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Le “Tredici canzoni urgenti” di Vinicio Capossela

In arrivo venerdì "Tredici canzoni urgenti", il nuovo album di Vinicio Capossela. Un lavoro importante, con molti riferimenti all'attualità. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Vinicio Capossela, foto di Guido Harari

Il titolo è già rivelatorio, “Tredici canzoni urgenti”.

E l’urgenza a cui si riferisce Vinicio Capossela nel suo nuovo album, in uscita venerdì, è quella di raccontare il nostro brutto mondo quotidiano e denunciarne le troppe assurdità.

Per farlo ha abbandonato per un po’ la minuziosa ricerca lessicale e l’uso accorto di metafore e citazioni colte a favore di un linguaggio più semplice e diretto. E molto efficace.

Una semplicità (relativa) che giova parecchio ai pezzi, che arrivano subito al cuore e alla mente, emozionano d’impatto e poi ti lasciano lì a riflettere.

Vinicio ci parla della cosa più brutta in assoluto, la guerra, descritta con dolente poetica in “La crociata dei bambini”, ispirata a un poema di Brecht.

Ma ci racconta anche del consumismo spinto dei nostri tempi (“All you can eat”), di violenza sulle donne (“La cattiva educazione”), della situazione delle carceri (“Minorità”), della crisi del nostro sistema (“Sul divano occidentale”).

Ci sono inoltre il ricordo del lavoro oscuro delle donne della Resistenza (“Staffette in bicicletta” con la partecipazione dell’ex Üstmamò Mara Redeghieri) e un paio di riferimenti quanto mai attuali all’opera e alla vita di Ludovico Ariosto sul tema del potere e della guerra.

Un disco pessimista, cupo, disperato? Non proprio.

Capossela non rinuncia alla speranza già nell’iniziale “Il bene rifugio”, splendida ninna nanna romantico-finanziaria, dove non si celebrano l’oro o il Bund, ma il vero bene rifugio: l’amore.

E anche le due tracce finali, “Il tempo dei regali” e “Con i tasti che ci abbiamo”, ci invitano a considerare l’importanza del dono più grande, la vita, e a fare con quello che abbiamo, senza rincorrere desideri impossibili ma intravedendo una possibilità in ogni limite.

Un album importante, insomma, che un tempo avremmo definito “impegnato”. Ma senza spocchia, senza voler farci la morale a tutti i costi.

Politico, ma nel senso migliore del termine.

Un album che anche dal punto di vista musicale è più immediato e diretto del solito, il che non vuol dire povero d’ispirazione o, peggio, tirato via. Tutt’altro.

Ci sono ballate, valzer, jazz, rock, cha cha cha e altro ancora, con un mare di ospiti e amici come Margherita Vicario, Sir Oliver Skardy, Cesare Malfatti, Taketo Gohara, Bunna e altri ancora.

Molti di loro saranno sul palco giovedì al Conservatorio di Milano per il concerto di presentazione, già “tutto esaurito”.

A cui seguiranno dal 22 un instore tour e, quindi, una serie di “concerti urgenti” fra la primavera e l’estate.

Teneteli d’occhio.

Vinicio Capossela, una “canzone urgente” contro tutte le guerre

Vinicio Capossela esce oggi con "La crociata dei bambini". Una canzone urgente contro tutte le guerre. Con un video commovente. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
Vinicio Capossela – foto di Jean-Philippe Pernot

Giusto un anno fa scoppiava l’ennesima guerra, stavolta assai vicina ai nostri confini. E a un anno di distanza ancora non se ne vede la fine.

Vinicio Capossela ha voluto dire la sua nel modo che più gli è congeniale: la musica.

Esce oggi “La crociata dei bambini”, una “canzone urgente” contro tutte le guerre, una struggente ballata dall’incedere dolente, con pianoforte in evidenza e ampi scorci melodici dettati dagli archi.

Vinicio racconta senza enfasi e senza retorica, ma con immagini suggestive e toccante vena poetica, una storia di bambini che fuggono dalla guerra per cercare una terra di pace.

Un lungo corteo di ragazzi (più un povero cane) a camminare nel gelo e col morso della fame, sperando di trovare un mondo migliore. Da brividi.

Lo spunto viene da un poema di Bertolt Brecht, ispirato da un evento storico in epoca medievale, che lo scrittore ambienta fra le nevi della Polonia agli inizi della seconda guerra mondiale.

Spiega Vinicio: “Questo pezzo fa parte di 13 canzoni urgenti, un’urgenza che è nata un anno fa, quando si è compreso che il tempo che pensiamo di avere non è illimitato, ma tutti possiamo essere spazzati via da un potere più grande e impersonale.

Allora sono andato a rileggere Brecht, le sue canzoni e poesie scritte mentre la notte era caduta sul suo paese e l’ombra della guerra iniziava a oscurare l’Europa.

Tra queste ho trovato “la crociata dei bambini” ambientata in Polonia nel 1939. L’innocenza dell’infanzia e dell’animale sono tra le vittime più insostenibili dell’orrore della guerra.

La pubblichiamo oggi ed è il nostro modo di dire no alla guerra. Nessuno più invoca la pace, ovunque si cerca la vittoria.

Per dirla ancora con Brecht: la guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.

Tra i vinti la povera gente faceva la fame. Tra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente”.

