Si parla di Musica! (e non solo)

Tag: Zucchero

Zucchero e l’arte delle cover

In uscita "Discover", il disco di cover di Zucchero. Da Bono a Elisa passando per i Coldplay. E c'è pure la voce di Faber. Un album morbido e raffinato, venato di morbide malinconie. La recensione di Diego Perugini
Zucchero, foto di Daniele Barraco

Sembra facile, ma non lo è. Cantare una cover richiede studio e impegno, pena fare figuracce. Zucchero lo sa bene e nella sua carriera si è buttato più volte nell’arduo cimento. Ma a spizzichi e bocconi, con raziocinio, inanellando ogni tanto e qua e là qualche remake a sua immagine e somiglianza.

Stavolta, però, va oltre. E si concede un intero disco di cover, “Discover”, in uscita il 19 novembre. Un titolo birichino, che si presta a vari giochi di parole e interpretazioni, per raccontare di una raccolta di eclettici brani, riletti alla sua maniera. E seguendo poche ma buone regole.

Per esempio, conoscere bene la canzone che si vuole reinterpretare, in tutte le sue sfumature. E farla propria, darne una versione personale, senza esagerare con gli stravolgimenti per non rovinare tutto. Una questione di equilibri. E di buon gusto.

Poi è sempre saggio stare distanti dai superclassici, i pezzi intoccabili, resi immortali da interpretazioni storiche, in cui è facile rompersi (metaforicamente) le ossa. Zucchero, vecchia volpe, lo sa. E ha volutamente lasciato da parte titoli che ama alla follia, come “A Whiter Shade Of Pale” dei Procol Harum, perché impossibile far meglio.

E per il suo “Discover” ha scelto per lo più pezzi noti, ma non notissimi. Un mix fra gli amori esterofili e le radici nostrane. Ecco, allora, chicche nascoste di Michael Stipe, Bono e Roger Waters, un po’ di Coldplay, Chris Isaak e Moby, l’Italia di Elisa, Bocelli e Concato, un gioiellino pop dei Genesis e un reperto cult anni Sessanta che fu dei Jefferson Airplane (e non solo).

Momento più rischioso, “Ho visto Nina volare” di De André, con la voce di Faber che ritorna verso la fine. Non un duetto virtuale, però, ma un cameo. Alla fine riuscito.

Ne esce un lavoro di fino, dai colori autunnali, virato su tinte tenui e morbide malinconie, senza goliardate e impennate di ritmo. Sugar dice di aver scelto fra 500 brani e non aver ceduto a collaborazioni con rapper, trapper e nomi di tendenza, unica eccezione Mahmood.

Però confessa di avere un piccolo rimpianto: non avere potuto suonare “Honky Tonk Women” degli Stones coi Måneskin, che dice di apprezzare moltissimo. “Ma loro erano in giro e non avevano tempo”, si rammarica.

Poco male. Anzi, forse meglio così.

Zucchero, uno di noi

di Diego Perugini

Zucchero, crediti di Robert Ascroft

Sul nuovo disco di Zucchero, “D.O.C.”, si è scritto molto (anche qui), com’è giusto che sia. Un album fra tradizione e innovazione, col vecchio Sugar aggiornato ai tempi elettronici moderni. Mentre i testi guardano al nostro presente con amaro disincanto. Zucchero critica e denuncia, mettendo la sordina alla goliardia “perché non è più il momento”.

Lo suggerisce nelle nuove canzoni, lo esplicita nell’affollata conferenza stampa di qualche giorno fa. E’ preoccupato di quel che accade in questo vecchio pazzo mondo, non lo capisce, non lo accetta. “Incomprensibili e ingiustificabili” definisce il razzismo montante e le reminiscenze di fascismo e nazismo. Così come la smania dell’apparire a ogni costo, la libertà condizionata da social e media, le guerre sparse per il mondo, i cambiamenti climatici, la corruzione diffusa, i politici da quattro soldi e via proseguendo.

E’ un sentimento che proviamo in tanti, della sua e delle altre generazioni affini, quel non capire e non sapere bene cosa fare. Come tanti di noi Zucchero appare stanco, ripiegato su se stesso, un po’ rassegnato. E’ scettico sulla potenza del messaggio della musica e, scuotendo la testa, spiega che i vari Live Aid, Mandela Day alla fine non hanno portato i risultati sperati. Perciò dal palco niente proclami politici, ma “solo” sentimenti ed emozioni. La speranza, forse, viene dai giovani: “E meno male che c’è una come Greta, che finalmente ha dato una mossa a questi ragazzi un po’ seduti”, aggiunge.

Zucchero, "D.O.C.", copertina
Zucchero, “D.O.C.”, copertina

Lui, Zucchero, trova la pace nel privato. Si difende dalle brutture del mondo con una vita country, fra animali e pochi amici contadini. Si tuffa nei ricordi dell’infanzia, nelle radici sempre più profonde e importanti, in quel piccolo mondo antico dove “si litigava anche, ma c’era rispetto”. I nonni, il padre, il prete, Roncocesi, il suono della domenica, storie che ha raccontato decine di volte, ma che fa sempre piacere riascoltare.

Stavolta, però, c’è qualcosa di più: nei testi appare sempre una luce in fondo al tunnel, qualcosa di spirituale. “Un inizio di redenzione, anche per un ateo come me”, dice fra l’ironico, il sorpreso e il commosso. La fede, insomma, che per altro aveva già cantato in uno dei suoi capolavori, “Così celeste”. Ma ora il fuoco è più vivo, l’immagine più chiara: potrebbe essere Dio, come cantava Renato Zero tanti anni fa. “Magari non quello dei cristiani, ma un’entità superiore. Sarà la consapevolezza che tutto avrà una fine e così anche questo mondo finto e apparente. Forse sarà l’età, forse mi sto preparando. E, allora, non si sa mai”.