Si parla di Musica! (e non solo)

Mese: Gennaio 2022 (Pagina 1 di 2)

Sanremo 2022, il mio editorialino

Domani inizierà un altro festival di Sanremo. L’ennesimo. E io, per l’ennesima volta, non ci andrò. Non per snobismo, perché come si dice a Milano, “el laurà l’è el laurà”, il lavoro è il lavoro, e non bisogna mai sputarci sopra.

Non ci andrò perché non c’è un giornale che mi paghi vitto e alloggio, condizione indispensabile per non rimetterci di tasca propria, visti gli esigui compensi elargiti dalla stragrande maggioranza degli editori.

Ma non ne faccio una malattia, anzi, a dirla tutta, andare al festival non mi è mai piaciuto molto. Per vari motivi. Se avete voglia di conoscerli, potete leggervi un mio pezzo di qualche anno fa, sempre su questo piccolo blog. Basta cliccare sul link…et voilà.

Tornando a Sanremo 2022, come ogni anno, me lo vedrò. Magari non tutto o non sempre, perché l’idea di fare le ore piccole ogni sera non mi entusiasma. Io, poi, sono di mio un tipo un po’ minimale, quindi figuratevi se mi può piacere quel format elefantiaco, dove ci sta di tutto e di più, dall’orgia di sponsor agli (inutili) ospiti speciali, con tutto il profluvio di salamelecchi e siparietti a ruota.

E, poi, la musica e il cast. Troppi cantanti, 25. E nessuno che mi scaldi realmente il cuore. Almeno sulla carta, perché le canzoni non le ho ancora ascoltate. L’impressione è che sarà un fritto misto di stili, generi e generazioni. Per piacere un po’ a tutti. O a nessuno.

Quindi, seguirò il festival con distacco e solo un po’ di curiosità, sperando in qualche raro sussulto d’emozione. Mi incuriosiscono grandi vecchi come Morandi e Ranieri, le provocazioni di Ditonellapiaga con Rettore, un emergente di lusso come Rkomi, la strana coppia Mahmood-Blanco.

Ascolterò con più attenzione La Rappresentante di Lista, che l’anno scorso fecero bella figura e ho apprezzato anche in concerto (leggi qui). E, poi, un rapper sui generis, cioè colto e maturo, come Dargen D’Amico, fino a Giovanni Truppi, cantautore vecchio stile con barlumi di poetica sincera qua e là. E, forse, Elisa, che anni fa con “Luce” mi piacque parecchio (ma i tempi sono cambiati e, temo, pure lei).

Tutto il resto, probabilmente, sarà noia. Fino a notte fonda.

Ma, come diceva il sommo poeta del pop, lo scopriremo solo vivendo.

Effetto Domino

Italia, Hong Kong, 2019. Drammatico, 104′. Regia di Alessandro Rossetto. Con Diego Ribon, Mirko Artuso. Su RaiPlay

Storia (tesa) di una speculazione edilizia nel Nordest in crisi, che coinvolge vari soggetti in un “effetto domino” di fallimenti e tradimenti. Al centro il potere e il fascino dei soldi, a cui sacrificare tutto e tutti. Film cupo, con sfumature grottesche, diviso in vari capitoli. E quasi interamente in dialetto (con relativi sottotitoli). Interessante, ma duro e crudo: se siete già giù di morale, passate oltre.

Solis – Trappola nello spazio

"Solis - Trappola nello spazio",  recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini. Su RaiPlay

Gran Bretagna, 2018. Fantascienza, 90′. Regia di Carl Strathie. Con Steven Ogg. Su RaiPlay

Ennesima variazione sul tema “odissea nello spazio”, con un astronauta solitario alla deriva verso il sole. Un comandante (donna) cerca di andarlo a salvare in una lotta serrata contro il tempo e instaura con lui un dialogo radio sempre più personale. Fra fantascienza, azione e dramma, un film già visto in tante salse. Con un solo attore e un mix di effetti speciali, tensione e sentimenti. Consigliato solo agli appassionati del genere.

E’ stata la mano di Dio

"E' stata la mano di Dio", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

Italia, 2021. Drammatico, 130′. Regia di Paolo Sorrentino. Con Filippo Scotti, Toni Servillo.

Racconto di formazione autobiografico alla Sorrentino. Perciò stilisticamente virtuoso ma anche ricco di pathos. Il tutto sullo sfondo di una Napoli dai mille colori e con una galleria di personaggi spesso memorabili. Meno “difficile” di “La grande bellezza” e adatto anche al grande pubblico. Il che non è per forza un male. Anzi.

