Il blog di Diego Perugini

Si parla di Musica! (e non solo)

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Povero “Vecchio Frack”

Il capolavoro di Domenico Modugno, "Vecchio Frack", viene riletto per la pubblicità di un noto marchio di pasta. Uno scempio: perché?

Non è per essere pedanti o bacchettoni, ma certe cose fatico a mandarle giù.

Guardo la tv, capito per caso nel momento degli spot pubblicitari e vengo attirato da una musica cara e familiare.

Mi fermo un attimo e la riconosco: è “Vecchio Frack” di Domenico Modugno.

Solo che qui il testo è cambiato: invece del racconto della malinconica passeggiata notturna di un uomo verso il suicidio, si decantano le virtù di un noto marchio di pasta.

Canta l’attrice Claudia Gerini. E nell’allegro e festaiolo video compare anche il sex symbol (così ho letto) Can Yaman.

Mi domando il perché di questo scempio. E non trovo risposta.

Un po’ di rispetto verso certi capolavori del passato mi sembrerebbe cosa buona e giusta. Ma, forse, chiedo troppo.

Non mi resterà che boicottare quel marchio, una ribellione piccola piccola. Ma mi farà (spero) sentire un po’ meglio. E meno complice.

Sanremo 2023, la musica è finita

Rosa Chemical mette in mezzo Fedez con un siparietto provocatorio.

Ecco, la musica è finita, gli amici se ne vanno ecc. ecc. E se ne va anche un altro Sanremo, con un Mengoni vincitore annunciato da quel dì.

Vincitore con un brano non eccezionale, nato con l’obiettivo precipuo di esaltare la voce dell’artista di Ronciglione. Che, a dirla tutta, in questi giorni ha un po’ stufato con gorgheggi e acuti da virtuoso.

Ma, evidentemente, c’è a chi piace. E se ne prenda atto.

Sorprende, ma fino a un certo punto, il secondo posto di Lazza, la cui “Cenere” è cresciuta di sera in sera. Un pezzo moderno, contemporaneo e accattivante, col piccolo (?) aiuto del duo Petrella/Dardust ad aumentarne il livello di godibilità.

Senza dimenticare che questo ragazzo nato ai bordi di periferia (milanese) l’anno scorso è stato campione di vendita e streaming e si appresta a partire per un tour nei palazzetti già tutto esaurito.

Lo confesso: non mi piace granché, ma è tifosissimo del Milan, quindi lo promuovo a pieni voti.

L’unica sorpresina, semmai, è quella di Mr. Rain al terzo posto con “Supereroi”, che peraltro ricorda parecchio un suo passato successo, “I fiori di Chernobyl”.

Ma anche qui parliamo di un nome magari non notissimo al grande pubblico, ma con una forte fan-base e numeri importanti in quanto a vendite e streaming.

Il quarto posto di Ultimo sa di delusione, così come il sesto di Giorgia, penalizzati entrambi da canzoni modeste.

Ma, a onor del vero, tutto il festival non ha rivelato pezzi memorabili, se non qualche scheggia di talento qua e là.

Madame, Colapesce Dimartino, Elodie forse i più intriganti.

La maratona finale ha portato in scena due grandi vecchi della nostra canzone fra titoli capolavoro, estemporanee boutade e un pizzico di malinconia.

Ma il momento più esilarante è stato quando Rosa Chemical ha tirato in mezzo Fedez mimando un rapporto anale e poi baciandolo in bocca.

Volgarità? Sì, forse. Però mi ha fatto ridere di gusto.

E a Sanremo non capita così spesso.

Sanremo, l’importante è esagerare

Sanremo, l'importante è esagerare. Da sempre il festival vive come in un'altra dimensione. Dove l'eccesso è la regola. Intanto il super-favorito Mengoni guida la classifica.

Una delle cose che mi ha sempre colpito di Sanremo è l’eccesso.

In quella settimana tutto è esagerato: in città si respira un delirante clima di divismo d’altri tempi, con la gente che si accalca sulle transenne e va a caccia di autografi (una volta) e selfie (ora).

Per non dire delle mille e una iniziative collaterali, fra feste, presentazioni, concertini. Quest’anno c’è pure la nave ormeggiata e un palco esterno per i live.

