Se qualcuno un anno fa mi avesse detto che i Måneskin avrebbero aperto un concerto degli Stones negli Usa, gli avrei riso in faccia. O risposto sulla falsariga del surreale dialogo di “Ritorno al futuro”: “Ronald Regan presidente d’America? E il vice chi sarebbe: Jerry Lewis?!”.
Quindi avrei rilanciato con una cosa tipo: “E allora Ultimo che fa: il supporter di Paul McCartney a Londra?!”. E via sghignazzando.
Battute a parte, è tutto vero. I quattro ragazzacci romani apriranno per Jagger e soci, il 6 novembre a Las Vegas. Fatico ancora a crederci. E’ l’ennesimo colpo di teatro di questi tempi stranissimi, in cui può accadere tutto e di tutto.
Sul web e sui social la notizia ovviamente ha fatto subito furore, provocando l’ennesimo dibattito fra apocalittici e integrati sulla giovane fortunata band. Ma perché i Måneskin hanno tanto successo? Difficile spiegarlo, forse impossibile. Comunque, ci provo.
Cominciamo col dire che i quattro hanno stile, un’immagine forte, vincente, sexy, trasgressiva ma non troppo, colorata e ironica. Sanno stare su un palco, sanno come si coinvolge la gente. Amano mischiare le carte, scambiarsi gli abiti, spogliarsi, giocare con le identità sessuali. E tutto questo oggi funziona alla grande.
Poi propongono un (pop) rock semplice e caciarone, molto orecchiabile ed elementare, figlio di tante gloriose stagioni del passato, e ne ripropongono schemi, atteggiamenti, pose, stereotipi e look con disinvoltura. Sanno di copiare. Ma lo fanno benissimo, con furbizia e spavalderia.
Così i più giovani scoprono e apprezzano, chi ha qualche anno di più sul groppone riscopre e si lascia trascinare nel vortice. Anche quando, a dirla tutta, non è niente di speciale: la loro cover di “Beggin’”, per esempio, è abbastanza modesta, eppure piace tantissimo.
In più hanno dalla loro un team professionale che sa il fatto suo su questioni di marketing, linguaggio televisivo e non solo. La velocità del web e la potenza dei social hanno amplificato il fenomeno portandolo in fretta sul tetto del mondo. Come sanno anche i sassi, un tempo per andare oltre i confini nazionali ci mettevi una vita, oggi è tutto molto più veloce. Nel bene e nel male.
E, poi, aggiungetevi il fatto che vengono dall’Italia, in un anno in cui il nostro Paese per qualche strana combinazione astrale ha rialzato la schiena, ha vinto gli Europei di calcio e sorpreso in positivo alle Olimpiadi, ed è tornato il posto “cool” di un tempo, dopo le mazzate della pandemia.
Vengono dall’Italia, però non fanno il solito pop melodico e non sono sempre in tiro, ma suonano rock e si vestono come le star del glam anni 70. Quindi, sono una novità. E incuriosiscono.
Last but not least, c’è sempre quel lato insondabile del successo, l’essere nel posto giusto al momento giusto, il mistero che ti porta dal nulla al numero uno. I Måneskin hanno bruciato in poco tempo una serie di incredibili tappe, neanche fossimo in un film.
Vittoria a Sanremo, poi all’Eurovision, il duetto con l’icona Iggy Pop, l’ospitata da Jimmy Fallon, i concerti negli Usa e, tra breve, l’opening per gli Stones, più le nomination agli Mtv EMAs 2021 e agli American Music Awards. Mentre il tour 2022 è già ampiamente sold out.
Il tutto con una lunga serie di endorsement eccellenti e un’eccitata fan base dalla crescita esponenziale, che raccoglie gente di tutte le età. In Italia ormai sono visti come quasi degli eroi, dei connazionali che tengono alto il nome del nostro Paese nel mondo, forse degli apripista per altri artisti nostrani che verranno. E, visto come vanno le cose, non è detto che per loro non arrivi qualche riconoscimento istituzionale.
Ve lo immaginate? I Måneskin Cavalieri del Lavoro premiati dal presidente Mattarella. In questo pazzo pazzo pazzo mondo potrebbe accadere anche questo.
Quanto durerà? Difficile dirlo in una società che innalza e poi dimentica i suoi idoli in un batter di ciglia. Ma loro, intanto, si godono il momento magico, il sogno diventato realtà, la favola folle dei nostri tempi.
E ai detrattori (ormai una minoranza) non resta che arrendersi all’evidenza, gettare la spugna, farsene una ragione.
O seguire il sempreverde motto del Maurizio Ferrini di arboriana memoria: “Non capisco, ma mi adeguo”.