La casa dei libri

"La casa dei libri", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

Spagna, Gran Bretagna, Germania, 2017. Drammatico, 110′. Regia di Isabel Coixet. Con Emily Mortimer, Patricia Clarkson, Bill Nighy. Su RaiPlay.

Elogio della lettura e della forza di volontà in una storia al femminile, ambientata in un paesino inglese di fine anni 50. Una giovane vedova apre una libreria, ma si troverà di fronte ostacoli e cattiverie assortiti. Come finirà? Film di buoni sentimenti e buoni attori, tutto volutamente vecchio stile. Piacevole, forse un po’ risaputo.

Il nuovo disco di John Mellencamp (con la complicità del Boss)

E' uscito “Strictly A One-Eyed Jack”, il nuovo disco di John Mellencamp. Suoni fra country e rock, con ospite Bruce Springsteen in tre pezzi. Di Diego Perugini

Anche John Mellencamp è uno dei miei artisti preferiti. Lo seguo da tempo immemore, da quando ancora si faceva chiamare Cougar, agli inizi di carriera.

L’ho conosciuto, come tanti, grazie a un singolo irresistibile come “Jack & Diane”, ballata rock dal tempo spezzettato e con un giro di chitarra inconfondibile, racconto di una storia d’amore fra giovani di belle speranze.

Era contenuta in “American Fool”, disco del lontano 1982, che partiva col rock tirato di “Hurt So Good” e si chiudeva col lento riflessivo di “Weakest Moments”, con la suggestiva voce roca in evidenza.

Mi piacque molto, qualche anno dopo, anche “Scarecrow”, non fosse altro che per quel gioiello di “Small Town”, manifesto autobiografico a colpi di rock. E, poi, la copertina iconica: credo di essermi comprato un giubbino di jeans (che poi ho indossato pochissimo) solo per somigliarli un po’.

Tra i capolavori pure “The Lonesome Jubilee”, anno di grazia 1987, con una serie di pezzi bomba come “Paper In Fire”, “Cherry Bomb” e “Check It Out”.

Poco dopo il nostro avrebbe dismesso per sempre il nomignolo Cougar per essere solo (si fa per dire) John Mellencamp e andare avanti per la sua strada con altre opere di valore. Per un certo periodo di tempo, l’ho addirittura preferito a Springsteen, il suo contraltare su larga scala.

Non l’ho mai incontrato né intervistato. E, forse, meglio così perché dicono che abbia un caratterino non proprio conciliante. L’ho visto in concerto una volta sola: il 9 luglio 2011 a Vigevano. E fu una mezza delusione.

Prima del concerto venne proiettato un lungo documentario, che poteva anche essere interessante, ma non in quel contesto, con la gente in piedi dal pomeriggio in trepida attesa. Così lo spettacolo iniziò tardi e finì presto. Bello ma troppo breve, freddino e un po’ tirato via, senza bis. Peccato.


Ciò non toglie che quel che fa Mellencamp mi interessa sempre, ieri come oggi. Eccomi, perciò, a raccontarvi del suo nuovo album, “Strictly A One-Eyed Jack”, uscito da qualche giorno.

La prima cosa che colpisce è la voce. Ancor più roca del solito, tanto da ricordare il vecchio Tom Waits (ma anche Dylan, a dirla tutta). Il suono è sobrio, molto americano e molto virato sull’acustico, col violino spesso in evidenza.

Ci sono le sfumature blues di “I Am a Man That Worries”, una ballata pianistica un po’ jazzata come “Gone So Soon” (con solo di tromba), il vivace country-rock di “Lie to Me”. E ci sono, soprattutto, i pezzi in duetto con Bruce Springsteen, incontro che chiude il cerchio e riunisce due vecchi eroi del rock a stelle-e-strisce.

Il più immediato è “Did You Say Such A Thing”, pimpante (e polemico) rock chitarristico che rimanda a vecchie hit di Mellencamp, con le due voci ben assortite a scagliarsi contro la moda sempreverde del pettegolezzo.

“Wasted Days” è più lenta e folkeggiante, molto melodica, mentre “A Life Full of Rain”, ballatona esistenziale venata di pessimismo cosmico, chiude il disco su atmosfere più meditabonde.

Un testo, quest’ultimo, che riassume l’umore non proprio solare del Mellencamp attuale. Che nei brani con parole dure e sguardo cupo riflette sul tempo che passa, i sogni infranti, le falsità del nostro tempo, la mortalità e la solitudine di tutti noi.

