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Tag: San Siro

Live a Milano, fra Stromae, Bregovic, Carl Brave e il tutto esaurito per Ultimo

Il belga Stromae sarà domani al Milano Summer Festival con l'album “Multitude” e il suo mix di stili e generi in lingua francofona. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Ultimi botti live prima della serrata d’agosto. E altra settimana infuocata. Dal meteo e non solo.

Due gli appuntamenti al Milano Summer Festival all’Ippodromo Snai: stasera con Willie Peyote, veterano del rap italico, con vocazione da intellettuale; e domani col belga Stromae e il suo mix di stili e generi in lingua francofona (e le novità del nuovo cd “Multitude”).

Stasera col live di Goran Bregovic e la sua Wedding & Funeral Band chiude il festival di Villa Arconati, mentre prosegue quello al Carroponte, che domani ospiterà il celtic punk dei Dropkick Murphys, seguiti giovedì dal pop-rap del romano Carl Brave e venerdì da Cristina D’Avena con i Gem Boy.

Al Magnolia, domani, arrivano i Marlene Kuntz con “Karma Clima”, album sul tema del cambiamento climatico, seguiti giovedì dal nu-jazz degli inglesi Sons of Kemet.

Finale di stagione per il festival interculturale Ahymé, giovedi alle 21.30 all’Arena Milano Est di Milano, col pianista Adam Kromelow in “Genesis Piano Project”.

Al Castello Sforzesco, domenica, si esibiranno gli allievi del Cpm con lo spettacolo “Canzoni per renderci migliori”, ospite Angelina Mango (ingresso libero con prenotazione)

L’evento clou (a chi piace, naturalmente) sarà il doppio “tutto esaurito” di Ultimo allo Stadio San Siro, sabato e domenica, recupero delle date annullate per la pandemia.

Fra Caparezza, The Smile e… quelli del pop

Caparezza live, foto credit Tamara Casula

Siamo a metà luglio e la bagarre dei concerti milanesi continua a ritmo intenso. Stasera, per esempio, all’Ippodromo Snai San Siro arriva il ricciuto Caparezza, rapper sui generis e grande performer, con l’Exuvia Estate 2022.

Martedì 12 al Castello Sforzesco, per Estate al Castello, riecco Davide Van De Sfroos, seguito il giorno dopo dall’anteprima di JazzMi con Kokoroko, fra radici afro e suoni urbani londinesi.

Sempre martedì, ma all’Alcatraz, in arrivo il fresco idolo giovanile The Kid Laroi, fra pop e rap.

Per gli amanti del pop leggero di casa nostra, lo stadio di San Siro ospiterà mercoledì 13 Alessandra Amoroso, e la due giorni, 15 e 16, con Max Pezzali.

Per palati più fini, giovedì 14 al Fabrique, il concerto di The Smile, nuovo progetto di Thom Yorke e Jonny Greenwood dei Radiohead.

Come al solito, piuttosto fitto il calendario del circolo Magnolia: in evidenza Lous and the Yakuza (stasera), li chitarrista (e non solo) americano Cory Wong (giovedì) e il rapper di casa nostra Madman (sabato).

Il Carroponte risponde col punk degli Idles (giovedì), il reggae di Alborosie (venerdì) e il combat-folk dei Modena City Ramblers (sabato).

Finale di settimana con un altro idolo del pubblico più giovane, Gazzelle, domenica all’Ippodromo Snai.

Fuori porta, il festival di Villa Arconati ospiterà giovedì 14 una bella serata al femminile fra jazz e altre storie con Simona Molinari e Isotta.

Rolling Stones a San Siro!

Rolling Stones a San Siro!. La storica band inglese trionfa nello stadio milanese con l'unica data del tour "Sixty". Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Rolling Stones, foto di Dave Hogan

La prima cosa che ti domandi è: ma come fa?!

Mick Jagger, 78 anni, una settimana fa positivo al Covid, che canta, saltella, arringa la folla (per altro in buon italiano), suona l’armonica, balla e passeggia felice lungo la passerella sul palco.

L’altra domanda arriva di rimando: ma chi glielo fa fare?

E’ ricco, famoso, si è tolto tutte le soddisfazioni del mondo. Potrebbe godersi il meritato riposo del guerriero e, invece, eccolo qui a scalmanarsi in una giornata milanese di caldo boia (“il quinto girone dell’inferno”, conferma lui).

