Si parla di Musica! (e non solo)

Mese: Settembre 2022 (Pagina 1 di 2)

Official Secrets – Segreto di Stato

"Official Secrets - Segreto di Stato", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

USA, 2019. Thriller, 112′. Regia di Gavin Hood. Con Keira Knightley, Matt Smith. Su RaiPlay.

Storia vera di un’interprete dei servizi segreti britannici che rivela i giochi sporchi di Usa e Uk per far la guerra all’Iraq. Un gesto nobile che le procurerà però incriminazioni e intimidazioni. Solido thriller spionistico che fa riflettere, una volta di più, sui sudici retroscena della politica mondiale. In più, non mancano suspense e un buon cast. A partire dalla Knightley, che sa ben trasmettere ansia e paura.

Manuel Agnelli balla da solo

Ci ha messo un bel po’ Manuel Agnelli, a firmare il suo primo disco solista. E, forse, se non ci fosse stata la pandemia con relativo lockdown oggi non saremmo qui a parlare di “Ama il prossimo tuo come te stesso”, in uscita venerdì.

Perché tutto è iniziato in quel momento di chiusura, con brani scritti e suonati in una solitaria dimensione casalinga. Un modo anche per sperimentare. E liberarsi.

Da cosa? “Dall’idea che in tanti si sono fatti di me. Quando suoni in una band è un po’ una gabbia. E molti vedevano in me il canzonettaro del gruppo, quello più melodico. Non è così. E ho voluto dimostrare che certi suoni appartengono a me. Questo non è un disco di rottura, ma di continuità. Con più libertà” spiega il rocker meneghino.

Album dal titolo forte, rappresentativo delle dieci canzoni in scaletta: “Parlano tutte d’amore, nelle sue tante sfaccettature. Ho scritto guardando la mia vita e il mondo attorno a me. Un titolo per altro attualissimo, perché esprime un qualcosa di mai realizzato”.

I suoni sono tosti, con furor di ritmo e chitarre, ma pure con un ritrovato amore per il pianoforte. Come nell’incazzosa “Proci”, che fra le righe critica certa intellighenzia dei salotti responsabile della decadenza culturale del Paese. Ma anche la rigidità estrema della scena alternativa musicale nostrana.

Nel disco ci sono “La profondità degli abissi”, accattivante brano scritto su commissione per il film “Diabolik” (e vincitore di diversi premi), e la percussiva e tribale “Signorina Mani Avanti”.

Ma c’è soprattutto una robusta e toccante ballata come il nuovo singolo “Milano con la peste”, che rimanda ai tempi più bui del Covid e delle mascherine che lasciavano intravedere solo gli occhi.

“Per un attimo è sembrato che la gente avesse compreso quali fossero le cose importanti della vita. E ha mostrato così il suo lato migliore. Poi si è tornati come prima. Ma questa rimane una canzone sulla speranza che si possa cambiare”.

“Severodonetsk” e “Guerra e pop-corn” raccontano l’attualità bellica da differenti punti di vista, fra coinvolgimento drammatico e superficiale distacco, mentre la “title-track” parla di come si cresce e come si invecchia. E della bugia del diventare migliori col tempo.

Per il futuro Agnelli sembra più puntare alla carriera solista che a un nuovo progetto con gli Afterhours. Pensa a lavori dal ritmo di uscita più snello, uno ogni due anni.

“L’importante è fare dischi con un senso e dei contenuti, in un mondo dove in troppi cercano, invece, solo il consenso e il profitto”.

Intanto da domenica condurrà un programma su Radio24, mentre a dicembre sarà in tour nei club coi Little Pieces of Marmelade (usciti da “X Factor”), giovani musicisti con tanta voglia di spaccare.

Impegnativa ciliegina sulla torta, l’anno prossimo sarà il protagonista della versione italiana di “Lazarus”, il musical di David Bowie.