Lo spettacolo televisivo, poi, è infarcito come un kebab di quelli tosti: c’è di tutto e di più. Ma non sempre è gustoso, soprattutto quando vai per le lunghissime e ci piazzi dentro un mare infinito di pubblicità.

I media, poi, ci danno dentro.

La sala stampa aumenta ogni anno di nuovi cronisti o presunti tali. Lo spazio sui giornali è sempre ampio, così come il numero degli inviati. Anche se ora credo siano web e social a fare la parte del leone.

Tutti (si fa per dire) si sentono in dovere di stilare le proprie pagelle, fornire la propria versione, farsi vedere, distinguersi dalla massa.

Dare il resoconto minuto per minuto più figo, originale, controcorrente e, ca va sans dire, senza filtri.

Il risultato è un’overdose autoreferenziale di notizie, video, interviste, foto e arzigogoli vari.

Uno sforzo imponente, un impiego (uno spreco?) di soldi, tempo ed energie che, per forza di cose, lascerà il tempo che trova.

Assieme alle polemiche che da sempre montano e poi si sgonfiano in un attimo. Spesso risibili.

Come il gossip sul fantomatico litigio fra Oxa e Madame, che ha mandato in agitazione organizzatori, entourage e sala stampa (sic!).

Da qui alla fine, sabato, ci sarà tempo per altri exploit.

Intanto il super-favorito Mengoni guida la classifica davanti a Ultimo e al sorprendente Mr. Rain.

E stasera tocca a cover e duetti. Speriamo bene.

Sanremo 2023: i vegliardi fuoriclasse

Gianni Morandi, Massimo Ranieri e Al Bano. Tre vegliardi fuoriclasse all'Ariston. Il commento di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

E alla fine, seppur con fatica, le abbiamo ascoltate tutte le canzoni di questo Sanremo 2023. Con la conferma di non avere trovato nessun pezzo clamoroso in scaletta: non dico una “Vita spericolata”, ma nemmeno solo una “Fai rumore”.

E il pensiero, inevitabilmente, va ai titoli sciorinati dai tre vegliardi ospiti: dai, volete mettere “Vent’anni”, “Nel sole” o “Uno su mille”? O “Il nostro concerto” di Bindi?

Ok, boomer mi risponderete. Ti piace vincere facile, eh?

Vabbè, torniamo alla gara. Perché non tutto è da buttare.

Colapesce Dimartino, primi per la stampa, non ritrovano l’estro genialoide di “Musica leggerissima”, né ovviamente l’effetto sorpresa dello scorso anno.

Ma “Splash” è comunque intelligente e accattivante, con parole non banali (e condivisibili) sul peso delle aspettative.

Non male Madame e Levante, pur da diverse prospettive, mentre Paola e Chiara citano sin troppo se stesse e vanno sul sicuro danzereccio.

Lazza, incensato da molti, propone quell’urban modaiolo che a me fa venire l’orticaria (problema mio, d’accordo) ma probabilmente andrà forte nelle radio e nello streaming.

Gli Articolo 31 mettono in scena una reunion nostalgica con sincere lacrime di commozione.

La delusione più grande viene, semmai, da Giorgia: canta maluccio (emozionata? arrugginita?) un pezzo modesto, una ballata soul-pop in crescendo che non brilla per originalità.

Contiamo possa riprendersi da qui alla finale. Daje!

Sanremo 2023: Blanco superstar

Partito Sanremo 2023. Serata un po' moscetta, con Blanco che spariglia le carte. Le canzoni? Così così. Però bene Mengoni ed Elodie. Il commento di mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Spiace dirlo, ma l’unica cosa che mi ha svegliato dal torpore sanremese è stata la follia di Blanco. Che ha rovinato l’idillio di fiori e canzoni con un gesto dirompente. Anzi, di rottura nel vero senso della parola.

Una mossa punk, una deriva situazionista o, per dirla più terra terra, una solenne cazzata. Condannata all’unanimità dalla sala dell’Ariston come dai salotti delle case degli italiani (inclusa mia zia Mirella, 81 anni, scandalizzata). E, naturalmente, dai social impazziti.

Non so se, come azzardano i soliti meglio informati, fosse davvero tutto preparato. Ovvero soltanto un furbo e bieco siparietto per far parlare ancora di più di questo Sanremo 2023. Come se tutto quel che leggiamo/vediamo non fosse già abbastanza. Mah.