La risposta ce la possiamo immaginare. E sta nel colpo d’occhio micidiale dei 56mila e passa convenuti nel catino storico di San Siro per l’unica tappa italiana del tour “Sixty” che celebra i sessant’anni di carriera dei Rolling Stones.

Mick li ha tutti in mano. “55 anni fa abbiamo fatto i nostri primi concerti in Italia. Grazie di essere ancora qui”, dice a un certo punto. E giù un boato.

La risposta, insomma, è nell’adrenalina, in quel sentirsi vivi, nel non voler mollare mai, anche quando l’età consiglierebbe altre più placide occupazioni. Un po’ come capita a tanti di noi, tutti i giorni, in un modo infinitamente più piccolo: potremmo ritirarci, ma non ce la facciamo.

Perché lavorare, tenersi occupati è una specie di ossessione, aiuta a sentirsi ancora vivi e utili alla società. E ci piace.

Immaginate, allora, cosa dev’essere stare su quel palco gigante e avere davanti una massa di gente adorante, che raccoglie generazioni diverse. Come fai a farne a meno?

Mick, ma pure Keith e Ron, non ci riescono. E, viene da dire, meglio così. Ma ‘sto concerto, chiederete voi, alla fine com’è stato? Be’, al netto della solita acustica non esaltante del nostro stadio, è stato bello, bellissimo.

Divertente, trascinante, emozionante.

E, pure, con qualche sorpresina sulla scaletta. Come l’inattesa “Wild Horses”, struggente ballata da quel capolavoro che fu “Sticky Fingers”.

La mancanza di Charlie Watts, omaggiato a inizio sera, si fa sentire. Non tanto perché il sostituto Steve Jordan non sia bravo, ma perché lo stile è diverso. E quel “tum tum” molto ci manca. Ma tant’è.

Keith e Ron ci danno dentro con la chitarra, tracce ruvide, rumorose, sporche e rockeggianti. Ma anche molto blues.

Le canzoni pescano spesso dal passato remoto: “Out Of Time”, anno di grazia 1966, è una botta al cuore. Mick capisce al volo e fa cantare il ritornello al pubblico.

Lo show è, al solito, ricco e imponente, ma senza effetti speciali da far strabuzzare gli occhi: grande palco, passerella, mega-schermi e via così. Gli effetti speciali, insomma, sono loro.

Questi vecchietti con un repertorio “da paura”, qui sintetizzato in nemmeno venti pezzi per un paio d’ore ad alta tensione. Molti altri ce ne sarebbero, ma non è tempo qui per rammarico o delusione, semmai per godere.

Ecco, allora, superclassici a go-go: la solita, bellissima e quasi filosofica, “You Can’t Always Get What You Want”, l’irresistibile incedere di “Honky Tonk Women”, la lunga cavalcata blues di “Midnight Rambler”.

Il finale è da antologia, col trittico “Paint It Black”, “Sympathy For The Devil” e “Jumpin’ Jack Flash”, col tipico riff assassino di Keith.

Sotto coi bis stra-annunciati: “Gimme Shelter” ci riporta per un attimo al cupo presente con immagini di guerra e distruzione. Per chiudere il cerchio con una lunga versione di “(I Can’t Get No) Satisfaction”, che diventa una sorta di sfogo collettivo, un urlo contro il cielo, una catarsi multigenerazionale. Perché quando ci vuole, ci vuole.

Si esce dallo stadio confusi e felici, finanche un po’ storditi. E pensi che sì, hanno sempre ragione loro: è solo rock’n’roll, ma mi piace.

Un martedì (live) da leoni. E non solo

I Rolling Stones martedì 21 a San Siro con l'unica data italiana del tour "Sixty". Nella stessa sera anche Killers e Offspring. Ma tutta la settimana sarà piena di concerti. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Rolling Stones, foto di Dave Hogan

Sarà un martedì da leoni, con tanti concerti in città. Precedenza assoluta agli ultraveterani Rolling Stones, attesi domani in un San Siro tutto esaurito per l’unica data italiana del tour “Sixty”.

