D’accordo, Paul McCartney e gli Stones sono inarrivabili, ma per longevità da palco anche il nostro Edoardo Bennato non scherza.
A quasi 76 anni lo vediamo tenere il palco per oltre due ore e mezza, cantare, suonare, spiegare, raccontare il suo lungo percorso artistico, finanche un po’ sottovalutato.
Perché a guardare la scaletta di questo recital agli Arcimboldi (tutto esaurito) scorri un mare di titoli importanti, con un sacco di dolorose esclusioni.
Un carnet di sostanza, insomma, che in molti (magari pure più celebrati) nemmeno si sognano. Ma tant’è.
Spettacolo diviso idealmente in tre parti: l’inizio con gli archi del Quartetto Flegreo, poi in solitaria da “one man band” alla vecchia maniera, infine con la Be Band, solido combo elettrico con chitarre in evidenza.
Bennato mescola reminiscenze classiche alla ballata dylaniana, fino a sposare i tratti più ruvidi di certo rock-blues. Acustica non perfetta, soprattutto nei momenti più corali, ma pubblico molto caldo.
Il filo conduttore, naturalmente, è questo signore col vezzo dei capelli corvini, che ama definirsi “rinnegato” o “pazzaglione”, e non ha perso il caratteristico spirito irridente e anticonformista.
Anzi, guarda al suo canzoniere e con orgoglio ne sottolinea la grande attualità. Come nei pezzi del capolavoro “Burattino senza fili”, anno di grazia 1977, che ben tratteggiano l’Italietta scombiccherata dei nostri giorni.
E così in questo “Peter Pan rock’n’roll tour”, pur zeppo di classici del passato, non mancano i riferimenti al presente: la stupidità della guerra, di ieri e di oggi; l’arroganza e l’astuzia dei potenti; la necessità di salvare il nostro pianeta.
Bennato, come sempre, invita a coltivare il dubbio e a non barricarsi nelle proprie certezze.
Ci sono l’inno femminile e femminista di “La fata” (ma anche di “Le ragazze fanno grandi sogni”); la forza del sogno della sempre bellissima “L’isola che non c’è”; il sarcasmo di “Cantautore” e “Sono solo canzonette”.
L’omaggio alle nostre eccellenze di “Italiani” (e il video con le foto di tanti famosi connazionali strappa più di un applauso a scena aperta); l’autobiografia di “A Napoli 55 è ‘a musica” e “Rinnegato”.
Giù fino ai suoni liberatori di “Il rock di Capitan Uncino” e “In prigione, in prigione” (altro testo sempreverde) per poi distendersi nel lirismo commosso di “Un giorno credi” e nel robusto reggae di “Nisida”.
Se capita dalle vostre parti (qui le date del tour), fateci un salto. E’ musica che fa divertire e pensare. E non ce n’è poi così tanta in giro.