Intanto il video è diventato subito virale candidandosi a successore del “Dov’è Bugo?” di morganiana memoria. Così è, se vi pare.

E le canzoni? Poca roba da mandare a memoria.

Anna Oxa pretenziosa, Ultimo e Mr. Rain citazionisti di se stessi, Grignani sopra le righe (ma il testo non è male). Coma_Cose più seriosi del solito, Colla Zio simpaticamente casinari, Ariete ha fatto di meglio.

I Cugini di Campagna sono trash solo nel look, un po’ impacciati in un pezzo a loro poco congeniale.

Spicca Mengoni, non tanto per il brano (niente di che), ma per voce e interpretazione superiore una spanna agli altri.

Brilla pure Elodie, che sa tenere il palco e anima una canzoncina leggera già in odore di tormentone. Ma sì, quasi quasi ora tifo per lei.

E il resto? I super-ospiti Pooh ci possono anche stare, però quel Facchinetti lì sempre e comunque a sparare con l’ugola non si può proprio sentire.

Come non si possono sentire i monologhi. Non so a voi, ma a me hanno fatto venire venire l’orchite.

E ho detto tutto.

Metti una sera con Michael Bublé

Metti una sera con Michael Bublé. Il crooner canadese si è esibito al Mediolanum Forum d'Assago. Il report di mannaggiallamusica.it
Michael Bublé, foto di Joshua Mellin

Certe notti hai bisogno di un po’ di leggerezza, di un sorriso, di un momento di relax. Anche e soprattutto quando la tua squadra del cuore perde malamente un altro derby.

Così ci ha pensato Michael Bublé a rinfrancare il morale col suo Higher Tour in una fredda domenica sera al Mediolanum Forum di Assago.

Il crooner canadese ha messo in piedi uno spettacolo ricco e ambizioso, un po’ come se fossimo a Las Vegas o da quelle parti.

L’orchestra sullo sfondo, disposta su varie gradinate, una lunga passerella che arriva a metà Forum, vari schermi giganti, alcuni fissi e altri che si srotolano. In più tre coristi/ballerini e un impianto luci di quelli buoni.

Poi c’è lui, vestito elegante e perfetto padrone di casa, piacione e gigione nel dialogare col pubblico, a creare subito un rapporto di calorosa intimità.

Canta, balla, scende in platea, stringe mani, suda copiosamente, gioca col fazzoletto nero.

Racconta aneddoti a ruota libera, rivendica le sue origini italiane, parla del festival di Sanremo e di suo nonno, s’atteggia ironicamente a sexy-macho e regala uno scherzoso dito medio a chi lo relega a cantore delle sdolcinatezze natalizie.

Ma, soprattutto, Bublé canta. E bene.

I suoi successi, come la dolcissima “Home”, ma per lo più i classici altrui.

Sfilano allora tanti grandi titoli del canzoniere americano (e non solo), da “L-O-V-E” di Nat King Cole alla romantica “Smile” di chapliniana memoria, da “To Love Somebody” dei Bee Gees alla disco targata Barry White di “You’re the First, the Last, My Everything”.

Anche se, forse, il momento più bello è quando il nostro si piazza in fondo alla passerella e rispolvera il sempreverde Elvis con un medley assai piacevole e sin troppo breve.

Un uomo da cover, insomma, che rilegge il passato con rispetto e senza strappi.

Un istrione dei nostri tempi che magari non sarà il massimo dell’originalità, ma sa benissimo come si tiene il palco e come si intrattiene la gente. Che, puntualmente, non si fa pregare e anzi risponde con applausi, urla e coretti in stile karaoke.

Arrivano i bis e arriva pure la notizia di un altro Grammy vinto. Bublé pare sinceramente commosso e dichiara tutto il suo amore per Milano, città che gli porta fortuna.

Ma è quasi tempo di chiudere: ecco pezzi da novanta di Marvin Gaye e Drifters, poi ancora Elvis, con la romantica “Always on My Mind”. Un’ora e tre quarti o poco più.

Dai, ci siamo divertiti.

E pazienza se il Milan ha perso.