Sessant’anni di carriera per Jagger & Richards (il primo prontamente risanato dal Covid, bontà sua), riassunti in una scaletta di 19 pezzi in cui non mancano (e come potrebbero?) classici come “Honky Tonk Women”, “Sympathy for the Devil” e “Jumpin’ Jack Flash”. Bis finale: “(I Can’t Get No) Satisfaction”. E scusate se è poco.

Sempre domani e a poche centinaia di metri di distanza, all’Ippodromo Snai San Siro per il Milano Summer Festival, ritroveremo l’alternative-rock di The Killers, anche qui unica data italiana (ore 21, da euro 46). In alternativa, al Carroponte ecco un’abbuffata punk con The Offspring, Punkreas, Lagwagon e Anti Flag (dalle 19, euro 51,75).


Altri appuntamenti: stasera ai Magazzini Generali il pop-rock degli americani Hanson, mentre Marco di Noia sarà alla Fabbrica di Lampadine con “Da Leonardo al Futuro”.


Mercoledì 22 al Carroponte arriva il rap contaminato di Rocco Hunt (seguito il 23 dagli Psicologi e il 24 da Guè Pequeno), mentre all’Alcatraz suoneranno i veterani punkettari californiani Bad Religion.


E non finisce qui. Giovedì 23 sarà il momento di Kendrick Lamar, pregiato pezzo da novanta del rap a stelle-e-strisce, atteso all’Ippodromo Snai, dove il giorno dopo (il 24) si esibirà l’italianissimo Brunori Sas.


Per chi, invece, cercasse appuntamenti meno affollati e adrenalinici, da tenere d’occhio il folto calendario di La Milanesiana, che in settimana ospiterà momenti live a ingresso gratuito (con prenotazione) di Capossela, Vasco Brondi, Giuseppina Torre, Paolo Fresu e Giovanni Caccamo. Qui il programma completo.

Buona musica (live) a tutti!

Elton John live a San Siro!

Elton John Live a San Siro. Ieri sera concerto d'addio del piccolo grande cantautore inglese. Tanti classici e altrettante emozioni. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

A un certo punto mi è sembrato di tornare indietro di quasi cinquant’anni. A quando, ragazzino, consumavo i solchi del 45 giri di “Crocodile Rock” o la cassetta di “Caribou”. Che non sarà stato un capolavoro, ma aveva in scaletta un paio di pezzi da novanta come “The Bitch Is Back” e “Don’t Let The Sun Go Down On Me”.

Potenza immaginifica della grande musica, che (pensa un po’) ti fa persino viaggiare nel tempo. E di pezzi da novanta, e altrettanti ritorni al futuro, ce n’erano tanti da ascoltare, ieri sera in un San Siro finalmente di nuovo ricolmo di gente.

Sulla scena il piccolo grande Elton John, a chiudere la carriera live con “Farewell Yellow Brick Road The Final Tour”, ultimo giro di valzer prima del meritato riposo nel tepore degli affetti familiari.

Un po’ cicciotto e un po’ malfermo, sempre agghindato con estro ai confini del kitsch, ma potente nella voce e agile sulla tastiera, il 75enne Reg ha raccontato in una ventina abbondante di classici, per quasi due ore e mezza, la sua storia artistica, per lo più concentrandosi nel momento magico dei ‘70 e degli ‘80.


Musica e spettacolo da stadio. Coi musicisti vestiti come lord inglesi, il batterista storico Nigel Olsson addirittura a picchiare i tamburi coi guanti e il percussionista Ray Cooper acclamato come una star.

Tre megaschermi rimandano quanto accade sul palco, assieme a raffiche di video, cartoon, vecchie foto autobiografiche, giochi di luce, spezzoni di film e altre amenità giusto per impreziosire lo show.

Anche se al centro, poi, ci sono le canzoni. Ed Elton, come si usa dire, è uno che ha i pezzi. Eccome. Anzi, ce ne ha pure troppi. E può permettersi di piazzare un capolavoro come “Tiny Dancer” alle prime battute della scaletta. O di lasciarne fuori successi clamorosi come “Daniel”.


Si parte a luci accese con “Bennie and the Jets” e “Philadelphia Freedom”, giusto per scaldare la platea. Poi ecco un titolo di culto come “Have Mercy on the Criminal” per tornare alle hit con una dilatata e sognante versione di “Rocket Man”. E pazienza se l’acustica dello stadio è al solito deficitaria e roboante. E non rende giustizia ai suoni.


