David Bowie in mostra agli Arcimboldi. Fino al 12 giugno le fotografie di Andrew Kent sul ritorno in Europa del Duca Bianco a metà anni 70. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it
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E’ una mostra singolare quella in scena da oggi al 12 giugno nel foyer degli Arcimboldi meneghini.

S’intitola “David Bowie: the Passenger. By Andrew Kent” e mette l’accento su un periodo particolare della storia della compianta rockstar inglese.

Cioè il momento, metà anni Settanta, in cui decide di tornare in Europa dopo un lungo (e turbolento) soggiorno negli States.

Era l’epoca, per capirci, di un disco bellissimo e sottovalutato come “Station To Station”, realizzato in un momento di forte crisi, fra abuso di cocaina e turbe mentali.

Il tour a ruota lo riporterà nel Vecchio Continente, dove poi deciderà di rimanere per qualche anno, sistemandosi infine a Berlino.

Lì realizzerà la famosa trilogia “Low”, “Heroes” e “Lodger”, un tris di capolavori che non può mancare nella vostra discografia.

E questa, insomma, è storia.

Bene, la mostra ripercorre proprio quel “ritorno a casa” grazie alle immagini di Andrew Kent, fotografo americano che l’ha seguito passo passo nell’avventura europea, cogliendone gli aspetti più intimi e meno da star.

Ci sono le foto in concerto, d’accordo, ma soprattutto quelle del privato, a testimoniare il frenetico vagare fra varie nazioni, fra cui l’inquietante viaggio in treno in Russia (a quell’epoca Bowie odiava volare ed era arrivato in Europa dagli Usa in nave), compreso di perquisizioni, interrogatori, agenti del KGB albini e altro ancora.

Oppure gli scatti della stanza di albergo a Parigi, con Bowie intento a truccarsi prima di uscire, le immagini dei fan in delirio che l’attendono a Londra, quelle con l’amico Iggy Pop, la provocatoria posa a braccia incrociate davanti a una guardia tedesca.

Emerge sempre, se ancora qualcuno avesse dei dubbi, l’enorme carisma, fascino ed eleganza dell’artista, imperitura icona di stile.

Ed è anche un bel viaggio a ritroso in anni lontani e stimolanti, assai diversi dai tempi grami che stiamo vivendo.

In totale sono 60 scatti, con in più diversi cimeli, documenti originali, ricostruzioni storiche, abiti, dischi, modellini, manifesti, memorabilia e proiezioni. Tutto racchiuso in poche sale, ma realizzato con gusto.

E non si faccia l’errore di paragonarla con “David Bowie Is”, l’imponente retrospettiva realizzata dal Victoria and Albert Museum di Londra, passata da Bologna nel 2016.

Qui le dimensioni sono molto più raccolte e lo sguardo abbraccia solo una delle tante fasi della storia bowiana, probabilmente una delle meno note al grande pubblico.

Per intenderci, qui non si parla di Ziggy Stardust. E, in fondo, va bene anche così.