Metti una sera con Michael Bublé. Il crooner canadese si è esibito al Mediolanum Forum di Assago. Ecco il report di mannaggiallamusica.it

Sanremo sì, Sanremo no

Ci siamo. O quasi. Martedì parte Sanremo 2023. Piccole riflessioni della vigilia di un (quasi ex) addetto ai lavori. Su mannaggiallamusica.it, il blog di Diego Perugini

Come tutti sapete, martedì comincia Sanremo 2023.
“E chi se ne frega”, potrebbe essere una buona risposta, rimembrando la storica rubrica del settimanale satirico “Cuore”, una vita fa.

Del resto il festival rimane divisivo: da una parte gli entusiasti a priori, dall’altra gli instancabili detrattori. Io, come spesso capita, sto nel mezzo.
Non mi piace, ma lo vedo lo stesso. Per curiosità, affetto, come fenomeno di costume.

Lo seguo, ancora bambino, da fine anni Sessanta, più avanti anche da addetto ai lavori, ora come spettatore disincantato. Che non commenta sui social né si perde dietro le inevitabili polemiche. E, anzi, si prende la libertà anche di schiacciare un pisolino, staccare la spina quando si fa troppo tardi, seguire a spizzichi e bocconi. E non pensarci più di tanto se su un altro canale c’è un bel film o una partita del Milan.

Farò così anche quest’anno.
Sanremo 2023 s’annuncia come l’ennesimo calderone pieno zeppo di cose, che fa presagire trasmissioni tirate fino a notte fonda. Ecco, fosse per me asciugherei tutto.

Basta siparietti, intrattenitori, sportivi, comici, attori, politici, ospiti di qui e ospiti di là. Cioè quei momenti che mi fanno subito scattare la corsa al telecomando. Lascerei solo qualche super-ospite musicale (ma che lo sia davvero) e stop.

Ma so che la mia è una pia illusione e si proseguirà con le solite micidiali maratone alla “Non si uccidono così anche i cavalli?” per questioni economiche, di sponsor e via dicendo.

E le canzoni? Non le ho ancora ascoltate, lo farò strada facendo come i comuni mortali. Non mi aspetto capolavori, spero in qualche brano sopra la media.

Il cast, come ho spiegato in altro post, è un mix per accontentare un po’ tutti, ragazzini, adulti e nonni. Con una serata cover con una marea di nomi illustri per un gigantesco karaoke collettivo.

Piaccia o meno, c’è da ammettere che Amadeus (e qualcun altro prima di lui) ha riportato il festival ai fasti di un tempo. Ora non ci vanno più solo vecchie glorie o chi deve rilanciarsi, ma anche chi ha successo o, come si dice oggi, è di tendenza.

Perché Sanremo porta bene, basti pensare alla popolarità in grande stile regalata a Dimartino e Colapesce, Coma Cose, La Rappresentante di Lista, Pinguini Tattici Nucleari e, ca va sans dire, Maneskin.

Vedremo cosa capiterà quest’anno.
E se proprio non ce la fate, buttate un occhio al mio Angolo del Cinefilo: ci sono tanti consigli per godersi un buon film.

Alla faccia di Sanremo.

Weekend con l’Angolo del Cinefilo

Nuovo appuntamento weekend col mio Angolo del Cinefilo, con tanti titoli per tutti i gusti.

Precedenza assoluta a The Fablemans del maestro Spielberg, giustamente in odor di Oscar.

Ma vi trovate anche gradevoli commedie italiane come Banana e Settembre.

In più un vecchissimo horror di George Romero, The Amusement Park, creduto perso, e l’attualità di un ottimo film francese come Full Time – Al cento per cento.

E molto altro ancora.

Buona visione e buon weekend!

Ciao, David

Un altro grande lutto per la musica che più amiamo. Se n'è andato David Crosby, il ricordo di Diego Perugini per mannaggiallamusica.it

E’ un altro di quei periodi difficili, in cui le cose prendono direzioni imprevedibili e notizie brutte s’affacciano con ritmo quotidiano. Il mondo della musica coi suoi vecchi eroi non ne è esente, anzi.

La morte di David Crosby è un altro colpo al cuore per chi ha amato (e continuerà ad amare) certi dischi e certe canzoni, così lontani da quel che passa il triste convento contemporaneo.

E’ un lutto che mi colpisce più di altri perché sono molto legato, come immagino tanti di voi, a Croz.