“Someone Saved My Life Tonight” è un gioiello di melodia e drammaticità, quindi “Candle in the Wind” a rammentare in toni agrodolci la vicenda di Marilyn Monroe.

Al solito sontuosa e vibrante è “Don’t Let the Sun Go Down on Me”, prima di spingere sul pedale dell’acceleratore rock con “The Bitch Is Back”, “Crocodile Rock”, col pubblico che canta in coro il “la la la la la” del ritornello, e “Saturday Night’s Alright for Fighting”.

Finta uscita di scena e poi Elton torna in vestaglia di lusso per chiudere il cerchio. Concede uno strappo alla regola del revival con la “Cold Cold Heart” contemporanea in duetto (virtuale) con Dua Lipa: diciamolo chiaro, si poteva evitare.

Meglio, molto meglio i superclassici “Your Song” e “Goodbye Yellow Brick Road”, che mettono il sigillo finale alla sua prima e ultima volta in quel di San Siro.


Elton ringrazia e saluta l’Italia. Prima di congedarsi per sempre.

Niente da dire, lascerà un bel ricordo.

Due “nuovi” dischi per i Rolling Stones, aspettando San Siro

E' sempre tempo di Rolling Stones. In attesa del live del 21 giugno a San Siro sono in arrivo due dischi dal vivo.
Rolling Stones Band Image – Credit J.BOUQUET

E’ sempre tempo di Rolling Stones. E così, in attesa di (ri)vederli dal vivo in Italia col tour “Sixty”, il 21 giugno allo Stadio San Siro di Milano, ecco in arrivo due “nuovi” album.

Le virgolette si impongono in quanto si tratta di vecchio materiale live, che finalmente vede la luce in maniera ufficiale.

Il 13 maggio uscirà “Live at the El Mocambo”, che immortala i due concerti segreti del gruppo nel piccolo club di Toronto (solo 300 posti) nel marzo 1977.

La storia narra che, per l’occasione, venne indetto un concorso radiofonico il cui premio erano i biglietti per assistere agli spettacoli dei canadesi April Wine, che avrebbero avuto come supporter una band sconosciuta, i Cockroaches.

E quest’ultimi si rivelarono essere invece i Rolling Stones, che tornarono così per un paio di sere a respirare l’atmosfera rovente dei localini degli inizi.

L’album sarà disponibile in doppio CD, 4LP (Black Vinyl), 4LP (Neon Vinyl) e digitale. Conterrà il set completo dello spettacolo del 5 marzo 1977, più tre bonus track tratte dal concerto del 4 marzo.

Il tutto con nuovo missaggio a cura di Bob Clearmountain.

Solo quattro brani (la El Mocambo Side) tratti da quelle esibizioni furono inseriti in “Love You Live”, l’album uscito nel settembre del 1977 con la pregevole copertina firmata da Andy Warhol.

In scaletta ritroviamo i classici blues “Mannish Boy”, “Crackin’ Up”, “Worried Life Blues” e “Little Red Rooster” e hit stoniane come “Let’s Spend The Night Together”, “Brown Sugar” e “Jumpin’ Jack Flash”. Più diversi titoli tratti da “Black and Blue”, brillante disco del 1976.

Non manca, e come potrebbe, la travolgente “It’s Only Rock’n’Roll”, già ascoltabile su YouTube. Ed è una bomba.

Più canonica e meno leggendaria (e in buona parte già edita) è l’uscita prevista per il 10 giugno, “Licked Live in NYC”, registrazione dell’esibizione al Madison Square Garden nel 2003, che verrà pubblicata in DVD/2CD, Blu-ray/2CD, 2CD e 3LP.

Si tratta del tour dei quarant’anni di carriera della band, e conterrà versioni inedite di “Start Me Up”, “Gimme Shelter”, “Sympathy For The Devil” e “Tumbling Dice” , più un duetto con Sheryl Crow su “Honky Tonk Women”.

E la storia continua.

I Rolling Stones a San Siro!