Censor

"Censor", recensione film horror inglese su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

Gran Bretagna, 2021. Horror, 84′. Regia di Prano Bailey-Bond. Con Niamh Algar. Su Amazon Prime Video.

Strano horror inglese, ambientato negli anni ’80 della Thatcher. C’è una giovane che si occupa della censura di film dell’orrore in vhs: lavora duro e senza sosta, fino a quando incappa in una pellicola che riporta a galla strazianti ricordi. Sarà l’inizio di una discesa agli inferi fra realtà e allucinazione. Idea intrigante e a più livelli di lettura, ma non messa perfettamente a fuoco. Bene la prima parte, con tutti quei rimandi ai tempi dell’analogico. Poi si perde un po’ via. Peccato.

Torna JazzMi!

Non solo Sfera Ebbasta, Alvaro Soler e i Negramaro. La settimana musicale milanese vede anche (e per fortuna) il ritorno di una delle rassegne più amate e frequentate, “JazzMi”, giunta alla settima edizione.

Dal 29 settembre al 9 ottobre andrà in scena una grande festa nel nome del jazz, dal centro alle periferie fino ai Comuni fuori città, con oltre 200 eventi diffusi e circa 500 artisti coinvolti, fra concerti, incontri, mostre, film, libri, arte, progetti speciali, laboratori e altro ancora.


L’idea alla base rimane quella di offrire occasioni di incontro, condivisione e arricchimento, ancor più necessarie di questi tempi difficili, attraverso una musica, il jazz, da sempre simbolo di integrazione tra culture e di armonia tra musicisti e appassionati di tutto il mondo.

L’intento, ancora una volta, è quello di trasformare Milano in “capitale del jazz”, almeno per una decina di giorni.

Il cartellone è molto ampio (trovate tutto qui) e propone un’ottantina di spettacoli gratuiti e tanti altri a pagamento, cercando di restituire un’idea delle tante sfaccettature e contaminazioni del jazz contemporaneo.


Due saranno i due poli principali, La Triennale e il Blue Note, ma saranno coinvolti quaranta spazi cittadini e altri luoghi.


Qualche nome? Dalla coppia creativa Uri Caine & Theo Bleckmann al cult anni ’80 Matt Bianco fino allo strano incontro fra il maestro Enrico Rava e il paladino dell’elettronica Christian Fennesz.

Ma ci saranno anche Venerus, Raphael Gualazzi, The Cinematic Orchestra, Paolo Fresu con un tributo a Bowie, Paolo Tomelleri, Avishai Cohen, Artchipel Orchestra e molti altri.


Come si usa dire, c’è solo l’imbarazzo della scelta. A voi!

7 sconosciuti a El Royale

"Sette sconosciuti a El Royale", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

USA, 2018. Thriller, 140′. Regia di Drew Goddard. Con Jeff Bridges, Cynthia Erivo, Dakota Johnson.

Come recita il titolo, sette anime perse si ritrovano in un hotel decadente e un po’ losco nel bel mezzo degli anni ’60. Ognuno ha un passato ingombrante e un suo perché, che porterà a una sanguinosa resa dei conti. Tra Lynch e Tarantino, un thriller fatto di tante tessere che si ricongiungono come in un puzzle, fra flashback e colpi di scena. Un po’ lungo e in odor di déjà-vu, comunque piacevole. E con un’attenzione particolare per musica e colonna sonora. Di gran classe.

“Moonage Daydream”, lo strano film su David Bowie

"Moonage Daydream" di David Bowie. La recensione per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Ho seguito e amato David Bowie da sempre. Prima da semplice (?) appassionato, comprando e divorando vinili e cassette. E leggendo avidamente tutto quel che la stampa d’allora pubblicava.

Poi anche da giornalista. Con la fortuna di averlo pure incontrato un paio di volte e visto in concerto in più occasioni. Fino al congedo improvviso di “Blackstar”, con relativo shock. Non mi definirei un fan, ma quasi.

