacco di rimandi a tanta bella musica del passato, dal crooner Roy Orbison (vecchio amore di Bruce, ricordate il testo di “Thunder Road”?) a cantautori melodici come Glen Campbell o Billy Joel.

E, poi, i testi. La “penna” di Bruce descrive mirabilmente una serie di personaggi fra viaggi in autostop, strade perse e ritrovate, solitudine e raggi di sole, spazi aperti e libertà, amore e redenzione. Con uno sguardo disincantato sull’America di ieri e di oggi, forse di domani.

I seguaci del “vecchio” Boss, ruvido e ruspante, magari ci rimarranno un po’ male ma il bello sta proprio nella forza di un artista che sa cambiare e reinventarsi, senza tradire se stesso. Non è la prima volta, del resto, che Springsteen ci spiazza.

Ricordo, tanti anni fa, il giorno in cui uscì “Nebraska”: andai a Milano, solito negozio New Kary in via Torino, e l’acquistai a scatola chiusa, senza aver letto anteprime o recensioni. Erano altri tempi, non c’era Internet e le informazioni non giungevano così copiose e in tempo reale come oggi. Arrivai a casa, misi il vinile sul piatto e partì il primo pezzo, acustico, solo voce e chitarra. Poi, il secondo, il terzo, il quarto. Niente rock, niente elettrica. “Sarà mica tutto così?!” mi domandai preoccupato. Era tutto così! All’inizio ci rimasi male, poi quel disco scarno e notturno cominciò a entrarmi dentro, giorno dopo giorno. Per restarvisi a lungo.

Una situazione analoga accadde più in là nel tempo, anno di grazia 1987. Alle spalle Bruce aveva un disco epocale come “Born In The Usa”, pimpante e roboante, che per la prima volta lo aveva portato live in Italia: San Siro, Milano, 21 giugno 1985. Io c’ero, nel prato sotto un sole cocente. Indimenticabile.

Per il suo successore ci si aspettavano altri botti a tutto rock, invece uscì “Tunnel Of Love”, disco assai più morbido e malinconico, riflesso di una crisi esistenziale/amorosa, con sonorità ai confini del pop e grandi tappeti di tastiere. Anche lì sulle prime ci rimasi un po’ così, complici recensioni abbastanza cattivelle. Ma era questione di tempo: mi colpì l’atmosfera dolce-amara di “One Step Up”, con quel video con Bruce al bancone del bar. E, soprattutto, la ballatona d’amore “Tougher Than The Rest”, destinata a diventare uno dei miei pezzi preferiti del Boss. Quindi, piccolo consiglio: ascoltate “Western Stars” con calma e senza pregiudizi. Sarà bellissimo.

Bruce Springsteen, "Western Stars", ritratto
Bruce Springsteen, “Western Stars”