Non proprio un allegrone, insomma. Eppure il disco scorre via, si lascia ascoltare con piacere e spesso colpisce al cuore, per sincerità e buone intenzioni.

Se vi piace il genere, accomodatevi.

Altrimenti fra qualche giorno inizia Sanremo.

Tre piani

"Tre piani", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

Italia, 2021. Drammatico, 119′. Regia di Nanni Moretti. Con Riccardo Scamarcio, Margherita Buy.

Il tanto chiacchierato (e stroncato) ultimo film di Moretti è un dramma a più voci, un po’ slegate fra loro. Lo sguardo è cupo e pessimista, con solo un fioco filo di luce in fondo al tunnel. Poca trippa per i vecchi fan, niente humour dissacrante o trovate surreali. E anche il lussuoso cast sembra in affanno. Insomma, Nanni è invecchiato e cambiato, prendere o lasciare. Mah.

Don’t Forget to Breathe

"Don't Forget to Breathe", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.


Slovenia, 2019. Drammatico, 97′. Regia di Martin Turk. Con Matija Valant, Tine Ugrin. Su RaiPlay

Racconto di formazione alla slovena, con protagonista un adolescente e il suo fratello maggiore, a cui è legatissimo. Tutto bene, finché si metteranno di mezzo i casi della vita, dell’amore e del diventare grandi. Il tutto immerso fra le bellezze naturali del luogo e la semplice routine quotidiana. Film che procede a passo lento, giocato più sulle psicologie che sui colpi di scena. Non male, comunque.

Il (gran) ritorno di Elvis Costello

E' uscito "The Boy Named If", il nuovo disco di Elvis Costello. Un (grande) ritorno alle sonorità del passato, ma con la maturità di oggi.  E testi che ragionano su moti ed emozioni della giovinezza perduta. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Non solo Sanremo. Nel giorno in cui la stampa veniva convocata per la maratona degli ascolti (lo scorso venerdì), per fortuna c’era anche altro da fare. E da ascoltare.

In uscita c’era il nuovo di Elvis Costello, che come forse avrà intuito chi bazzica da queste parti, è uno dei miei artisti preferiti. Lo seguo da sempre, nei suoi alti e bassi, l’ho visto varie volte in concerto, ho avuto anche l’onere/onore di intervistarlo face-to-face, tanto tempo fa.

L’ho pure criticato, le poche volte che il suo iperattivismo creativo ha abbassato l’asticella della qualità. Non è il caso, per fortuna, di questo “The Boy Named If”, realizzato coi fidi Imposters (e che piacere riascoltare l’organo di Steve Nieve!), che rilancia la foga e l’irruenza degli inizi con la maturità dei tempi moderni.

Per gli appassionati è una gioia risentire ritmi e melodie familiari, evitando di cadere nella banalità del déja vu, ragionando sui moti e le emozioni della giovinezza perduta, senza farsi troppo prendere dalle morse della nostalgia.

Sono tredici storie fra passato e presente, realtà e fantasia, una sorta di racconto della linea d’ombra di ognuno di noi.

Ecco il rock anni Sessanta di “Farewell, Ok”, le sonorità (quasi) vaudeville “The Man You Love To Hate”, la ballatona romantica “Paint The Rose Blues”, le delizie jazzy di “Trick Out The Truth” (con un testo lungo, ironico e articolato, dalle citazioni assortite) per chiudere con la grande bellezza della suadente “Mr. Crescent”.

In poche parole, un disco fatto come si deve, ispirato e brillante. Anzi, pimpante.

Mette di buon umore. E di questi tempi non è poco.

Il collezionista di carte

"Il collezionista di carte", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

USA, 2021. Thriller, 112′. Regia di Paul Schrader. Con Oscar Isaac, Tye Sheridan, Willem Dafoe, Tiffany Haddish.

Dal maestro Schrader (prodotto da Scorsese) ecco un thriller atipico ambientato sui tavoli da gioco (d’azzardo). Protagonista un uomo dal passato oscuro, perseguitato da sensi di colpa e desiderio di redenzione. L’incontro con un giovane assetato di vendetta e una vivace donna d’affari gli cambieranno la vita. Film lento ma coinvolgente, con attori perfettamente nella parte, che riflette sulle storture del mondo e le sue ingiustizie, fra malinconia, romanticismo ed esplosioni di violenza. Contribuisce non poco anche la colonna sonora di Robert Levon Been dei Black Rebel Motorcycle Club.

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