L’ho scoperto da ragazzino con “Déja vù” e “Four Way Street”, ancor prima col mitico “Crosby Stills & Nash”, che mio cugino Antonio, di qualche anno più grande, un giorno fortunato mi regalò.

Mi innamorai perdutamente di quei suoni, di quelle voci, di quei pezzi, che spesso mi trovai a cantare con gli amici, cercando di replicare un briciolo della magia originale.

Nel corso del tempo ho avuto la fortuna di vederlo diverse volte in concerto: coi colleghi/amici Stills e Nash e da solo, l’ultima volta al Dal Verme nel settembre 2018, grande serata.

E l’ho intervistato in più occasioni. Di persona e al telefono.

La più emozionante quasi una ventina d’anni fa (la potete leggere qui sotto).

Avevo fissato una telefonica serale per “L’Unità”, mi aspettavo di sentire l’ufficio stampa che mi collegava all’artista e, invece, alzata la cornetta sentii subito la voce di Crosby che storpiava il mio cognome.

Dopo il primo imbarazzo, con annesso batticuore, cominciò una lunga chiacchierata a largo respiro. Su musica, industria, politica, amicizia, guerra e altro ancora.

Eravamo sotto Natale e, in ultimo, gli chiesi quindi che cosa si augurasse: mi rispose senza esitazioni, “la pace”.

Qui siamo ancora indietro, spero che David possa trovarla almeno lassù.

In ogni caso, per me, quell’intervista fu uno dei regali di Natale più belli mai ricevuti. Uno di quei momenti, ahimè sempre più rari, in cui vale la pena di fare questo dannato lavoro.

Aiuto, tornano i Måneskin!

 Abbiamo ascoltato in anteprima "Rush!" il nuovo disco dei Måneskin, in uscita venerdì. Molto rock, soliti suoni. Ma sarà un successo.

Un caro collega (nonché amico) ripete spesso che quando qualcosa/qualcuno ha un successo spropositato, non si può ignorarlo/snobbarlo. E in qualche modo bisogna parlarne, anche e soprattutto in modo critico.

Penso che abbia ragione.

Ecco perché ieri, come tanti giornalisti, ho ascoltato in anteprima il nuovo disco dei Måneskin, “Rush!”, in uscita venerdì.

Sui motivi per cui i ragazzacci romani sono saliti sul tetto del mondo non tornerò più. Ne ho scritto mesi fa, i più curiosi si accomodino qui.

Si parlerà, quindi, di musica. Le nuove canzoni confermano la solita cifra stilistica: un rock derivativo, potente e sbruffone, con chitarre in evidenza, suoni e produzione furbescamente curati, frequenti strizzatine d’occhio al pop, ritmi ballabili.

Damiano canta per lo più in inglese, confermando (se ce n’era bisogno) tanta voglia di internazionalità e trasversalità. Piacerà ai giovani, ai giovanissimi e, perché no, pure a parecchi “boomer”.

I testi mischiano parolacce e piccole trasgressioni, rivendicazioni e autobiografia, amore e romanticismo, denuncia e ironia. Semplici, diretti, efficaci.
Non originalissimi, magari, ma questo poco importa.

Diciassette pezzi in totale, tanti, forse troppi. E la sensazione di déja vù affiora più di una volta. “Bla bla bla” è un sarcastico sberleffo contro i tanti detrattori, con citazione conclusiva degli Smiths. “Mark Chapman” riflette a tinte rock sulla figura degli stalker.

“Kool Kids”, forse il momento più bizzarro, gioca nel giardino del punk, con Damiano che ostenta un accento brit e scherza sui gusti e le attitudini dei cosiddetti “ragazzi fighi”, con “invito” finale alla coprofagia (sic!).

Praticamente l’opposto di “If Not For You”, unico vero lento in scaletta, ballatona sentimentale dal sapore un po’ vintage, col cantante in veste da crooner del nuovo millennio. Che ti lascia immaginare come potrebbe essere l’eventuale dimensione solista di Damiano.

Insomma, questo è quanto.

Poi metteteci video confezionati ad hoc, boccacce, smorfie e nudità, trend modaioli e presenza scenica. E tutto quel che già sapete.

Questi sono i Maneskin, prendere o lasciare.

In molti, visti i numeri esorbitanti fra streaming e sold out ai concerti, hanno già deciso. Gli altri possono tranquillamente passare oltre.

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