Anche perciò mi incuriosiva “Moonage Daydream”, il film che sarà nelle sale dal 26 al 28 settembre. In molti l’hanno già visto in anteprima, io mi sono fiondato in una delle sale Imax che lo proiettano in questi giorni (e fino a domani). Con definizione audio/video altissima e comode poltrone.

Ma com’è? Cominciamo a dire quello che non è.

Non è un biopic, un film biografico (e popolare) tipo “Bohemian Rhapsody”, “Rocketman” o “Elvis”. E non è nemmeno un documentario dal taglio rigoroso e/o filologico.

E’ qualcosa di diverso. Il comunicato stampa lo definisce “un’esperienza cinematografica immersiva” e, una volta tanto, non siamo distanti dal vero.

Il regista Brett Morgen ha avuto libero accesso a un mare di materiale, spesso inedito, e l’ha rielaborato con uno stile libero e psichedelico, una sorta di flusso di coscienza guidato dalla voce di Bowie che racconta di sé, della sua vita, della sua famiglia, della sua infanzia, della sua arte, della sua spiritualità. E di molto altro ancora.

Non c’è linearità, ma solo un esile filo cronologico, con immagini, suoni, visioni, rielaborazioni grafiche, spezzoni di film, interviste e concerti, che si mescolano e si sovrappongono, in un continuum caotico ma non privo di fascino. Non ci sono didascalie esplicative, né testimonianze altre, solo i sottotitoli della traduzione.

E tanta musica. Dall’epopea di Ziggy Stardust e del delirio dei fan all’esperienza americana al ritorno in Europa per la trilogia berlinese. Fino all’esplosione pop e al successo mondiale di “Let’s Dance”. Con video bellissimi, sonoro di alta qualità, interpretazioni da fuoriclasse.

Al centro del racconto ci sono il Bowie uomo, il Bowie personaggio e il Bowie artista, non sempre sovrapponibili, non sempre conciliabili e conciliati.

Una storia di ricerca e cambiamenti frenetici, dall’inizio alla prematura fine, quando David pare trovare un giusto equilibrio (anche in amore) e una filosofica pacificazione con sé e col mondo.

Una scelta stilistica e di contenuti che implica un mare di omissioni da lasciare quasi basiti: ma, come detto, qui si esula volutamente dal rigore filologico e dalla ricostruzione storica.

Ciò nonostante l’ultima parte, dall’incontro con Iman alla produzione di fine anni ‘90 sino a “Blackstar”, sembra un po’ tirata via frettolosamente. E ci sarebbe da discutere su molto altro. Ma tant’è.

Per godersi appieno l’esperienza conviene lasciarsi sedurre dall’inarrestabile magma sonoro e visivo, dal montaggio serrato e ardito, dal bombardamento di stimoli e impulsi, dalla definizione splendida e il volume stordente.

Confesso di non esserci riuscito. E di essere uscito dalla sala stanco, frastornato e con un po’ di mal di testa.

Confuso e (in)felice, insomma.

Colpa mia? Non so. Forse “Moonage Daydream” è un capolavoro sperimentale e io non l’ho capito. O, forse, è una baracconata pretenziosa e non ho tutti i torti.

Resta da chiedersi a chi è diretto questo film, che per altro dura due ore e un quarto e immagino dividerà la platea fra entusiasti e detrattori.

Lo spettatore che poco conosce di Bowie rischia di uscire ancora più confuso di prima. Mentre i vecchi fan (come chi scrive) rischiano di restare spiazzati dall’approccio spericolato del regista. Mah.

Metti una domenica alla Triennale. Con “The Gathering”.

Joan As Police Woman in concerto alla Triennale di Milano per "The Gathering", il nuovo progetto musicale di Ferdinando Arnò.
Joan As Police Woman alla Triennale

Ci sono capitato quasi per caso, spinto dal solito spirito di curiosità. Senza sapere esattamente di che cosa si trattava.

