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Tag: Alcatraz

Da Glasgow con amore. E un po’ di nostalgia.

The Jesus and Mary Chain, credito Mel Butler

Toh, chi si rivede. In arrivo questa settimana a Milano due band scozzesi che molto mi piacquero negli anni 80.

Mercoledì all’Alcatraz, unica data italiana, si va di culto con The Jesus and Mary Chain, che ho amato parecchio per il primo disco, “Psichocandy”.

Suoni, rumori e distorsioni punk sopra una melodica vena pop, come nel capolavoro “Just Like Honey”, che ricordo anche nel suggestivo film “Lost in Translation” di Sofia Coppola.

La storia dei turbolenti fratelli Reid ha vissuto poi di alti e bassi, con dischi non più all’altezza del folgorante esordio, uno di quei lavori che valgono una carriera. E influenzano decine di gruppi a seguire.

Ma la band, dopo le celebrazioni live per il trentennale del celebre album, non ha perso la voglia di produrre nuova musica, come in “Glasgow Eyes”, uscito il mese scorso, di cui si ascolterà qualche estratto anche a Milano.

Comunque, tranquilli, non mancherà “Just Like Honey”. Arriverà verso fine serata. E sarà una gioia.

Da Glasgow provengono pure i Simple Minds, attesi sabato da un tutto esaurito al Forum di Assago.

Rispetto ai Reid, la loro carriera ha vissuto sui piani alti del pop, fra vendite milionarie e grandi concerti. Dall’alto di uno status di star, Jim Kerr e soci vivono ormai di rendita, forti di un canzoniere importante, distillato nel corso di una gloriosa carriera.

Non a caso la scaletta di questo Global Tour 2024 è una sorta di greatest hits che non ammette molte discussioni: si parte con “Waterfront” e si chiude con “Alive and Kicking”.

In mezzo troviamo titoli come “New Gold Dream”, “Sanctify Yourself” e “Don’t You”. E scusate se è poco. Un tuffo nel passato, nostalgia canaglia e dintorni, grandi pezzi e altrettanta energia.

Trionfo annunciato. E ritorno in Italia in estate. Viva!

Mercoledì all'Alcatraz unica data italiana per The Jesus and Mary Chain, gruppo di culto anni 80. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

Cosmo sì, ma senza smartphone

Non è il primo e, sicuramente, non sarà l’ultimo (vedi, per esempio, il buon vecchio Dylan qualche tempo fa). Però l’idea di un concerto senza smartphone invadenti merita sempre un encomio.

Stavolta, inoltre, non si tratta di austeri recital teatrali ma di un live nei club, per di più da ballare e da scatenarsi come se non ci fosse un domani.

Protagonista è Cosmo, che ha deciso di sperimentare per il nuovo tour, in arrivo all’Alcatraz di Milano mercoledì 10 e giovedì 11 aprile (tutto esaurito), il divieto di utilizzare cellulari per fare foto e video.

Come? Coprendo all’ingresso le telecamere con dei bollini.

Il tutto per rendere ancora più selvaggia ed energica la reazione dei fan, creando “un’atmosfera magica di mani, occhi e corpi liberi”, come suggerisce il comunicato stampa.

Del resto gli spettacoli di Cosmo sono davvero un po’ così, come ho visto di persona anni fa al Forum di Assago.

Una festa, un inno all’aggregazione, alla socialità. Al lasciarsi andare, cantare, saltare. E ballare, naturalmente.

In scaletta, oltre ai classici del passato, ci saranno i pezzi del nuovo (e meritevole) album “Sulle ali del cavallo bianco”, in equilibrio fra pop, elettronica, canzone d’autore e psichedelia, restituiti con una band di quattro elementi.

Insomma, ci sarà da divertirsi.

Ma senza smartphone, please.

Lucio Corsi all’Alcatraz!

Lucio Corsi arriva all'Alcatraz di Milano e sfodera oltre due ore fra glam rock e canzone d'autore. Uno dei migliori giovani artisti in circolazione.

Non solo poppettari da strapazzo o rappettari con l’autotune in canna. Per fortuna che fra i giovani di oggi c’è Lucio Corsi, uno che sa ancora come si imbraccia una chitarra. E, mirabile dictu, come si suona un’armonica.

Il quasi trentenne toscano, nonostante quel che dice la canzone, pare abbia deciso da tempo cosa farà da grande. Cioè il cantautore. E di quelli bravi.

L’ha dimostrato l’altra sera nelle due ore abbondanti di concerto in un Alcatraz meneghino a capienza ridotta, davanti al suo zoccolo duro (ancora troppo esiguo) di fan.

Ha l’aspetto gracile e magrissimo del Renato Zero degli inizi, inclusi capelli lunghi, cerone bianco sul volto e tutine attillatissime.

Ma nel suo cuore vibra l’amore per il glam rock anni 70 con le chitarrone schierate, il ritmo alto e la melodia a colpo sicuro. Zona Marc Bolan e primo Bowie, per capirci.

Con sé sul palco ha una folta banda di amici e ottimi musici ad assecondare le sue scorribande poetiche.

Il riff irresistibile di “Freccia bianca” apre e chiude un concerto di belle emozioni.

Dove spiccano la suggestione di “Trieste”, ballata alla Ivan Graziani sul potere del vento (“Da quel giorno per le strade di Trieste vive gente convinta/ Che il vento no, non era un freno, ma una spinta”), ma anche le novità dell’ultimo album, “La gente che sogna”.

Sfilano allora l’utopia fantastica di “Astronave Giradisco” o il desiderio di fuggire su un altro pianeta di “Radio Mayday”.

Sempre con quel linguaggio originale, fatto di immagini surreali, storie strane, atmosfere fiabesche, con un gusto piacevolmente rétro e fieramente fuori dalle mode.