E' ufficiale. I Rolling Stones arriveranno allo stadio San Siro di Milano il 21 giugno col loro "Sixty" Tour. Biglietti disponibili a breve. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Mi rendo conto che questo blog sta diventando un po’ old fashion. E parla per lo più di artisti non proprio giovanissimi, mentre forse, per opportunità di click, dovrebbe occuparsi dei vari Bresh, Blanco, Lauro e via dicendo.

Ma siccome al cuor (e pure alle orecchie) non si comanda, eccomi invece a raccontare del nuovo tour dei Rolling Stones, dal titolo inequivocabile, “Sixty”.

Sessanta, come gli anni di carriera della band, che del nucleo originale mantiene solo la storica coppia Mick Jagger e Keith Richards. Più l’arruffato Ron Wood, entrato nel gruppo nei ‘70.

Il tour partirà il primo giugno da Madrid e arriverà il 21 a San Siro, Milano. Ancora si sa poco dei dettagli, se non che ci saranno la solita scaletta pirotecnica e piena di classici e un palco imponente, con un innovativo sistema di luci e visual design.

Per l’occasione è stata creata una nuova versione della iconica lingua dal pluripremiato designer britannico Mark Norton.

I biglietti saranno in vendita da venerdì su ticketone, ticketmaster, vivaticket e nei tanti punti autorizzati. Ancora non si conoscono i prezzi.

I “vecchiacci”, insomma, stanno per tornare. E converrà non mancare all’appuntamento.

Perché, come diceva quel tale, “It’s only rock’n’roll, but I like it”.

“Sanremo? No grazie”. Il gran rifiuto di Salmo

di Diego Perugini

Salmo ha detto no a Sanremo. Il rapper sardo non sarà ospite all'Ariston. "Non me la sento. Preferisco San Siro a Sanremo", ha detto.
Salmo: “Sanremo, no grazie”

Alla fine Salmo ha detto no a Sanremo, smentendo le voci che lo volevano ospite all’Ariston. La notizia era nell’aria già nel giorno degli ascolti per la stampa, poi il rapper ha confermato la sua scelta via social. “Non me la sento. Tra i due santi, Sanremo e San Siro, scelgo San Siro”, ha scritto, riferendosi al suo concertone meneghino del 14 giugno.

Non mi ha stupito. Semmai mi aveva stupito l’idea di Salmo in riviera. Che c’azzecca?, avrebbe detto quel tale. Troppo diverso, troppo fuori contesto. Per lui sarebbe stato più un rischio che un’opportunità. Il rischio di trovarsi nel posto sbagliato, venire frainteso, finire nel calderone delle polemiche, sputtanarsi. Perché a Sanremo, si sa, tutto viene esaltato all’ennesima potenza e ogni notizia (o pettegolezzo, poco cambia) è buona per scatenare la canizza dei cronisti in cerca di scoop.

Anche quest’anno il copione sembra non cambiare e l’ingenuo (?) Amadeus sta scoprendolo sulla sua pelle. Il gioco non vale la candela, deve aver pensato Salmo. Che è un tipo fatto a modo suo, ha già un bel seguito di fan e non ha bisogno di visibilità a buon mercato. Niente stress, niente disagio, insomma. Sanremo meglio guardarselo in tv. O, direttamente, passare oltre.

Supermassive Muse a San Siro

Muse a San Siro (Milano) col Simulation Theory World Tour
Muse a San Siro

Certi artisti su disco magari non ti fanno impazzire, ma dal vivo hanno una marcia in più. E allora fai in modo di non perderteli quando capitano dalle tue parti. Anzi, li consigli caldamente ad amici, parenti e conoscenti.

In Italia penso, per esempio, a Jovanotti, una vera macchina da guerra live. Fra i big stranieri ci metto i Muse, autori dei kolossal rock più forti in circolazione. Roba da fare strabuzzare gli occhi e stordire i sensi. Come nel loro precedente tour nei palazzetti, “Drones”, una botta di adrenalina pura ed effetti speciali, col palco al centro e i fan adoranti sotto, me compreso.

L’altra sera ho fatto il bis a San Siro, dove Matt Bellamy e soci hanno portato il Simulation Theory World Tour. E anche stavolta ci hanno dato dentro, con uno show nel vero senso della parola. Tutto sopra le righe, eccessivo, frastornante. Sempre sul filo del kitsch, eppure maledettamente coinvolgente.