Metti una domenica alla Triennale di Milano con “The Gathering”, il nuovo progetto musicale di Ferdinando Arnò, vincitore della Targa Tenco 2022 come miglior album collettivo.

Dalle 11 alle 24, nel bel palazzo di viale Alemagna, è andato in scena una sorta di happening creativo, fatto di esibizioni musicali in un clima piacevolmente anarchico, con un mare di artisti e tanto pubblico che si divideva fra i vari ambienti.

Le mostre in cartellone, ma anche gli spazi gratuiti, a partire dal grande atrio, con strumenti in bella vista e i bambini che picchiavano sui tamburi.

Mentre nel grande giardino esterno in molti si rilassavano sulle comode poltrone bianche (quelle tipo Fracchia col direttore), al piano superiore trovavi strumenti da provare, piano e sintetizzatori, o musicisti impegnati in piccoli grandi concerti.

Come quello di Joan As Police Woman, che sul tardo pomeriggio ha regalato un’oretta di grande musica a una manciata di spettatori in una piccola sala.

Una cinquantina di persone (avvistati anche Dente e Colapesce) intente ad ascoltare le sue intense ballate d’amore, sullo sfondo di un grande globo terrestre virtuale.

Lei divisa fra piano e chitarra, con una voce potente e carezzevole al tempo stesso e un batterista a supporto ritmico.

Tutto molto bello, particolare, raccolto. Ma, soprattutto, emozionante.

Weekend con l’Angolo del Cinefilo

Una scena tratta da "Un altro mondo". Recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.
Una scena tratta da “Un altro mondo”

Se la polemica Pausini-Bella Ciao vi ha sfinito, un buon film può essere il giusto antidoto per questo fine settimana di fine estate.

Ecco, perciò, un’infornata di titoli dal mio Angolo del Cinefilo.

Ce n’è per tutti i gusti: dal dramma francese sul mondo del lavoro Un altro mondo alla black comedy argentina La Casa delle stelle e a una serie di interessanti proposte italiane.

Come Lacci, Nevia, Le sorelle Macaluso e Nel bagno delle donne.

In più molto altro ancora in archivio.

Buon weekend e buona visione!

Un altro mondo

"Un altro mondo", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

Francia, 2021. Drammatico, 96′. Regia di Stéphane Brizé. Con Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain.

Acuta e realistica rappresentazione delle dinamiche del lavoro di oggi. Fatto di tagli, ricatti, avidità e sofferenza. Da una parte i soliti cinici padroni, dall’altra i lavoratori sfruttati: in mezzo ci si mette un manager di solidi principi, che cerca una soluzione impossibile. Una vita allo stremo, la sua, con un divorzio alle porte e un figlio problematico assai. Brizé dirige con piglio quasi documentaristico un film tosto e drammatico, fedele specchio del nostro mondo. Bravissimo, come sempre, Vincent Lindon.

La casa delle stelle

"La casa delle stelle", recensione film su L'angolo del cinefilo per mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini.

Argentina, Spagna, 2019. Commedia, 123′. Regia di Juan Josè Campanella.
Con Clara Lago, Oscar Martínez, Luis Brandoni, Graciela Borges, Marcos Mundstock, Nicolás Francella. Su RaiPlay.

In una grande dimora di campagna vivono una star del cinema che fu, suo marito (su sedia a rotelle), più lo sceneggiatore e il regista di quei vecchi film. Tutto fila liscio sul filo di un routinario tran tran, fin quando una giovane coppia irromperà nelle loro esistenze. Da lì una serie di complicazioni, rivelazioni e sorprese in un clima teatrale fra black comedy e dramma. Storia di avidità, cinismo, rimpianto, gelosia. Ma anche di imperituro amore. Un film ben fatto e ottimamente interpretato, con colpo di scena finale. Un po’ lunghetto, forse. 

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