Non solo poppettari da strapazzo o rappettari con l’autotune in canna. Per fortuna che fra i giovani di oggi c’è Lucio Corsi, uno che sa ancora come si imbraccia una chitarra. E, mirabile dictu, come si suona un’armonica.
Il quasi trentenne toscano, nonostante quel che dice la canzone, pare abbia deciso da tempo cosa farà da grande. Cioè il cantautore. E di quelli bravi.
L’ha dimostrato l’altra sera nelle due ore abbondanti di concerto in un Alcatraz meneghino a capienza ridotta, davanti al suo zoccolo duro (ancora troppo esiguo) di fan.
Ha l’aspetto gracile e magrissimo del Renato Zero degli inizi, inclusi capelli lunghi, cerone bianco sul volto e tutine attillatissime.
Ma nel suo cuore vibra l’amore per il glam rock anni 70 con le chitarrone schierate, il ritmo alto e la melodia a colpo sicuro. Zona Marc Bolan e primo Bowie, per capirci.
Con sé sul palco ha una folta banda di amici e ottimi musici ad assecondare le sue scorribande poetiche.
Il riff irresistibile di “Freccia bianca” apre e chiude un concerto di belle emozioni.
Dove spiccano la suggestione di “Trieste”, ballata alla Ivan Graziani sul potere del vento (“Da quel giorno per le strade di Trieste vive gente convinta/ Che il vento no, non era un freno, ma una spinta”), ma anche le novità dell’ultimo album, “La gente che sogna”.
Sfilano allora l’utopia fantastica di “Astronave Giradisco” o il desiderio di fuggire su un altro pianeta di “Radio Mayday”.
Sempre con quel linguaggio originale, fatto di immagini surreali, storie strane, atmosfere fiabesche, con un gusto piacevolmente rétro e fieramente fuori dalle mode.
In mezzo pure una lunga parentesi da solo in acustico, fra battute col pubblico e sorpresine assortite, per esempio l’esilarante inedito “Francis Delacroix” su un amico fanfarone (che sale sul palco) e un paio di cover dall’immenso Randy Newman.
A proposito di cover, il nostro rievoca i T-Rex di “20th Century Boy” e “Children Of The Revolution” ma anche il Lucio Battisti di “Un anno di più” (versione niente male, per altro), per far capire dove affondano le sue radici.
Fino all’apoteosi di “Cosa faremo da grandi?”, il suo piccolo grande capolavoro, che diventa una sorta di inno collettivo cantato a squarciagola.
Insomma, Lucio Corsi è uno che ha una marcia in più. E di più meriterebbe.
Per esempio uscire dall’area di culto e abbracciare un pubblico più ampio. Perché ha talento, carisma, sa stare sul palco, canta e scrive benissimo.
Anzi, piccola proposta disinteressata: portatelo a Sanremo.
In mezzo a tanti cialtroni male assortiti uno di talento come lui ci farebbe la sua porca figura.
Diteglielo ad Amadeus.
p.s. Prossime date del tour:
il 10 maggio al Monk a Roma (sold out), il 12 all’Hiroshima Mon Amour di Torino e il 13 al Locomotiv Club di Bologna (sold out).