Il tutto accompagnato da un commovente lyric video, realizzato dal disegnatore Stefano Ricci, con la collaborazione di Ahmed Ben Nessib, utilizzando la tecnica del gesso bianco su carta nera.

Un lavoro minuzioso costituito da 4705 immagini, fotografate una per una, senza alcun ausilio di tecniche di animazione digitale.

Guardate. Ascoltate.

E pensateci un po’ su.

Vinicio Capossela, in tour con “Ballate per uomini e bestie”

di Diego Perugini

Vinicio Capossela, in tour con "Ballate per uomini e bestie"
Vinicio Capossela

Un concerto di Vinicio Capossela merita sempre. Perché lui è bravo, talentuoso, istrionico. E sa rendere intellegibili e persino accattivanti concetti tosti come quelli contenuti nel suo ultimo e pluripremiato cd “Ballate per uomini e bestie” (qui la mia recensione). E se il disco può risultare alla lunga faticoso, dal vivo è tutta un’altra cosa.

Quello che Vinicio sta portando in giro per l’Italia (qui tutte le date) è un recital teatrale a tutti gli effetti, con tanto di maschere (di animali), una scena statica arricchita da suggestivi visual, un gruppo di musicisti doc. Sul palco austero degli Arcimboldi il Nostro sbuffa e si camuffa, indossa abiti curiosi, racconta il Medioevo contemporaneo a colpi di allegoria. Dentro c’è di tutto, dal folk popolare che fa battere le mani alle ballate più pensierose.

Dal testamento di un suino alle citazioni di Keats e Oscar Wilde sino alle riflessioni sconsolate di tutti noi poveri cristi. Capossela denuncia la barbarie del nostro tempo per chiudere a passo di lumaca (davvero). In mezzo ci mette rabbia e dolcezza, sussurri e grida, ritmi mozzafiato e sospensioni romantiche. Tutto molto bello.

A un certo punto, però, si mette solitario al piano e parla di Milano, la stazione Centrale, il vecchio Smeraldo che non c’è più. E viene un po’ di nostalgia. Mi sono tornati alla mente tanti ricordi. Quando “sfrecciavo” con la mia nera macchinina nella notte meneghina, autoradio vecchio stile e le cassette nel cruscotto, “All’una e trentacinque circa”, “Modì” e “Camera a sud”, dovrei ancora averle da qualche parte.

Ecco il concerto che vorrei, mi sono detto. Riascoltare per una volta quei pezzi, un recital semplice, piano e voce, qualche strumento un po’ jazzato. Il vecchio Capossela, insomma, senza travestimenti. Metaforicamente nudo e crudo. Chiaro, Vinicio probabilmente non ci penserà proprio. Perché l’artista evolve, cerca altri stimoli e nuove avventure, non desidera guardarsi indietro. Ha ragione lui, certo. Però, lasciatemi coltivare questo piccolo desiderio. E chissà mai…

Vinicio Capossela, “Ballate per uomini e bestie” (ora anche in tour)

di Diego Perugini

Vinicio Capossela, “Ballate per uomini e bestie”

Date un ascolto all’ultimo cd di Vinicio Capossela, “Ballate per uomini e bestie”. Ma un ascolto serio, non fuggevole e distratto, tipo quando si fa jogging o si viaggia sul metrò, con cuffiette da due soldi. Perché è un album lungo e impegnativo, ricco di temi e sottotesti, colto e profondo, da affrontare magari a più riprese, per coglierne meglio riferimenti e sfumature. Vinicio ci ha messo tempo, passione, amore e tanto studio, giusto quindi dedicargli l’attenzione che merita.

E’ un disco antico e moderno al tempo stesso, che mescola sonorità arcaiche e riferimenti attualissimi. Ballate di un folk cosmopolita e trasversale, che racconta con lucida follia il nostro Medioevo contemporaneo.

Dall’andamento dylaniano (e dilaniato) di “Il povero Cristo” all’incalzante incedere di “La peste”, bruciante disanima della mancanza d’etica del web (e ti rimane in testa il riff parafrasato “Let’s tweet again”). “Il testamento del porco” ha un sapore sanguigno e popolare, con echi del vecchio De André, mentre “Ballata del carcere di Reading” (da Oscar Wilde) denuncia l’orrore della pena di morte.

Ma ci sono anche riferimenti biblici, il saccheggio della natura, John Keats, Sant’Antonio e San Francesco, lupi mannari, giraffe e, in conclusione, una lumaca a simboleggiare la forza dell’umiltà, perché “nel farsi piccolo si può accedere al grande”. Non un disco facile, ma nemmeno dissuasivo. Anzi, talvolta persino orecchiabile e trascinante nei ritmi. E, soprattutto, emozionante.

Chiaro, Capossela non cerca il facile consenso e viaggia per la sua strada fregandosene di mode e modi. Ed è giusto così. Ha dalla sua un pubblico colto e preparato o, quanto meno, ben disposto ad andare al di là dei quattro soliti accordi, delle rime cuore-amore e degli arrangiamenti tutti uguali.

E in questo mondo di informazione superficiale, volgarità diffusa e ignoranza crassa, è bello poter contare su artisti come lui. Che studiano, approfondiscono e mettono in musica. Sperando che altri raccolgano il testimone e passino parola.

P.S. Prosegue a giugno e luglio il tour di atti unici di Capossela, una serie di concerti concepiti appositamente per luoghi specifici, dando rilievo ai brani e alle tematiche del nuovo album. Qui info e date.