In mezzo pure una lunga parentesi da solo in acustico, fra battute col pubblico e sorpresine assortite, per esempio l’esilarante inedito “Francis Delacroix” su un amico fanfarone (che sale sul palco) e un paio di cover dall’immenso Randy Newman.

A proposito di cover, il nostro rievoca i T-Rex di “20th Century Boy” e “Children Of The Revolution” ma anche il Lucio Battisti di “Un anno di più” (versione niente male, per altro), per far capire dove affondano le sue radici.

Fino all’apoteosi di “Cosa faremo da grandi?”, il suo piccolo grande capolavoro, che diventa una sorta di inno collettivo cantato a squarciagola.

Insomma, Lucio Corsi è uno che ha una marcia in più. E di più meriterebbe.

Per esempio uscire dall’area di culto e abbracciare un pubblico più ampio. Perché ha talento, carisma, sa stare sul palco, canta e scrive benissimo.

Anzi, piccola proposta disinteressata: portatelo a Sanremo.

In mezzo a tanti cialtroni male assortiti uno di talento come lui ci farebbe la sua porca figura.

Diteglielo ad Amadeus.

p.s. Prossime date del tour:
il 10 maggio al Monk a Roma (sold out), il 12 all’Hiroshima Mon Amour di Torino e il 13 al Locomotiv Club di Bologna (sold out).

Too old to rock ’n’ roll (too young to die)

Sono andato al concerto dei Muse all'Alcatraz. Un casino di gente e di entusiasmo.  E ho capito che sono troppo vecchio per il rock'n'roll. Di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

L’altra sera ho capito che sto proprio invecchiando. Sono andato a un concerto in un club e mi sono stancato. Troppa gente, troppo sbattimento e visuale al minimo (per uno piccolino come me).

Morale: mi sono goduto poco di un live energico e molto rock, quello dei Muse all’Alcatraz per capirci, mentre il pubblico intorno a me dava fuori di matto. Ancor più, per quanto sono riuscito a vedere, quelli sotto il palco, che saltavano e pogavano come se non ci fosse un domani.

Lo confesso: un po’ ho invidiato tutta quell’euforia giovanile, quella voglia di vivere e far casino. Sono rimasto fino alla fine, ma ho fatto fatica. E sono tornato a casa un po’ malinconico, come quando capisci che certe situazioni non fanno più per te.

E’ vero, da sempre preferisco i luoghi in cui riesci a vedere e ascoltare i concerti in un modo più tranquillo, ma l’altra sera ne ho avuto la spietata conferma.

Basta club affollati, insomma, d’ora in poi solo teatri comodi e accoglienti. Magari già agli Arcimboldi con James Taylor.

Uno che, se permettete, è un bel po’ più vecchio di me.

30 anni di Punkreas

di Diego Perugini

Trent’anni di Punkreas. La band di Parabiago celebra il traguardo con una grande festa, sabato 25 gennaio all’Alcatraz di Milano (ore 21, euro 17.25; in apertura Il Corpo Docenti), con ospiti ‘O Zulù dei 99 Posse, Modena City Ramblers, I Ministri, Seby dei Derozer, Auroro Borealo, Rezophonic, Ketty Passa ed Eva Poles.
Punkreas

Non solo Sanremo (per fortuna). In giro si parla anche d’altro. Come dei 30 anni dei Punkreas. La band di Parabiago celebra il traguardo con una grande festa, sabato 25 gennaio all’Alcatraz di Milano (ore 21, euro 17.25; in apertura Il Corpo Docenti), con ospiti ‘O Zulù dei 99 Posse, Modena City Ramblers, I Ministri, Seby dei Derozer, Auroro Borealo, Rezophonic, Ketty Passa ed Eva Poles. Ce ne parla Noyse, storico chitarrista del gruppo.

Come sarà il live?

Si snoderà su due momenti: prima “Paranoia Domestica”, ovvero la parte pre 2000, e poi “Pelle Ruvida”, quella post 2000. E sarà un concerto lungo e corposo con tanti amici coi quali abbiamo condiviso palchi e battaglie.

Un bel traguardo: inevitabile chiedervi un piccolo bilancio.

Ne abbiamo passate tante, ma la costante resta lo stupore di essere ancora qui a 30 anni di distanza. Abbiamo iniziato nel 1989, quando il punk non se lo filava nessuno e l’ondata dei Green Day era ancora da venire. Ma il punk si adattava bene al nostro sentire. Eravamo spinti da un’urgenza, non avevamo una progettualità, avevamo voglia solo di divertirci e raccontare delle cose.

In tutto questo tempo, però, sarete un po’ cambiati…

Sì, siamo diventati un po’ “bipolari”. Nel senso che siamo cresciuti, abbiamo messo su famiglia, quasi tutti abbiamo dei figli. C’è l’ordinaria quotidianità, ma poi quando saliamo sul furgone si ricrea il “miracolo” di 30 anni fa. E, comunque, il modo di pensare punk ci accompagna nella vita di tutti i giorni: e per reggere certi consigli di classe a scuola ce ne vuole!

Ha senso essere punk nel 2020?

Ora più che mai. Penso, soprattutto, ai giovani di oggi, che stanno anche peggio di noi al tempo. Gli hanno tolto tutto, anche la speranza, e vivono nel precariato. Avrebbero tutto il diritto di prendere il microfono e urlare la propria rabbia.

E voi?

Andiamo avanti per la nostra strada. Nel nostro best c’è un singolo, “Sono vivo”, che parla di come sia importante restare umani. E’ il primo indizio della nostra nuova direzione, abbiamo già tanti pezzi pronti. Anche se per tutto il 2020 festeggeremo live.