Non c’è sosta, non c’è requie, a parte dei brevi intermezzi di raccordo, in questo circo rock ipertecnologico, che racconta di un futuro distopico e di una tecnologia sempre più invadente. Una vena apocalittica e fantascientifica assai cara alla band inglese.

Sono due ore ad alta tensione, con i suoni sparati al massimo, marziali coreografie di ballerini, botti, stelle filanti e il megaschermo protagonista fra suggestive immagini in 3D e riprese in diretta di artisti e pubblico. Matt e soci picchiano duro su quel palco gigante con passerella in mezzo alla gente, dove alla fine si palesa addirittura un mostro gigante che sembra voler inghiottire tutto e tutti.

E la musica? Ottima e abbondante. Perfettamente in linea col tono esagerato dello show: hard-rock, prog, electro, pop e altro ancora, con la voce che s’inerpica drammatica o gioca di falsetto. E la chitarra tagliente, la batteria incessante, il volume impazzito.

Insomma, roba forte. Con titoli che mandano in visibilio i fan: “Pressure”, “Mercy”, “Madness”, “Supermassive Black Hole” fino all’accelerazione finale con le superhit “Time Is Running Out” e “Starlight”, cantata all’unisono dal pubblico.

Si esce confusi e felici, frastornati e un po’ rincoglioniti, come al ritorno da una serata vigliacca con gli amici. Se vi piace il genere, se amate le emozioni forti e quell’inebriante piacere del lasciarsi un po’ andare, è il concerto che fa per voi. In fondo, diceva un saggio, l’importante è esagerare.

p.s. si replica il 20 all’Olimpico di Roma. Qui i biglietti.

Vasco, sacerdote del rock

di Diego Perugini

Vasco Non Stop Live 2019. Vasco Rossi a San Siro
Vasco Rossi a San Siro

Mai stato un fan sfegatato di Vasco. Ma per motivi di lavoro e/o curiosità, mi sono ritrovato spesso a occuparmi di lui. L’ho anche intervistato diverse volte e visto altrettante in concerto. L’ultima ieri sera, atto conclusivo della “sei giorni” sold out a San Siro, ormai sua seconda casa.

Ed è stato uno show, nel vero senso del termine, con un palco gigante, la solita passerella verso il prato, e un muro di schermi a diffondere immagini e suggestioni. Poi c’è lui, Vasco, più vecchio e più stanco, perché gli anni passano per tutti (direbbe mia mamma) e perché a un certo la vita spericolata ti presenta il conto. Ma lui rimane forte e molto rock, meno agile ma coi piedi ben piantati per terra, con quello spirito anarchico, le impenitenti malizie sessuali, la vena ludica, quella romantica e quella più pensosa. E una voce che scuote nel profondo.

Certe canzoni, tipo “Portatemi Dio”, “Vivere”, “Senza parole”, tanto per fare qualche titolo, è bello riascoltarle e riscoprirle, così come i ripescaggi dal passato remoto, da “Domenica lunatica” a “Ti taglio la gola”, tra i momenti più divertenti. Poi c’è il pubblico che, come si usa dire, è lo spettacolo nello spettacolo. Chi non ha mai visto un concerto di Vasco non può capire. Gente di generazioni diverse, nonni, figli e nipoti uniti ad ascoltare e cantare il verbo. Sempre e comunque.

Perché, lo si è scritto tante volte, quella di Vasco è davvero una sorta di messa laica, un rito catartico contro il logorio della vita moderna. Per scacciare via le paturnie del quotidiano, i brutti pensieri, i casini. E come ogni messa che si rispetti, alla fine, il succo resta sempre quello. Cambia semmai la “predica”, che stavolta punta sul filo conduttore della musica che aggrega, consola e aiuta nei momenti difficili. Come quelli che stiamo vivendo.

Il resto sono piccole grandi variazioni su un canovaccio classico. Sonorità a tratti ai confini del punk, scaletta diversa con dolorose esclusioni (“Liberi Liberi”, “Stupendo”, “Ogni volta”…), scenografia rinnovata. Ma il “sacerdote” Vasco non cambia. E al termine del rito, emana la “benedizione” al suo popolo, quel “Ce la farete tutti” che suona un po’ augurio, un po’ esortazione, un po’ speranza. Conviene credergli, non si sa mai.